T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 426 Avvocato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Espone preliminarmente il ricorrente di aver presentato, in data 8 novembre 2010, domanda di ammissione alle prove scritte dell’esame per l’iscrizione nell’Albo degli Avvocati indetto con D.M. 13 luglio 2010, riservandosi di presentare il certificato attestante il compimento della pratica forense successivamente al relativo rilascio da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma (avvenuto in data 16 novembre 2010).

Tale certificazione veniva quindi dall’interessato depositata presso la Corte d’Appello di Roma alla data del 25 novembre 2010 (successiva alla scadenza del termine per la presentazione delle domande di ammissione all’esame, coincidente con il 24 novembre 2010), in quanto il dott. R. sarebbe stato a tanto impossibilitato, per il periodo compreso fra il 9 ed il 24 novembre, in ragione della sottoposizione a cure specialistiche con frequenza giornaliera e in orario 9.00 – 13.00.

Contesta ora la determinazione di esclusione dall’esame de quo – adottata in ragione della tardiva presentazione della certificazione anzidetta rispetto al termine perentorio indicato dall’art. 4, comma 4, lett. b) e comma 6 del D.M. 13 luglio 2010, nonché dall’art. 16 del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 e dall’art. 3 della legge 142/1989 – sulla base dei seguenti argomenti:

1) Violazione dell’art. 10bis della legge 241/1990. Violazione del generalissimo principio compartecipativo dell’istante, ex art. 10bis della legge 241/1990, propedeutico all’adozione del provvedimento negativo (sarebbe stata nella fattispecie omessa la preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, con riveniente vulnerazione del principio del contraddittorio anteriormente all’adozione della conclusiva determinazione);

2) Illegittimità dell’impugnata inibitoria per disapplicazione del principio giurisprudenziale di superamento della perentorietà del termine anche non processuale per cause di forza maggiore. Conseguente eccesso di potere per la restrittiva e rigorosa applicazione dell’art. 4, comma 4, lett. b) e comma 6 del D.M. 13 luglio 2010, nonché dall’art. 16 del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 e dall’art. 3 della legge 142/1989 (la pur rilevata perentorietà del termine per la presentazione delle domande di ammissione non escluderebbe l’applicazione del beneficio della rimessione allorché ricorrano, come nel caso di specie, circostanze di forza maggiore aventi valenza concretamente inibitoria ai fini del rispetto dello stesso).

Conclude la parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

La rilevata sussistenza dei presupposti indicati all’art. 60 del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (Codice del processo amministrativo) consente di trattenere la presente controversia – portata all’odierna Camera di Consiglio ai fini della delibazione dell’istanza cautelare dalla parte ricorrente incidentalmente proposta – ai fini di un’immediata definizione nel merito.

Prevede infatti la disposizione da ultimo citata che, "in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata".

Quanto ai presupposti per l’adottabilità della tipologia di decisione da ultimo indicata, va soggiunto come il successivo art. 74 del D.Lgs 104/2010 precisi che la sentenza in forma semplificata è suscettibile di definire il giudizio nel caso in cui l’adito organo di giustizia "ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso"; la relativa motivazione potendo "consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme".

Nel precisare che le parti presenti all’odierna Camera di Consiglio sono state al riguardo sentite, il ricorso all’esame si rivela infondato.

Il Collegio ben rammenta che la Sezione, con sentenza 21 luglio 2008 n. 7079 (resa in ordine a vicenda omogeneamente caratterizzata con riferimento all’esclusione dall’esame per Avvocato in ragione del tardivo deposito presso la competente Corte d’Appello della certificazione attestante il compimento della pratica forense) ebbe modo di osservare che:

– "pur avuto riguardo alla perentorietà del termine per la presentazione del certificato di compiuta pratica (finalizzata, in particolare alla necessità di una tempestiva verifica, da parte della Commissione, del possesso del relativo requisito da parte di tutti i candidati), deve escludersi che tale elemento escluda ex se l’applicazione del beneficio della rimessione in termini, qualora particolari circostanze rendano il richiedente meritevole dello stesso";

