Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 21-01-2011, n. 2222 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 3.6.2010, il Tribunale della Libertà di Palermo, rigettava l’istanza di riesame proposta da C.G. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa nei suoi confronti dal gip del locale Tribunale il 13.5.2010 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali, doveva ritenersi che il C. fosse stabilmente inserito nel collaudato sistema di veicolazione, al latitante R. D., capo della famiglia mafiosa di Altofonte, di messaggi da e per gli altri sodali indispensabili non solo per eludere le ricerche dello stesso R. da parte degli inquirenti, ma anche per consentirgli i contatti necessari per continuare a gestire la cellula mafiosa di appartenenza.

La catena di trasmissione dei messaggi al R. si sarebbe articolata in varie fasi, a partire dalla consegna dei "pizzini" che li contenevano all’interno degli uffici di T.M.S., dove proprio il C., secondo il Tribunale, si incaricava di prelevarli, per affidarli a sua volta a L.G., che li girava infine a Li.Ma., autore del recapito finale presso l’abitazione dei coniugi Ca. in (OMISSIS), dove il latitante aveva trovato ospitalità.

Il flusso contrario di comunicazioni, infine, si sarebbe articolato a ritroso, a partire, cioè, dalla consegna di "pizzini" da parte del R. al Li. fino al recapito dei messaggi negli uffici del T..

In questo sistema, la cui ricostruzione in sede investigativa aveva portato all’arresto del R. il 15.11.21009, all’interno di un immobile oggetto di frequenti visite dei coniugi Ca., il ruolo del C. era desunto dai giudici del riesame sulla base di una serie di intercettazioni ambientali, a loro volta più volte collegate ai servizi di osservazione e pedinamento attivati dagli inquirenti nel corso delle indagini.

Ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo, con un primo motivo, il vizio di inosservanza o erronea applicazione della legge penale del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b).

Il motivo si incentra sulla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali indicate nell’ordinanza custodiate, quante volte sia omissata l’identità di uno degli interlocutori, risultandone quindi compromesso il diritto di difesa dell’imputato, in quanto non posto in grado di interloquire con piena cognizione sul contenuto e sulle ragioni delle conversazioni. Alla stregua del secondo motivo, il difensore lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione relativamente alla valutazione della gravita indiziaria.

Nel ricorso vengono analizzate le intercettazioni ambientali del 12.7.2009 e del 28.7.2009 tra il C. e T.M., il servizio di osservazione dell’1.8.2009, che aveva rilevato un incontro tra i predetti e L.G., e quello del 2.8.2009, nel corso del quale i verbalizzanti avevano notato l’accesso di Li.Ma. all’abitazione di L.G..

I giudici territoriali,secondo il ricorrente, non avrebbero saputo spiegare nemmeno il collegamento tra i vari fatti, nè lo scopo dei contatti tra gli indagati.

Le stesse lacune argomentative sarebbero ravvisabili in ordine alla valutazione degli accadimenti del 10 e dell’11.10.2009 (incontro T. – C. delle ore 19 del 10 ottobre presso l’abitazione del secondo in (OMISSIS); partenza di entrambi dal posto a bordo di una vettura lancia Y in coincidenza con gli spostamenti dell’autovettura Audi 80 di L.G. e della bmw di Li.Ma.; identificazione di quest’ultimo, il giorno successivo, a bordo della stessa autovettura, durante un incontro con Ca.Be., giunto all’appuntamento a bordo di una Hunday).

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo, si tratta della reiterazione delle deduzioni già avanzate dal ricorrente davanti ai giudici del riesame, che hanno però ricordato i pertinenti indirizzi sul tema della giurisprudenza di questa Corte, orientata in senso contrario alle tesi difensive (cfr. Cass. Sez. 2^, n. 26266 del 07/06/2007 Imputato:

Viapiana, dove la formulazione del principio -espresso in materia di verbali di dichiarazioni ma avente portata generale – secondo cui, in materia di misure cautelari, la trasmissione al tribunale del riesame di atti di indagine, posti a fondamento della richiesta cautelare, nei quali non compaiano, perchè sostituiti con "omissis", i nomi delle persone che hanno reso le dichiarazioni, non viola i diritti difensivi, non impedendo il contraddittorio relativo all’entità e alla rilevanza degli elementi e degli indizi posti alla base del provvedimento impugnato; vedi, anche, Cass. Sez. 1A, 3 novembre 1993- 7 gennaio 1994, n. 4612, Bertato, riv. 196774 e 196775; Sez. 1A, 22 dicembre 2000 – 28 febbraio 2001, n. 8780, Di Benedetto, riv.

