Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-11-2010) 21-01-2011, n. 1846 Appello; Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. – Con ordinanza n. 2733/09 T.L.R resa il 21.12.2009 e depositata il 28.12.2009 il Tribunale del Riesame di Torino, accoglieva l’appello ex art. 310 c.p.p., proposto dal procuratore della repubblica avverso le ordinanze di aggravamento-reiezione 4.11.2009 e 28.11.2009 del GIP del Tribunale di Ivrea ed applicava a V. J., in relazione ai fatti ascritti, qualificati come reati di cui:

1) all’art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 648 c.p.; 2) di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4, 7, per aver ricevuto, portato, nascosto e custodito nella soffitta dell’abitazione di G.A. in (OMISSIS) 21, 7 fucili, munizionamento illegale ed un giubbotto antiproiettile provenienti avvenuti il (OMISSIS), la misura della custodia cautelare in carcere. In particolare il tribunale del riesame rileva che: 1) è provata la compartecipazione di V. J. nel fatto ipotizzato sulla base delle dichiarazioni accusatorie rese da G.A., all’epoca soggetto coindagato, che puntualmente ricostruì le modalità con le quali le armi erano state portate nell’abitazione in (OMISSIS), e non condivide la valutazione che di tali dichiarazioni fece il GIP considerando l’episodio riferito dalla coimputata "privo di contestualizzazione e riscontri obiettivi". Inoltre il ritrovamento di documenti personali di J. nel medesimo luogo di custodia ed affianco alle armi, costituisce ulteriore conferma della sua consapevole compartecipazione al fatto, senza che la testimonianza della sorella P., per il rapporto di parentela e per il suo coinvolgimento nella vicenda (quale trait d’union tra il fratello e la famiglia G.), possa avere significativa incidenza di segno contrario. 2) Sussistono le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. A) e c). Riguardo alla lettera c) – l’elevata gravità del fatto per essersi prestato unitamente al fratello Vi. a custodire le armi in favore di C.E., personaggio noto per la sua affiliazione a gruppi di stampo mafioso – l’aver approfittato unitamente a Vi. della copertura e ingenuità del nucleo G. tanto da arrivare a nascondere presso la loro abitazione le armi (7 fucili tra cui un Remington mod. 700, a puntamento ottico di precisione, e con capacità di colpire bersagli a 500 metri di distanza, oltre ad un giubbotto antiproiettile).

Circostanze, queste, che denotano una condotta e tratti di personalità tali da sostanziare un giudizio di notevole pericolosità sociale e di pericolo di recidivanza, anche specifica, in capo a V.J., a cagione anche della pesante condanna riportata per tentato omicidio ai danni del convivente della ex moglie, il quale sopravisse alle molteplici coltellate infertegli solo grazie al pesante abbigliamento indossato. Riguardo alla lett. A) Possibilità di inquinamento probatorio desumibile dal fatto che il J., unitamente al fratello Vi., ha ampiamente sfruttato le disagiate condizioni, di disagio psichico e materiale, del nucleo G., dimostrando di essere in grado di imporre ai componenti la sua volontà, possa indurli a rendere dichiarazioni compiacenti. 3) L’inferiore cautela proposta dalla difesa, arresti domiciliari presso la sorella P., è alternativa da scartare, sia per l’entità delle esigenze ravvisate, sia per il diretto coinvolgimento della V.P. nella vicenda che porta a desumere che essa potrebbe prestarsi a fungere da tramite tra J. e la Famiglia G., in violazione delle esigenze di salvaguardia della genuinità delle prove. Dunque unica ed adeguata cautela per V.J., per evitare che torni a commettere fatti inerenti il traffico di armi, è la custodia in carcere.

