Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con sentenza 6.11.06 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa il 3.2.06 all’esito di rito abbreviato dal GUP dello stesso Tribunale, riduceva la pena a carico di D.W., imputato di concorso in tentata rapina, violazione della legge sulle armi, lesioni personali, minaccia aggravata e ricettazione di motocicli di provenienza furtiva, ad anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, con conferma delle restanti statuizioni di prime cure.
Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti in sede di merito: la rapina era stata tentata il (OMISSIS), ai danni della Banca Intesa di via (OMISSIS), praticando un foro in corrispondenza delle scale ubicate all’interno dell’istituto di credito al fine di penetrarvi, tentativo sventato dall’intervento di una guardia giurata, che aveva messo in fuga i malviventi; sul margine inferiore del foro che avrebbe consentito l’accesso ai locali della banca era stata poi rinvenuta una maglietta a maniche corte di colore azzurro su cui era stata rilevata una piccola macchia di sangue attraverso la quale si era risaliti all’odierno ricorrente grazie all’esame del DNA, confrontato con il campione prelevato da una tazzina da caffè usata dal D.; l’accertamento era stato poi ripetuto, con lo stesso esito, in sede di incidente probatorio confrontando il DNA della macchia di sangue trovata sulla maglietta di cui si è detto con quello di un campione di sangue del D. presente presso il laboratorio di analisi Bios, giacchè l’indagato si era rifiutato di sottoporsi a prelievo di materiale biologico affinchè il suo DNA fosse confrontato con quello della macchia di sangue di cui al suddetto reperto.
Il D. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a) violazione degli artt. 360 e 442 c.p.p., per aver i giudici del merito ritenuto utilizzabile l’accertamento irripetibile compiuto dal PM, senza avviso al D. e senza la nomina di difensore, consistito nell’estrazione del DNA dalla maglietta (in realtà, ad avviso del ricorrente, si trattava di un mero straccio) macchiata di sangue; essendo gli adempimenti di cui all’art. 360 c.p.p., dovuti pel solo fatto che in quel momento il D. era persona sottoposta ad indagini, ancorchè il suo nominativo non fosse stato ancora iscritto nel registro degli indagati, la prova ottenuta in violazione della norma codicistica risultava inutilizzabile sia a voler parlare in proposito di inutilizzabilità patologica sia a volerla ritenere come fisiologica, perchè in tal caso il vizio era stato comunque eccepito prima della richiesta di rito abbreviato (e ciò alla luce di una corretta interpretazione della sentenza 21.6.00 n. 16, Tammaro, delle S.U. di questa S.C.);
b) violazione degli artt. 192, 546 e 603 c.p.p., nonchè vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva attribuito valore indiziario al rifiuto del D. di sottoporsi all’esame comparativo del DNA, nonostante che la sua volontà dovesse invece intendersi semplicemente come rifiuto del contraddittorio su una fonte di prova acquisita in violazione degli artt. 178 e 360 c.p.p.;
inoltre, quella che i giudici del merito qualificavano come maglietta di colore azzurro era, in realtà, un vecchio straccio di dimensioni incompatibili con la corporatura del ricorrente, un oggetto utilizzabile da chicchessia; per di più, con una sorta di inversione dell’onere della prova, la gravata pronuncia aveva valutato a carico del ricorrente il non aver dato spiegazioni circa la presenza dell’indumento sul luogo della tentata rapina; da ultimo, l’impugnata sentenza era censurabile perchè, a fronte della consulenza di parte secondo cui l’altezza del D. non corrispondeva a nessuna delle persone riprese nel filmato relativo all’ingresso dei quattro rapinatori durante la notte del (OMISSIS), aveva negato valore a tale accertamento sol perchè lo stesso c.t.p. aveva riconosciuto che sulla base del filmato non era possibile effettuare un’indagine fisiognomica, che era cosa diversa dal ricercare l’altezza delle persone che vi comparivano; in tal caso, concludeva il ricorrente, una volta dubitato della c.t.p., ex art. 603 c.p.p., la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre d’ufficio la perizia.
1 – Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.
Il motivo che precede sub a) va disatteso perchè questa Corte Suprema ha più volte affermato che la nozione di accertamento tecnico di cui all’art. 360 c.p.p. concerne non l’attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato (nel caso di specie, il prelievo di un campione biologico dall’indumento rinvenuto sul luogo della tentata rapina), ma solo il loro studio e la loro valutazione critica.
Nè l’eventualità di ipotetici approfondimenti in tal senso (che, fra l’altro, non è stata nemmeno ventilata dal ricorrente) trasforma in accertamenti tecnici i semplici rilievi (ancorchè, in ipotesi, irripetibili) ad essi prodromici (si veda, ad esempio, l’ormai consolidata giurisprudenza formatasi in tema di prelievo di polvere da sparo finalizzata al successivo esame c.d. Stub: cfr. Cass. Sez. 1^ n. 15679 del 14.3.08, dep. 16.4.08, rv. 239616; Cass. Sez. 1^ n. 45437 del 30.11.05, dep. 15.12.05, rv. 233354; Cass. Sez. 1^ n. 23156 del 9.5.02, dep. 17.6.02, rv. 221621; Cass. n. 9998/03, rv. 226153;
Cass. Sez. 1^ n. 4017 del 6.6.97, dep. 24.6.97, rv. 207857).
