T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 18-01-2011, n. 131

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente gestisce dal 1969 l’autorimessa pubblica interrata ubicata in Milano, Largo Corsia dei Servi 15 che aveva realizzato all’epoca in virtù di una concessione per costruzione e gestione della durata trentennale rilasciata dal Comune di Milano proprietario del suolo e rinnovata come gestione per ulteriori trent’anni nel 1999.

Si tratta pertanto di un rapporto fondato su un atto di natura amministrativo con cui il Comune di Milano ha disposto di un bene appartenente al demanio comunale, quale pertinenza di strada pubblica destinata ad uso pubblico.

La società ricorrente veniva a conoscenza del fatto che detto bene era stato inserito tra quelli che il Comune di Milano aveva conferito ad una società di gestione di fondo comune di investimento immobiliare.

Il ricorso descriveva nei dettagli il succedersi delle operazioni che avevano portato alla creazione del Fondo, all’individuazione della società che avrebbe dovuto gestirlo ed all’individuazione dei beni da conferire o alienare con le relative stime.

Per quanto riguarda il bene gestito dalla società ricorrente esso era stato inserito, limitatamente al diritto di superficie per la durata di novanta anni, tra i beni immobili apportati dal Comune al Fondo nel dicembre del 2007 cessando di essere un bene comunale.

Ciò ha comportato una modifica unilaterale del titolare del rapporto di concessione che non è più l’ente pubblico ma un soggetto privato con assoluta incertezza circa la permanenza dei poteri in tema di tariffe e di vigilanza e controllo del Comune e della possibilità di esercitare il diritto di prelazione accordato dalla concessione del 1999.

Il ricorso avverso i numerosi atti indicati in epigrafe presenta ben trentadue motivi distinti in tre gruppi: i primi nove riguardano l’illegittimità degli atti relativi all’operazione finanziaria contestata in quanto incidenti sull’autorimessa interrata oggetto della concessione amministrativa del 23.12.99; ulteriori quattordici motivi riguardano l’illegittimità dell’operazione finanziaria destinata alla valorizzazione del patrimonio immobiliare mediante costituzione di un fondo immobiliare chiuso e degli atti preparatori compresi quelli che hanno portato al formarsi della volontà del Comune con conseguente invalidità degli atti di apporto dei beni; gli ultimi nove motivi attengono all’illegittimità degli atti comunali relativi alla procedura di selezione della S. incaricata di costituire e gestire il fondo.

Prima di analizzare i singoli motivi di ricorso occorre far presente che il Comune di Milano, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito il difetto di legittimazione processuale a ricorrere nonché l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso poichè il Fondo Immobiliare ha trascritto a suo favore l’atto di apporto del bene in contestazione mentre la società ricorrente, che ha promosso una causa innanzi al giudice ordinario per la declaratoria di un diritto di superficie non ha trascritto la sua domanda giudiziale con conseguente applicazione del principio della priorità della trascrizione ex art. 2644 c.c.

In via subordinata chiedeva la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. e 79 c.p.a. per attendere l’esito del giudizio civile.

La R.R.E.A.G. S.p.A. si costituiva con memoria di stile e non depositava ulteriori atti difensivi.

Nella memoria di replica depositata in data 30.11.2010 il Comune eccepiva ulteriormente anche la tardività del ricorso facendo riferimento all’epoca di pubblicazione sull’albo Pretorio delle delibere impugnate.

All’udienza del 21.12.2010 il ricorso andava in decisione.

Motivi della decisione

Per ragioni di economia processuale occorre esaminare previamente le eccezioni di rito sollevate dal Comune a partire da quella di tardività che renderebbe irricevibile il ricorso.

Trattandosi di eccezione sollevabile d’ufficio il Comune l’ha potuta sollevare anche nella memoria conclusiva.

L’eccezione è infondata.

La società ricorrente, in qualità di soggetto direttamente interessato ad un bene oggetto della cessione al Fondo, doveva essere informata personalmente della cessione avvenuta del parcheggio da lei gestito in virtù della nota concessionecontratto del 1999; la cessione si è perfezionata in data 30.4.2008 e la comunicazione dei suoi effetti è avvenuta con la lettera ricevuta non prima del 27.5.2008 ad opera della società che gestisce il Fondo e sotto questo profilo il ricorso è tempestivo, essendo stato notificato in data 25.7.2008.