– tale "istituto trova… notoria applicazione anche all’interno del quadro normativo in materia di diritto processuale amministrativo, con riferimento alla stessa perentorietà del termine a ricorrere (e di cui è espressione l’errore scusabile), nonché al diritto processuale civile, ove trova riconoscimento nell’art. 184 bis c.p.c.; rammentandosi come la giurisprudenza abbia riconosciuto la possibilità di superamento della perentorietà del termine anche non processuale per cause di forza maggiore…";

– conseguentemente, "anche in presenza di un termine espressamente connotato dal carattere di perentorietà" deve ritenersi consentita la "derogabilità dello stesso in presenza di gravi ragioni di forza maggiore, purché si tratti di circostanze oggettive tali da impedire, in modo assoluto, la tempestiva allegazione della documentazione, non essendo scusabile il ritardo imputabile a negligenza o ignoranza dell’interessato circa la predetta perentorietà".

Dalle surriportate considerazioni la citata sentenza argomentava che la decisione nella circostanza assunta dalla Commissione (che aveva respinto l’istanza di rimessione in termini presentata dalla candidata), fosse inficiata sotto il profilo dell’adeguatezza motivazionale, in quanto sul predetto organismo incombeva l’onere di valutare l’eventuale presenza di "cause di forza maggiore tali da consentire deroga al principio della perentorietà del termine previsto dal bando per le prove di esame".

Tali conclusioni non possono trovare conferma nella vicenda ora all’esame, in quanto il ricorrente non risulta:

– aver presentato, presso la Commissione costituita presso la Corte d’Appello di Roma, alcuna richiesta di rimessione in termini;

– né, con essa, aver addotto alcun elemento (asseverato da compiuti rilievi documentali) attestante l’impossibilità, entro il termine perentorio previsto dalla lex specialis di procedura, di depositare l’attestazione di compiuta pratica.

Se, quindi, l’organismo deputato a valutare l’ammissibilità delle domande di partecipazione alla procedura selettiva non è stato, in alcun modo, posto in grado di apprezzare le (eventuali) ragioni ostative al rispetto dell’anzidetto termine (dall’interessato fatte valere esclusivamente nella presente sede giudiziale), va senz’altro escluso che la gravata determinazione, in quanto adottata sulla base degli elementi conoscitivi disponibili dalla Commissione medesima, abbia operato una non corretta applicazione del ricordato principio di perentorietà del termine per la presentazione delle istanze di che trattasi.

Va, poi, ulteriormente soggiunto che, nel quadro delle argomentazioni esplicitate con l’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente non ha offerto dirimente dimostrazione del carattere assolutamente ostativo dell’impedimento dallo stesso accreditato a presupposto del mancato rispetto del termine in discorso: dalla documentazione acquisita al giudizio non emergendo, con carattere di inequivoca concludenza, la valenza insuperabilmente preclusiva, ai fini dell’osservanza del termine de quo, assunta dal ciclo di cure alle quali il dott. R. è stato sottoposto nel periodo 924 novembre 2010.

Sotto tale profilo, va ulteriormente rilevato che – come osservato dall’Avvocatura Generale dello Stato con memoria depositata il 7 gennaio 2001 – il certificato di compiuta pratica forense risulta essere stato all’interessato rilasciato in data (4 novembre 2010) di ben venti giorni anteriore alla scadenza del relativo termine di presentazione ai fini della partecipazione all’esame de quo: né era in alcun modo prescritto che tale adempimento dovesse essere attuato personalmente dal candidato.

Se, conseguentemente, le relative censure non possono trovare accoglimento, parimenti incondivisibili sono le doglianze con le quali parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità della determinazione gravata in ragione della mancata comunicazione del preavviso di rigetto dell’istanza di ammissione alla selezione: a tale riguardo dovendosi rammentare come le disposizioni di cui all’art. 10bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 (inserito dall’art. 6 della legge 11 febbraio 2005 n. 15) non siano applicabili "alle procedure concorsuali".

Ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio la reiezione del presente gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), immediatamente ritenuto per la decisione nel merito, ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (Codice del processo amministrativo), il ricorso indicato in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente R. S. al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero della Giustizia per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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