T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 440 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premette in fatto l’odierno ricorrente una ricostruzione degli incarichi nel tempo ricoperti, rappresentando in proposito di aver inizialmente svolto l’incarico di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Ragusa, e – a seguito della soppressione delle Procure circondariali – di avere successivamente chiesto e ottenuto l’incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Siracusa, sostenendo come lo stesso gli sia stato conferito nel prevalente interesse dell’Amministrazione al fine di evitare lo svilimento di funzioni e, quindi, come esso sia qualificabile quale trasferimento d’ufficio come riconosciuto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 9224 del 2003. Da detto incarico egli è poi decaduto per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 111 del 2007, restando assegnato presso il medesimo ufficio con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica.

Successivamente ha assunto, dal 7 maggio 2009, a domanda, l’incarico semidirettivo di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Catania.

Dovendo l’assunzione di tale incarico considerarsi, secondo parte ricorrente, come trasferimento d’ufficio in quanto avente causa immediata e diretta nel processo di riorganizzazione dell’apparato giudiziario e, dunque, avvenuto nel prevalente interesse dell’Amministrazione, lo stesso non sarebbe soggetto ad alcun termine di permanenza con conseguente possibilità per il ricorrente di partecipare a procedure per l’assegnazione ad altre funzioni.

Il ricorrente ha pertanto presentato domanda per il conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina, ma è stato considerato non legittimato per mancato decorso dei tre anni di cui all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941 e dunque escluso dalla procedura, come risultante dalla pubblicazione della graduatoria sulla intranet del C.S.M..

Avverso tale esclusione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 194, comma 1, del R.D. n. 12 del 1941.

Sostiene il ricorrente come l’epigrafata norma si riferisca unicamente ai trasferimenti a domanda, laddove l’incarico dallo stesso svolto deve essere qualificato quale trasferimento d’ufficio, invocando, a sostegno di tale tesi, la sentenza del Consiglio di Stato n. 9224 del 2003 che ha considerato il trasferimento del ricorrente da Ragusa a Siracusa nelle funzioni di Procuratore Aggiunto della Repubblica quale trasferimento che, avendo causa diretta ed immediata nel processo di riorganizzazione degli uffici giudiziari, risponde in via prioritaria a preminenti esigenze dell’Amministrazione, e riconoscendo su tale base la spettanza dell’indennità di missione non ostandovi la circostanza che il movimento sia avvenuto a richiesta.

Afferma, quindi, il ricorrente che ricorrerebbero, nel caso in esame, i medesimi presupposti legittimanti la qualificazione del suo spostamento dalla sede di Siracusa a quella di Catania come trasferimento d’ufficio in quanto determinato dal processo di riorganizzazione dell’apparato giudiziario discendente dalla legge n. 111 del 2007 ed avvenuto nel prevalente interesse dell’Amministrazione, significando in proposito che il mantenimento della sede di servizio di Siracusa dopo la decadenza dall’incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica avrebbe comportato lo svolgimento di funzioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, laddove l’assunzione dell’incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Catania ha consentito lo svolgimento di funzioni superiori rispetto a quelle precedentemente svolte, senza che alla indicata qualificazione del movimento come trasferimento d’ufficio possa ostare il fatto che lo stesso sia avvenuto a domanda.

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 37, commi 1 e 6, del D.Lgs. n. 51 del 1998.

Afferma parte ricorrente che, in quanto già Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Ragusa, rientrerebbe nel campo di applicazione dell’art. 37, comma 6, del D.Lgs. n. 51 del 1998, ai sensi del quale non sono soggetti all’osservanza di alcun termine di permanenza, tra gli altri, i Procuratori della Repubblica presso le preture circondariali, con conseguente diritto al trasferimento ad altre sedi od incarichi in deroga all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941.

Sostiene, inoltre, in proposito, parte ricorrente, come la citata norma non prevederebbe alcun limite alla sua applicazione, dovendo conseguentemente la consentita deroga essere riconosciuta per tutta la durata della carriera dei soggetti cui è riconosciuta.

Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 23 luglio 2010, parte ricorrente ha dedotto, a sostegno della proposta azione, i seguenti motivi di censura:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 194, comma 1, del R.D. n. 12 del 1941 sotto diverso profilo.

Nel precisare, parte ricorrente come la domanda per l’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina sia volta all’assegnazione di funzioni direttive, superiori rispetto a quelle semidirettive esercitate, sostiene come non possa applicarsi il limite triennale di permanenza minima nell’ufficio giudiziario, previsto dall’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941, riportandosi in proposito a quanto affermato nella sentenza del TAR Lazio n. 1333 del 2009, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5661 del 2009.

Con ordinanza n. 2498/2010 è stata rigettata la domanda cautelare di sospensione degli effetti del gravato provvedimento.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla pubblica udienza del 24 novembre 2010, la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento implicito con cui il ricorrente è stato escluso dalla procedura per il conferimento dell’incarico direttivo di Procuratore della Repubblica di Latina in quanto ritenuto non legittimato per mancato decorso del triennio di permanenza nell’incarico rivestito di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Catania.

Il ricorso è fondato avuto riguardo al profilo di censura sollevato con ricorso per motivi aggiunti, depositato il 23 luglio 2010, non ritenendo il Collegio l’applicabilità del limite triennale di permanenza minima nell’ufficio giudiziario, previsto dall’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941, alle ipotesi di passaggio da funzioni semidirettive a funzioni direttive.

Come è invero noto, l’art. 194, comma primo, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e successive modificazioni, rubricato con la voce "tramutamenti successivi", dispone che il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di tre anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell’ufficio, salvo che ricorrano gravi ragioni di servizio o di famiglia"

Con decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 maggio 1984, n. 421 è stato affermato che detta disposizione non può che riguardare i trasferimenti ed il conferimento di funzioni chiesti ed accettati in costanza di status giuridico, giacché altrimenti essa avrebbe l’effetto di precludere, per lo spazio di tempo indicato, la progressione in carriera del magistrato, senza che però di ciò emerga indicazione alcuna nella disposizione stessa, né tanto meno nelle norme che all’epoca regolavano detta progressione (artt. 131 e segg. del r.d. cit.).

A riprova della fondatezza di tale interpretazione è da osservare che il menzionato art. 194 si richiama in rubrica, come si è ricordato, ai "tramutamenti" dei magistrati e, cioè a concetto che, ai sensi del precedente art. 192 si riferisce ai mutamenti di sede esulanti dagli allora previsti avanzamenti in carriera, contemplati invece, con diversa titolazione, dall’art. 193. Talché lo stesso conferimento di nuove funzioni, pure compreso nella previsione dell’art. 194 cit., deve coerentemente intendersi come riguardante vicenda conseguente (non a promozione ma) a mero passaggio tra funzioni diverse orizzontalmente ordinate.

Ulteriore conferma di tale conclusione è dato poi trarre dall’art. 195 del r.d. citato, secondo cui "le disposizioni degli artt. 192 e 194 non si applicano ai presidenti e ai procuratori generali di Corte d’appello, nonché ai magistrati ad essi equiparati". Nella sua ottica derogatoria rispetto alla regola generale, in tale norma è evidenziato il nesso che lega l’art. 194 al (solo) precedente art. 192 e dunque, implicitamente, la sua estraneità alla fattispecie di cui al menzionato ora abrogato art. 193. Norma quest’ultima che all’epoca si considerò evidentemente di non richiamare nell’art. 195, in quanto la fattispecie da essa disciplinata esulava già di per sé dalla preclusione temporale di cui all’art. 194.

L’esposta interpretazione risponde e risulta conseguentemente avvalorata anche da una ben precisa ragion d’essere.

Invero, il trasferimento di sede o l’assegnazione a funzione equiordinata alla precedente risponde primariamente all’aspirazione del magistrato ad ottenere una nuova collocazione che egli ritiene per sè più soddisfacente, donde la prevalenza del pubblico interesse, sotteso appunto alla norma dell’art. 194 cit., a che sia previamente assicurata una determinata continuità della sua attività nella sede o nella funzione in atto.