Va ora esaminata l’eccezione relativa al difetto di legittimazione della società ricorrente.

Il difetto di legittimazione scaturirebbe, secondo il Comune di Milano, dalla circostanza che il diritto di godimento, previsto dall’atto concessorio fino al 22.12.2029, non è intaccato dall’apporto del bene concessionato al Fondo immobiliare.

Erroneo sarebbe altresì il presupposto di vantare un diritto di superficie anziché una concessione di uso.

Legittima è insindacabile è la scelta del proprietario del bene di non ritenere più strategico il mantenimento in mano pubblica del bene e quindi di cederlo nelle forme ritenute più opportune senza intaccare i diritti dei terzi.

L’eccezione è solo parzialmente fondata poiché è proprio l’esistenza di una concessione amministrativa su uno dei beni conferiti che legittima l’intervento della M.P. Srl, che ben può opporsi a quegli atti che hanno modificato la natura del rapporto di diritto pubblico instaurato con il Comune.

La legittimazione, però, esiste limitatamente a questo aspetto e non, come ritenuto dalla società ricorrente, rispetto a tutta l’operazione posta in essere dal Comune di Milano in relazione alla valorizzazione del suo patrimonio immobiliare.

Ciò comporta l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, illustrati nelle parti B) e C) della parte in diritto del ricorso e che contestano l’illegittimità delle operazioni di costituzione del fondo immobiliare e della procedura di selezione della S. incaricata di costituire e gestire il fondo medesimo.

L’ulteriore eccezione di rito presentata dal Comune non può essere accolta perché non si tratta di stabilire quale atto sia stato trascritto prioritariamente e quindi a chi appartenga il diritto di superficie, oggetto questo della causa civile intentata dalla società ricorrente nel 2009, ma se era legittimo conferire un bene che era stato dato in concessione di uso ad altro soggetto modificando radicalmente il rapporto.

Da ciò si deduce altresì che non vi è alcuna necessità di sospendere il giudizio in attesa dell’esito della causa civile.

Vanno ora illustrati i nove motivi di ricorso che non sono stati dichiarati inammissibili.

Il primo lamenta la violazione degli artt. 823,comma 1, e 828, comma 2, c.c. e la carenza assoluta di potere e la nullità degli atti e dei negozi assunti e perfezionati per violazione di norme inderogabili nonché l’eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta e carenza di istruttoria.

Il bene oggetto di concessione rientra nel demanio o nel patrimonio indisponibile del Comune e ciò comporta l’inalienabilità e l’indisponibilità a mente dell’art. 823 c.c. violato dalla costituzione di un diritto di superficie in favore del Fondo.

Anche laddove si volesse qualificare il bene come appartenente al patrimonio indisponibile rimarrebbe la sua destinazione ad uso pubblico con cui è incompatibile la costituzione di un diritto di superficie in favore del Fondo.

Da queste premesse normative ne discende un’assoluta carenza di potere con conseguente nullità degli atti negoziali stipulati poiché in contrasto con norme imperative.

Vi è inoltre contraddittorietà con la determinazione di affidare il bene in concessione alla società ricorrente concessione che non risulta essere stata rimossa.

Il secondo motivo denuncia la violazione del principio generale dell’ordinamento in base al quale non possono essere colpiti diritti o facoltà di cui il cedente non sia già titolare e l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, illogicità, ingiustizia, difetto di istruttoria.

Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale il concessionario di un bene demaniale è titolare di una vera e propria proprietà superficiaria che non può sussistere in capo a due soggetti e quindi il comune ha ceduto un diritto di cui non era titolare non avendo in alcun modo revocato la concessione e ciò è sintomatico della superficialità dell’istruttoria svolta e della illogicità della decisione comunale.

Il terzo motivo contesta la violazione degli artt. 2 e 3 del Regolamento per l’alienazione dei beni immobili di proprietà del Comune di Milano, l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, illogicità, ingiustizia, difetto di istruttoria, contraddittorietà.

L’art. 2 citato prevede la cedibilità dei beni immobili demaniali solo se sia intervenuto un provvedimento di sdemanializzazione e peri beni del patrimonio indisponibile se sia venuta meno la destinazione a pubblico servizio.