Per altro, il prelievo di un campione biologico dall’indumento macchiato di sangue è anche ripetibile, non essendo destinato a subire un’irreversibile trasformazione, per effetto della verifica, tale da impedirne la reiterazione: ed infatti il prelievo del campione per il confronto del relativo DNA con quello di altro materiale biologico del D. è stato nuovamente eseguito in via di incidente probatorio, come si legge nell’impugnata sentenza. E’, poi, un mero rilievo perchè consiste nella semplice raccolta di dati pertinenti al reato, mentre l’accertamento tecnico ne esegue lo studio e la valutazione critica secondo canoni tecnico – scientifici (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 34149 del 10.7.09, dep. 4.9.09; Cass. Sez. 1^ n. 14852 del 31.1.07, dep. 13.4.07, rv. 237359; Cass. n. 4523/92, rv.
192570; Cass. n. 301/90, rv. 183648).
In breve, nel caso di specie non trova applicazione l’art. 360 c.p.p., il che assorbe ogni altra considerazione a riguardo svolta in ricorso circa la relativa applicabilità a persone sottoposte ad indagini, ma il cui nominativo non sia stato già iscritto ex art. 335 c.p.p., nel registro degli indagati.
Per quanto concerne, poi, l’esame del DNA (non il mero atto prodromico costituito dal prelievo di un campione di sangue dall’indumento macchiato), esso è stato reiterato in sede di incidente probatorio, il che rende pacificamente utilizzabile come prova il relativo esito.
2 – Il motivo che precede sub b) trascura l’orientamento già espresso da questa S.C. – cui va data continuità – secondo il quale gli esiti dell’indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova e non di mero elemento indiziario ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, atteso l’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore (cfr. Cass. Sez. 1^ n. 48349 del 30.6.04, dep. 15.12.04, rv. 231182, Rizzetto).
Pertanto, una condanna può basarsi anche soltanto su tale prova scientifica, al di là del valore confermativo da attribuirsi al rifiuto del D. di sottoporsi all’esame comparativo del DNA. Quanto alla mancata rinnovazione del dibattimento per disporre una perizia ex art. 603 c.p.p., per accertare l’altezza delle persone che figuravano nel filmato e confrontarla con quella del D., il ricorso trascura che:
– l’appello non conteneva richiesta di rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p.p.;
– tale richiesta sarebbe stata comunque incompatibile con il rito abbreviato (e ciò fin dal noto arret delle Sezioni Unite n. 930 del 13.12.95, dep. 29.1.96, rv. 203427, Clarke, seguito da uniforme giurisprudenza), in tale evenienza essendo consentito soltanto al giudice d’appello scegliere di avvalersi o non del potere discrezionale di cui all’art. 603 c.p.p. (con scelta non censurabile in sede di legittimità), restando escluso ogni potere di iniziativa della parte che, optando per il rito abbreviato, ha definitivamente rinunciato al diritto alla prova;
– al di là dell’uso improprio del termine "fisiognomica" (che si riferisce a ben altro, vale a dire alla dottrina secondo cui sarebbe possibile dedurre le caratteristiche psichiche di un individuo dai tratti del volto e dalla forma del cranio), ad ogni modo nella motivazione della Corte territoriale è chiaro che il c.t.p. aveva negato la possibilità di una più approfondita indagine a cagione della scarsa chiarezza delle immagini del filmato, di guisa che proprio tale scarsa chiarezza contraddiceva l’approfondimento istruttorio di cui si parla in ricorso, sicchè non si ravvisa contraddizione alcuna nella motivazione della gravata pronuncia.
Ogni altra argomentazione a riguardo svolta nell’atto di impugnazione sull’altezza del D., sulla sua conformazione fisica e sulla compatibilità con essa dell’indumento (o mero "straccio") rivenuto sul luogo della tentata rapina e con le immagini del suddetto filmato scivola sul piano dell’apprezzamento di merito, precluso in sede di legittimità.
Infine, non è esatto che l’impugnata sentenza abbia, con una sorta di inversione dell’onere della prova, valutato a carico del ricorrente il non aver dato spiegazioni circa la presenza dell’indumento sul luogo della tentata rapina: in realtà la Corte territoriale si è limitata a rilevare che, in assenza di qualsivoglia spiegazione alternativa della presenza di tracce di sangue del D. sul luogo della tentata rapina, tali tracce conservavano pienamente la propria valenza dimostrativa, il che è conforme all’antico e consolidato insegnamento di questa S.C. maturato nell’analoga ipotesi delle impronte digitali, in virtù del quale il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità ed assume valore probatorio – e non di semplice indizio – e può legittimamente essere utilizzato ai fini del giudizio di colpevolezza, in mancanza di diverse giustificazioni sulla presenza di tali impronte sul luogo in cui è stato commesso il reato (cfr., ad es., Cass. Sez. 5^ n. 12792 del 26.2.2010, dep. r.
4.2010; Cass. Sez. 2^ n. 16356 del 2.4.2008, dep. 18.4.2008; Cass. Sez. 1^ n. 18682 del 17.4.2008, dep. 8.5.2008;
Cass. Sez. 5^ n. 24341 del 26.5.2005, dep. 28.6.2005; Cass. n. 4254/89, rv. 180856; Cass. n. 11410/86, rv. 174046; Cass. n. 234/86, rv. 171556).
3 – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.