Viceversa, nel passaggio a funzioni superiori emerge in primo luogo l’interesse pubblico a che la loro copertura sia disposta tramite selezione dei più meritevoli candidati in possesso dei requisiti professionali prescritti, interesse rispetto al quale, quindi, l’applicazione della preclusione temporale contemplata dall’art. 194 si porrebbe in evidente dissonanza.

Come bene rimarcato dal ricorrente con l’atto di motivi aggiunti, la descritta portata dell’art. 194 cit. è confermata, sul piano ermeneuticosistematico, dall’interpretazione data dalla giurisprudenza alle norme affini relative all’ordinamento dei magistrati amministrativi.

Invero, a fronte della disposizione (l’art. 21 della legge 27 aprile 1982, n. 186) la quale prevede che la nomina a presidente di Sezione del Consiglio di Stato e quella a presidente di Tribunale amministrativo regionale comportano l’obbligo, per il nominato, di permanere della sede di assegnazione per un periodo non inferiore a tre anni, salvo il caso del trasferimento d’ufficio disposto dalle norme in materia, sia la III sezione di questo Tribunale amministrativo regionale, con sentenza 9 febbraio 2009, n. 1333, sia successivamente in sede di appello la IV sezione del Consiglio di Stato, con decisione 22 settembre 2009, n. 5661, hanno negato l’operatività della previsione in ipotesi di nomina alla superiore qualifica di Presidente aggiunto del Consiglio di Stato,

A tale conclusione le pronunce sono pervenute, omogeneamente rispetto a quanto a suo tempo rilevato a proposito del più volte menzionato art. 194 del r.d. n. 12, nella considerazione che tale nomina costituisce una progressione di carriera "…rispetto alla quale le legittime aspettative del magistrato non potrebbero essere limitate se non con una norma espressa, che introduca un divieto di assumere tali funzioni per coloro che ricoprono alcuni uffici direttivi da tempo inferiore ad un determinato periodo" (così, testualmente, la citata sentenza di questo Tribunale regionale).

Il descritto indirizzo interpretativo non può, d’altro canto, ritenersi superato a seguito della complessiva riforma che nel 2006 ha investito l’ordinamento giudiziario, eliminando la distinzione e la progressione per qualifiche e sostituendola, per un verso, con una successione di progressive valutazioni di professionalità e, per altro verso, con una autonoma procedura per il conferimento di funzioni.

Pur a seguito di tali modificazioni, resta invero fermo tuttora il fatto che varie di dette funzioni continuano ad essere ordinate secondo una ben precisa scala progressiva di valore.

Tanto emerge, anzitutto, dalla loro intrinseca natura, differenziandosi talune di esse per la maggiore o minore ampiezza di compiti, di responsabilità, di poteri, etc., rispettivamente inerenti. Significativamente, del resto, l’art. 10 del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, utilizza, ai fini della loro distinzione, il concetto di "gradi" differenziati.

Inoltre, la stessa circostanza che per il conferimento delle diverse funzioni sia richiesto il possesso di più o meno elevati livelli di valutazione della professionalità costituisce, a sua volta, chiaro indice del maggiore o minore rilievo delle funzioni medesime.

Ciò stante, atteso che nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento della magistratura ordinaria nessuna modifica è stata apportata al più volte menzionato art. 194 del r.d. n. 12 del 1941, è da ritenere che esso abbia mantenuto in toto la sua preesistente portata e che, dunque, continui ad attenere ai soli meri trasferimenti di sede e tra funzioni equiordinate e non anche ai passaggi a funzioni superiori.

In base alle esposte considerazioni, poiché nella specie si verte in ipotesi di passaggio da funzioni di grado inferiore (semidirettive) a funzioni di grado superiore (direttive), illegittimamente è stata disposta l’esclusione del ricorrente dal relativo procedimento in applicazione dell’art. 194 cit. Ciò comporta l’annullamento altresì dell’esito del procedimento stesso e la necessità del suo rinnovo emendato dal vizio predetto.

Restano per l’effetto assorbite le altre questioni dedotte.

Sussistono giustificate ragioni per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 4197/2010 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso di cui in motivazione.

Dispone l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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