Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-12-2010) 21-01-2011, n. 2187 Frode nell’esercizio del commercio Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza del 18.10.2007, la Corte di Appello di Ancona, in riforma della sentenza del locale Tribunale del 28.5.2004, che aveva assolto R.S. e R.P. dal reato di danneggiamento aggravato per difetto dell’elemento soggettivo, dichiarò la prescrizione del reato e condannò gli imputati al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore del danneggiato, costituitosi parte civile.

Propongono ricorso per cassazione gli imputati per mezzo del loro difensore, deducendo anzitutto il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata in relazione agli artt. 576 e 578 c.p.p., sul rilievo che la dichiarazione di prescrizione non era seguita ad una precedente sentenza di condanna, e non poteva quindi essere accompagnata dalle statuizioni civili a favore della parte lesa.

Con un secondo motivo, deducono il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 42 c.p., e la mancanza e contraddittorietà della motivazione, per avere ritenuto il dolo del delitto di danneggiamento in contrasto con le risultanze processuali, ampiamente analizzate in ricorso, conclamanti piuttosto solo un isolato e casuale episodio di danneggiamento, ascrivibile a colpa e subito seguito dall’integrale eliminazione del danno. Con l’ultimo motivo, lamenta la difesa violazione dell’art. 185 c.p., e mancanza di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), per avere i giudici di appello commisurato il risarcimento a tutte le lesioni subite dall’immobile della persona offesa, senza dar conto se esse fossero tutte riconducibili a condotte dei ricorrenti, e senza in alcun modo considerare la sproporzione tra l’ammontare dei danni ritenuto in sentenza e la modesta entità dei lavori che avevano interessato l’immobile di proprietà dei due imputati. Alla stregua delle censure proposte, i ricorrenti chiedono quindi l’annullamento della sentenza impugnata, con le statuizioni consequenziali, e sollecitano l’inibitoria dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Sul motivo di diritto attinente alla corretta interpretazione degli artt. 576 e 578 c.p.p., rileva la Corte che a partire dalla fondamentale sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 25083 dell’11/07/2006 si è ormai consolidato il condivisibile indirizzo secondo cui il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può′ condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 c.p.p., conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (nello stesso senso, vedi più di recente Cass. 19/03/2009 Carli).

Quanto agli altri motivi, corrisponde ad una quaestio facti l’identificazione dell’atteggiamento psicologico degli imputati rispetto alle lesioni che derivarono all’immobile della persona offesa dai lavori eseguiti su quello limitrofo di proprietà dei ricorrenti. Al riguardo i giudici di appello hanno seguito un percorso logico che li ha condotti all’affermazione del dolo in considerazione dell’articolazione nel tempo di numerosi episodi di lesioni a carico dell’immobile della parte lesa in concomitanza dei lavori avviati dagli imputati sul limitrofo immobile proprio, e dalla postuma regolarizzazione amministrativa dei lavori da parte degli stessi imputati, proprio a seguito degli inconvenienti lamentati dal danneggiato. A tale ricostruzione, i ricorrenti oppongono un’ampia ricapitolazione in chiave difensiva delle risultanze istruttorie, con la tecnica di citazioni parziali prive di qualunque corredo documentale, risolvendosi quindi in parte qua le censure articolate in ricorso in inammissibili prospettazioni di merito alternative alle valutazioni della Corte territoriale, esenti per sè da vizi logico- giuridici.

Per quel che riguarda la quantificazione dei danni, i giudici di appello hanno ritenuto la loro imputazione globale alle opere eseguite dagli imputati, con la constatazione che le strutture murarie dell’immobile della persona offesa localizzate nel lato opposto al confine con l’edificio degli stessi imputati, non presentavano la benchè minima lesione; e quanto alla concreta liquidazione dell’importo del risarcimento, hanno criticamente valutato i risultati della c.t. di parte, spingendosi fino all’analisi dei costi indicati nella relazione di consulenza e rilevando l’equilibrata metodica di indagine seguita dal consulente, che aveva tenuto conto, fra l’altro, della scarsa qualità della malta originale dell’immobile della parte lesa (sul principio secondo cui è consentito al giudice del merito di fondare la propria decisione su una consulenza tecnica di parte – nella specie si trattava di una perizia stragiudiziale – anche se contestata dalla controparte, semprechè fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione discrezionale cfr. Corte di Cassazione n. 1416 del 1987 ric. PISASALE).

Anche riguardo alle questioni relative alla determinazione del danno, i ricorrenti oppongono poi valutazioni fondate su citazioni parziali di risultanze istruttorie, riferibili, in particolare, ad alcuni incisi delle dichiarazioni dibattimentali del c.t.p., e del teste C., per trarne l’incontrollabile deduzione che i lavori eseguiti dagli imputati avrebbero provocato soltanto il limitato danno dell’apertura di un foro sul muro dell’immobile confinante, immediatamente riparato. Corrisponde infine ad un apprezzamento del tutto soggettivo il rilievo della presunta sproporzione tra l’entità dei lavori produttivi del danno, e la somma liquidata a titolo di risarcimento.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

Nella pronuncia di inammissibilità è assorbita la richiesta di inibitoria.

I ricorrenti devono essere inoltre condannati, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile I. P., liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, nonchè in solido, alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile I.P., che liquida in complessivi Euro 2.747,07 comprensivi di spese forfetarie, I.V.A. e C.P.A. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 dicembre 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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