218264), ne può ravvisarsi a carico del p.m. un obbligo di motivare gli eventuali omissis (Sez. 6^, 14 ottobre 1993, n. 2856, Corlito, riv. 198451, contrariamente a quanto affermato da Sez. 1^, 5 marzo 1999, n. 1872, Starna, riv. 213796). Il presunto obbligo di integrale indicazione nominativa delle fonti non trova del resto alcun fondamento normativo, mentre il p.m. si espone, con gli "omissis", all’eventualità di subire il rigetto delle sue richieste o la mancata conferma dei suoi provvedimenti per mancanza o insufficienza del materiale indiziario offerto (nel senso indicato vedi anche Cass. Sez. 1^, n. 25589 del 17/06/2005 Cc. Imputato: Plaku., esplicita nell’affermare che i verbali degli atti d’indagine trasmessi a sostegno di una richiesta di misura cautelare, seppure presentino cancellature di parti del loro contenuto, sono utilizzabili nei contenuti palesi anche nell’eventuale sede di riesame, non avendo il P.M. il dovere di trasmettere i verbali delle indagini nella loro integralità e potendo così inviare semplici stralci dei verbali o oscurare una parte del contenuto con "omissis", a tutela del segreto investigativo, che non impedisce lo sviluppo del contraddittorio).

Quanto al secondo motivo, il confronto tra le deduzioni del ricorrente e la motivazione del provvedimento impugnato rivela con evidenza il carattere riduttivo delle prime rispetto alle argomentazioni dei giudici territoriali, che prendono in esame numerose altre risultanze istruttorie, come i contatti telefonici tra il T. e il C. in cui si accenna al recapito di "pacchi", "pillole" o somme di denaro; la conversazione tra i coniugi C. durante la quale la moglie rivela al marito di essere stata seguita da un’auto civetta e accenna al pericolo corso per il trasporto di una "cosa"; gli altri numerosi spostamenti dei vari presunti "postini" rilevati da servizi di ocp tra il 6.12.2008 e il 14.2.2009 ecc.. La mancata interlocuzione difensiva su tali ulteriori elementi indiziari, che, maggiormente in assenza di specifiche confutazioni, appaiono dotati di significativa valenza dimostrativa, si traduce in una larga e rilevante aspecificità del ricorso rispetto al quadro indiziario analizzato dal Tribunale, con le ovvie conseguenze in ordine allo scrutinio di legittimità del provvedimento impugnato.

La difesa, infine, nemmeno contesta la qualificazione giuridica della condotta dell’indagato alla stregua dell’ipotesi accusatoria, ma in ogni caso appare corretta la contestazione della fattispecie associativa in considerazione della specifica attività di supporto offerta dal C. al R., in quanto refluente sull’operatività della consorteria criminale facente capo al secondo (vedi, in tema di aiuto prestato in modo generale e sistematico da un associato in favore di un altro partecipe latitante, Cass. Sez 6^, Sentenza n. 40966 del 08/10/2008 Imputato: Pillari; cfr. in termini, anche Cass. Sez. 6^ nr. 2533 del 26.11.2009, citata nell’ordinanza impugnata, dove l’individuazione del criterio distintivo tra le condotte di partecipazione all’associazione per delinquere e quella di favoreggiamento personale, è operata con riferimento alla funzione della condotta di favore, che travalica i limiti del reato di cui all’art. 378 c.p., quando sia destinata non tanto a rispondere ai primari bisogni del soggetto favorito, quanto ad assicuragli autonomia operativa pur nella situazione di latitanza, garantendogli la continuità del flusso di notizie riguardanti il sodalizio e il mantenimento del controllo delle attività criminali).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 Disp. Att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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