1.2.- Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il V. per i seguenti motivi:

1) Con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b). Insussistenza del rischio di recidivanza specifica in capo al prevenuto. Il Collegio ha infatti ritenuto di riferirsi, senza fare riferimento alcuno alle circostanze del fatto, contrariamente al dettato normativo dell’art. 274 c.p.p., lett. C), alla precedente condanna per tentato omicidio riportata dal V. per fatto risalente a più di cinque anni addietro e senza che il medesimo avesse, nel frattempo, posto in essere alcuna condotta rilevante ai fini penali. La precedente condanna riguardava il delitto di tentato omicidio commesso con dolo d’impeto ed in circostanze di fatto tali da rendere la relativa condotta irripetibile, come risulta dalla sentenza presente in atti.

Tra i due reati non è dunque ravvisabile quell’identità di indole, e neppure l’identità di specie, che sole potrebbero tare ritenere configurato il tipo di recidivanza ritenuto dal Tribunale.

2) In via subordinata, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e). Adeguatezza del regime degli arresti domiciliari. Il Collegio non ha fornito adeguata motivazione circa le ragioni per cui la misura degli arresti domiciliari – a prescindere dal luogo della stessa – sia stata ritenuta assolutamente non idonea allo scopo, nè proporzionata all’entità e gravità dei fatti reato oggetto di indagine. Deve essere rilevato, in proposito, come, nell’attuale codice di procedura gli arresti domiciliari siano configurati quale misura cautelare autonoma, parificata alla custodia cautelare in carcere (art. 284 c.p.p., comma 5), sebbene diversificandosi per il carattere obbligatorio con riferimento alla prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione, nonchè per l’assenza di una vera e propria forma di coercizione diretta. La giurisprudenza ha poi affermato che l’astratta possibilità che l’imputato, per l’inefficacia dei controlli disposti possa allontanarsi dal domicilio, non vale ad escludere l’idoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

1.3.- Il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

2.1.- Con decisione in data odierna questa Corte ha ritenuto fondate le doglianze proposte da altro ricorrente relativamente alla irritualità, ai sensi degli artt. 582 e 583 c.p.p., dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del giudice delle indagini preliminari di Ivrea; la decisione preliminare in ordine alla sussistenza dei medesimi vizi in procedendo relazione anche all’attuale ricorrente, coimputato dell’altro e attinto dalla medesima ordinanza 21.12.2009 del Tribunale del Riesame di Torino, rende superflua la disamina dei motivi di ricorso esposti.

2.2.- Deve, quindi, anche in relazione al presente ricorso rilevarsi che: lo schema del procedimento di appello nella materia cautelare ricalca quello previsto per il riesame: l’art. 310 c.p.p., comma 2, richiama, infatti, l’art. 309 c.p.p., comma 4, il quale rimanda alle modalità e forme di presentazione previste, in generale per le impugnazioni, dagli artt. 582 e 583 c.p.p.; in particolare: l’art. 582 c.p.p., comma 1, prescrive che l’atto di impugnazione deve essere presentato, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, dalla parte personalmente o a mezzo di un incaricato, e il pubblico ufficiale addetto deve apporvi l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto, l’indicazione della persona che lo presenta e la propria sottoscrizione; l’art. 583 c.p.p., comma 1, prevede, inoltre, che le parti possano proporre impugnazione con telegramma, oppure con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria indicata nell’art. 582 c.p.p., comma 1, in questo caso il pubblico ufficiale addetto alla deve allegare agli atti la busta contenente l’atto di gravame ed apporre su quest’ultimo l’indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione. La proposizione dell’atto di appello, o di qualsiasi altro gravame, con modalità diverse o difformi è sanzionata con l’inammissibilità dell’impugnazione dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), ciò a prescindere dalla circostanza che parte ricorrente sia, come nel caso di specie, il pubblico ministero. La dichiarazione di impugnazione è, dunque, un atto a forma vincolata, dovendosi accertare con sicurezza l’autenticità della sottoscrizione, per cui le modalità di presentazione e di ricezione assumono la veste di requisiti di forma che non ammettono equipollenti. La certezza della ritualità è data dall’attestazione del pubblico ufficiale che riceve l’atto.