Nel caso di specie non si è verificata nessuna delle due ipotesi.

Ma anche i criteri per l’individuazione dei beni da alienare di cui all’art. 3 del citato Regolamento non sono rispettati; i cinque criteri individuati fanno riferimento: a) beni a bassa redditività o a gestione particolarmente onerosa; b) beni richiedenti una manutenzione onerosa; c) beni non ubicati nel territorio di Milano; d) beni di proprietà non esclusiva del Comune; e) aree comunali per le quali non permane l’interesse al mantenimento in proprietà.

Il bene in questione dava una redditività netta di Euro 154.937,04 all’anno e senza oneri manutentivi tutti a carico del concessionario, quanto agli altri criteri è evidente che non si attaglino al caso di specie.

Il quarto motivo segnala l’eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà, per travisamento della situazione di fatto, ingiustizia manifesta e difetto di istruttoria.

Il parcheggio oggetto della concessione non possiede neanche le caratteristiche che la delibera 58\07 ha stabilito per individuare gli immobili da dismettere e cioè: " categorie di beni dove la funzione pubblica non è rilevante o addirittura è completamente assente: immobili commerciali, aree nude/ sedimi derivati da demolizioni di edifici, edificabili e di limitate dimensioni non interessate da progetti di rilevanza pubblica, immobili siti fuori dei confini cittadini, immobili sottoutilizzati o in forte degrado".

Peraltro appare contraddittoria, illogica e ingiusta la decisione di ricomprendere il bene oggetto del ricorso tra quello da alienare e stabilire diversa sorte per un altro parcheggio interrato parimenti oggetto di concessione amministrativa di gestione.

Il quinto motivo lamenta il difetto dei presupposti la carenza di potere e la violazione dei principi generali dell’ordinamento in materia di beni pubblici e l’eccesso di potere per contraddittorietà, per travisamento della situazione di fatto e di diritto, e difetto di istruttoria.

Nell’atto con cui apportava il parcheggio nel patrimonio del Fondo dava atto della natura pubblica dell’infrastruttura e che l’apporto avveniva nello stato di fatto e di diritto in cui il bene si trovava.

La determinazione è contraddittoria poiché non è possibile cedere un bene pubblico non ricadente nel patrimonio disponibile perché adibito ad uso pubblico, né tanto meno lo stesso, se alienato, può conservare l ostato di fatto e di diritto precedente.

Oltretutto non si prevede in nessun modo che io poteri pubblicistici esistenti nella concessione a favore del Comune siano trasferiti al Fondo.

Il sesto motivo denuncia la violazione della concessionecontratto stipulata in data 23.12.99 per inadempimento delle obbligazioni assunte dal Comune in sede di rilascio nonché l’eccesso di potere per sviamento, travisamento della situazione di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, illogicità manifesta.

La concessione aveva stabilito un assetto delle reciproche posizioni ove a fronte di poteri dell’Ente pubblico vi erano facoltà subordinate all’esistenza di certi presupposti in fatto anche per il concessionario.

Tale rapporto giuridico poteva essere modificato solo con la revoca della concessione opportunamente motivata e non in modo obliquo cedendo il bene ad un privato peraltro subordinando il rispetto della destinazione d’uso per tutta la durata del diritto di superficie.

Il settimo motivo contesta l’eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria e illogicità manifesta.

Si è ritenuto di poter dimettere il bene solo sulla base di un’impropria assimilazione di una concessione ad un rapporto di locazione che non è sostenibile se solo si considerano le particolari obbligazioni assunte dalla concessionaria.

L’equivoco si perpetua nell’atto di apporto dove all’art. 6 si parla del subentro del Fondo " nei contratti di locazione e in ogni altro legittimo titolo di godimento dei beni da parte dei terzi in essere" e nelle comunicazioni della Società di gestione controinteressata che parla in una sua comunicazione alla società ricorrente di canoni di locazione, espressione ripetuta anche dalla società incaricata della gestione amministrativa dei beni devoluti al Fondo.

L’ottavo motivo eccepisce la violazione di legge per carenza di potere e difetto dei presupposti e l’eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria e illogicità manifesta.

