Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-12-2010) 21-01-2011, n. 1861 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna di A.E.R.M., alla pena precisata in epigrafe, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 bis e 5, a lui ascritto per avere detenuto, a fini di spaccio, sostanza stupefacente del tipo cocaina.

Per quanto interessa in sede di legittimità la Corte territoriale ha rigettato il ricorso, convenite in appello, del Procuratore Generale della Repubblica avverso la sentenza di primo grado, con il quale veniva censurato l’aumento di pena applicato per la recidiva ex art. 99 c.p., comma 2 in misura inferiore ad un terzo.

La sentenza ha osservato sul punto che il contrasto rilevato dalla pubblica accusa tra il disposto dell’art. 99 c.p., comma 1, ai sensi del quale, nel caso di applicazione della recidiva, la pena deve essere aumentata nella misura di un terzo, e quello del secondo comma, che consentirebbe aumenti di pena fino alla metà, ma anche in misura inferiore al terzo, deve essere risolto sul piano interpretativo, attribuendo alla espressione del comma 1 "può essere sottoposto ad aumento di un terzo", il significato "fino ad un terzo", previa valutazione discrezionale del caso concreto. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte territoriale, che la denuncia per violazione di legge.

Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento la pubblica accusa ricorrente denuncia l’interpretazione del disposto di cui all’art. 99 c.p., comma 1, contenuta nella sentenza impugnata. Si deduce che tale interpretazione contrasta con il testo normativo, che attribuisce al giudice il potere di decidere se tener conto della recidiva, ma non lascia alcuna discrezionalità in ordine al quantum dell’aumento di pena, che viene fissato nella misura di un terzo.

Dal dato normativo, pertanto, deriva necessariamente che nell’ipotesi di recidiva di maggiore gravità, cosiddetta qualificata, l’espressione del disposto di cui all’art. 99 c.p., comma 2, che prevede l’aumento della pena "fino alla metà", debba essere interpretato nel senso di aumento della pena da un terzo fino alla metà.

Si deduce che da una diversa interpretazione di tale disposto, nel senso che all’ipotesi di recidiva più grave possa corrispondere un aumento di pena inferiore a quello previsto per l’ipotesi di recidiva semplice, deriva la manifesta illegittimità costituzionale della norma per la sua evidente irrazionalità.

In subordine, pertanto, si deduce la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99 c.p., comma 2, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che l’aumento di pena fino alla metà non debba partire dal minimo di un terzo come stabilito dal medesimo art. 99 c.p., comma 1.

Il ricorso è fondato.

Il testuale dato normativo dell’art. 99 c.p., comma 1, secondo il quale, in caso di recidiva, l’imputato "può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo" non consente l’interpretazione prospettata nella impugnata sentenza circa la discrezionalità della misura dell’aumento di pena in detta ipotesi.

La necessità di interpretare la norma nel suo significato letterale deriva anche dall’esame dell’evoluzione legislativa in materia, caratterizzata da un inasprimento del trattamento sanzionatorie previsto per la recidiva a seguito della sostituzione del precedente testo dell’art. 99 c.p. disposta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 4.

La precedente formulazione della norma, infatti, attribuiva al giudice, in tutti i casi, salva l’ultima ipotesi di cui al comma 4, il potere di determinare discrezionalmente l’aumento di pena da applicarsi per la recidiva, ove ritenuta operante, nel limite massimo stabilito dalla legge.

E’ evidente, pertanto, che la statuizione puntuale della misura dell’aumento di pena stabilito per la recidiva dalla norma attualmente vigente non possa essere interpretata altrimenti che quale volontà legislativa di escludere qualsiasi discrezionalità dell’organo giudicante nella determinazione della sua misura, fermo restando il potere di escludere la recidiva stessa.

Deriva da tale interpretazione dell’art. 99 c.p., comma 1, che il secondo comma debba necessariamente essere interpretato nei termini prospettati dalla pubblica accusa ricorrente, nel senso che l’aumento di pena da applicarsi per la recidiva qualificata deve essere determinato nella misura da un terzo alla metà.

Una diversa interpretazione renderebbe irrazionale il disposto dell’art. 99 c.p., comma 2, rispetto alla previsione contenuta nel primo, essendo consentito per la recidiva più grave un aumento discrezionale di pena inferiore a quello stabilito per l’ipotesi di recidiva semplice.

Contrasterebbe inoltre con la ratio della novella che, ferma restando la discrezionalità nella applicazione della recidiva, ha inteso sottrarre all’organo giudicante, in quasi tutti i casi, ogni discrezionalità nella determinazione della misura dell’aumento di pena.

Per completezza di esame la Corte, di ufficio, rileva che i giudici di merito hanno erroneamente considerata l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5quale fattispecie autonoma di reato, sulla quale sono stati calcolati gli aumenti di pena per le aggravanti, senza procedere al giudizio di comparazione ex art. 69 c.p..

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame in ordine alla determinazione della pena che tenga conto degli esposti rilievi in punto di diritto.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo esame sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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