Con riferimento alla previsione dell’art. 582 c.p.p., comma 1, quando parte impugnante sia il pubblico ministero, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che al novero dei soggetti abilitati alla presentazione appartengono coloro che siano a ciò espressamente delegati, anche in forma orale, purchè tale loro qualità sia desumibile dalla natura dei rapporti o delle relazioni intercorrenti fra il presentatore e il sottoscrittore dell’atto. Il pubblico ministero, dunque, può avvalersi di tale disposizione dando incarico a persona addetta al suo ufficio la quale, fungendo da mero tramite materiale ai fini della presentazione dell’atto nella cancelleria del giudice competente, non necessita un formale atto di delega, atteso il rapporto di "immedesimazione organica" per cui l’attività materiale del dipendente, nell’ambito delle funzioni demandate all’ufficio di cui fa parte, non può che essere ricondotta a disposizioni impartite dal titolare dell’ufficio stesso o da chi ne fa le veci (la casistica da conto di fattispecie in cui il Procuratore della Repubblica aveva dato incarico a un autista addetto all’ufficio: v. Cass. Sez. 6, sent. 7 luglio 2006, Sicuranza e altri;

Cass. Sez. 2, sent. 12 giugno 2002, n. 35345, Cordella; Cass. Sez. 5 sent. 21 ottobre 1998, n. 12754, Trimarco; Cass. Sez. 6, Sent.

26/02/1997, n. 4947 Musca e altro).

Riguardo all’ipotesi disciplinata dall’art. 583 c.p.p., comma 1, anche quando parte impugnante sia il pubblico ministero, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso dell’inderogabilità della spedizione dell’atto di impugnazione a mezzo di raccomandata o telegramma, tanto da escludere – con la sola eccezione di Sez. 2A, 8 gennaio 1991, n. 16, ric. Calla- la utilizzazione, anche da parte della pubblica accusa, di strumenti di trasmissione diversi, come telescrivente e telefax, i quali, pur garantendo la ricezione dell’atto di impugnazione non sono, comunque, idonei a garantirne anche la provenienza (Cass. 14.7.1993, ric. Melis, rv. 195056; Cass. Sez. 1, 24.10.1996, n. 5530, ric. Patacca; Cass. 16 novembre 1999, ric. Carbone, rv. 215020; Cass. Sez. 4, Sentenza 1.6.2000, n.3265;

Cass. Sez. 6, 22 .10.2001, n. 42473, ric. Derwishi; Cass. Sez. 1, Sent. 07/11/2001, n.45711; Cass. Sez. 2, Sent. 20/11/2003, n. 48234, imp. Flammia; Cass. Sez. 4, sent. 27/10/2004, n.47959 ric. Iannello;

Cass. Sez. 1, sent. 4.4.2006, n. 16776, ric. PG in proc. Cozza e altro). Dunque la generale disciplina dettata dagli artt. 582 e 583 c.p.p., come sopra esaminata, e salve le particolari forme contemplate dall’art. 123 c.p.p., per chi si trovi in stato di detenzione, prevede che ogni atto di impugnazione deve essere presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, oppure deve essere spedito alla stessa cancelleria, con modalità e forme particolari atte a garantire non solo la ricezione, ma anche e soprattutto, l’autenticità della provenienza.

2.3.- Da un punto di vista tecnico-sistematico, il "presentare" un’impugnazione si distingue dallo "spedire" un’impugnazione e al fine di stabilire se l’impugnazione stessa sia rituale, perchè solo così è validamente instaurato primo momento processuale di introduzione del giudizio, è indispensabile poter verificare se la proposizione dell’atto di gravame sia avvenuta con le forme dell’art. 582 c.p.p., comma 1, ovvero con quelle disciplinate dall’art. 583 c.p.p., comma 1.

Nel caso di specie, trattandosi di doglianza relativa ad errore in "procedendo", la Corte ha provveduto alla disamina degli atti ed è risultato che sull’atto di appello del pubblico ministero è apposto un timbro della cancelleria del giudice a quo ove, cancellata la dicitura "depositato", è presente la dicitura "pervenuto" con l’indicazione, manoscritta, della data del pervenuto ed una firma; è pure allegata una busta gialla, priva di affrancatura, con recante l’indirizzo "Tribunale del Riesame".

La mancanza di qualunque indicazione sulle modalità con le quali l’atto di appello è "pervenuto" alla cancelleria del giudice a quo, posto che la dicitura adoperata, esclusa con esplicita cancellatura la modalità del deposito, lascia il più ampio margine di ipotizzabilità in ordine ai modi attraverso i quali il recapito possa essere avvenuto e, di conseguenza, non consente di ritenere che sia stata realmente assicurata, oltre alla ricezione, anche e soprattutto, l’autenticità della provenienza dell’atto medesimo. Di certo l’impugnazione non è stata spedita per raccomandata o con telegramma, di ciò non vi è riscontro in atti, ma non può neppure presumersi che sia stata presentata dal pubblico ministero personalmente o da un addetto al suo ufficio a ciò, anche implicitamente, incaricato. Deve in proposito essere rilevato che seppure è principio acquisito alla giurisprudenza di legittimità che "non è causa di inammissibilità dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero il fatto che, in sede di attestazione dell’avvenuta presentazione del gravame, sia stata omessa, da parte del pubblico ufficiale addetto alla ricezione, l’indicazione, prevista dall’art. 582 c.p.p., comma 1, della persona che ha provveduto alla presentazione stessa, quando la chiara intestazione dell’atto di impugnazione, non lascia dubbi circa l’avvenuta identificazione di detta persona" (Cass. Sez. 1, sent. 2 .4.1992 n. 1448, Liberati; Cass. Sez. 2, sent. 1, 1.4.2000 n. 2017, Mannuccia; e da ultimo, Cass. Sez. 5, sent. 25.5. 2006, n. 506, Genovese e altri;

Cass. Sez. 1, sent. 5.11. 2009 n. 46171, Tancredi) è anche principio recepito che, pur in presenza di atto recante l’intestazione dell’ufficio della procura della repubblica, non qualunque modalità di invio o presentazione debba ritenersi conforme a legge o, comunque, tale da assicurare certezza circa l’autenticità dell’atto e la riconducibilità del medesimo a soggetto che abbia il diritto di interporre gravame (in questo senso Cass. Sez. 5, sent. 2.7.2008, n. 42064, De Alexandris; nonchè le già citate: Cass. 14.7.1993, ric. Melis, rv. 195056; Cass. Sez. 1, 24.10.1996, n. 5530, ric. Patacca;

Cass. 16.11.1999, ric. Carbone, rv. 215020; Cass. Sez. 4, Sentenza 1.6.2000, n.3265; Cass. Sez. 6, sent.22 .10.2001, n. 42473, ric. Derwishi; Cass. Sez. 1, Sent. 7.11.2001, n.45711; Cass. Sez. 2, Sent.

20.11.2003, n. 48234, imp. Flammia; Cass. Sez. 4, sent. 27.10.2004, n.47959 ric. Iannello; Cass. Sez. 1, sent. 4.4.2006, n. 16776, ric. PG in proc. Cozza e altri).

Nel caso in esame neppure è dato stabilire se vi sia stata "presentazione" dell’atto di impugnazione presso la cancelleria del giudice a quo, art. 582 c.p.p., comma 1, ovvero l’atto sia stato inviato, o anche spedito, e sia, quindi, pervenuto a quell’ufficio con mezzo diverso da quelli tassativamente indicati dall’art. 583 c.p.p., comma 1.

L’impossibilità di stabilire l’osservanza delle forma prescritte, finalizzate a garantire l’autenticità dell’atto e la legittimità della sua presentazione, rende inammissibile l’appello del pubblico ministero; ne consegue che l’ordinanza 21.12.2009 del Tribunale di Torino – Sezione del Riesame, pronunciata a seguito dell’appello inammissibile, deve essere annullata.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e dichiara inammissibile l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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