Laddove gli elementi citati nel motivo precedente fossero il sintomo che il Comune ha voluto modificare la concessione in un ordinario rapporto di locazione solo per effetto della sostituzione del soggetto proprietario, ci troveremmo di fronte ad una grave violazione dell’autonomia contrattuale che non consente modificazioni unilaterali del rapporto che, vista la sua natura pubblicistica, sarebbero dovute avvenire attraverso un atto di autotutela opportunamente motivato.

Il nono motivo contesta l’eccesso di potere per carenza di motivazione, la violazione dell’art. 47 dello Statuto comunale e l’eccesso di potere per carenza dell’istruttoria e disparità di trattamento.

In nessuno degli atti impugnati che hanno determinato uno stravolgimento del rapporto concessorio e dato leggere una motivazione circa il fondamento delle modifiche al rapporto esistente tra le parti, in violazione, non solo dell’art. 3 L. 241\90, ma anche dell’art. 47 dello Statuto che ne ripercorre il contenuto.

Ciò costituisce riprova della carenza complessiva dell’istruttoria e della disparità di trattamento rispetto a concessionari di beni di eguale natura che sono rimasti fuori dal processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare.

Il ricorso è fondato nei termini che saranno precisati.

Al di là dell’articolazione delle censure nei vari motivi di ricorsi, il tema centrale dell’impugnazione della M.P. Srl è relativo alla possibilità di cedere un bene, che è riconducibile al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente cedente, senza procedere alla sua sdemanializzazione o comunque senza revocare la concessione esistente su di esso.

L’altro punto da verificare riguarda la compatibilità dell’esistenza di un diritto di superficie, con l’esistenza di un potere di gestione connesso ad una concessione contratto.

Partendo da quest’ultimo aspetto del problema, non è esatto quanto affermato dalla ricorrente circa la pacifica equiparazione in giurisprudenza tra concessione e proprietà superficiaria.

Proprio la sentenza della Corte di Cassazione 9935\08 citata a suffragio di tale opinione afferma in merito una cosa molto diversa: "La sentenza impugnata ha accertato in fatto, con congrua motivazione non adeguatamente censurata in questa sede, che la concessione era nella fattispecie funzionale alla costituzione di un diritto di superficie a favore del concessionario: ciò è coerente con l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui "al fine di stabilire se una concessione amministrativa su di un bene appartenente al demanio marittimo sia costitutiva di diritti aventi natura reale o meramente obbligatoria, risulta decisiva la complessiva interpretazione – di competenza del giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto – del "titolò costitutivo del diritto e, cioè, dell’atto di concessione" (Cass. n. 4402 del 1998).".

Ciò significa che la costituzione di un diritto di superficie in relazione alla concessione di un bene demaniale non è elemento essenziale, ma dipende dalle caratteristiche che di volta in volta la concessione assume, e che nel caso di specie non sembrano sussistere.

La prima concessione era di costruzione dell’opera allo scopo di poterla gestire per un tempo congruo, ma la seconda concessione, vigente al momento dell’emanazione degli atti impugnati, prevede la sola gestione del parcheggio senza la realizzazione di opere diverse dalla manutenzione.

Non vi è pertanto nessun profilo della concessione del 1999 che possa far ritenere che era stato costituito un diritto di superficie in favore del concessionario.

Ciò comporta l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

Va ora affrontato il problema della sdemanializzazione per verificare se essa può avvenire anche con un atto che di per sè comporta quest’effetto senza affermarlo esplicitamente come sostiene il Comune sulla base di disposizioni legislative che lo hanno espressamente previsto, o se, invece, è necessario un atto congruamente motivato che dia atto di come siano venute meno le esigenze che giustificavano l’uso del bene per fini pubblici.

Per costante orientamento giurisprudenziale la sdemanializzazione di un bene deve essere dichiarata espressamente con un provvedimento che motivi sulle ragioni per cui sono venute meno le ragioni di pubblico interesse per il mantenimento del bene nell’ambito del demanio, tanto è vero che non si può ricavare dal mancato uso del bene la conseguenza che l’ente proprietario abbia inteso rinunciare alla demanialità del bene.

Vi sono pronunce che ammettono la sdemanializzazione tacita, ma tutte nei termini della sentenza del Consiglio di Stato 6095\2009 la cui massima afferma: "La sdemanializzazione tacita deve risultare da comportamenti univoci e concludenti da cui emerga con certezza la rinuncia alla funzione pubblica del bene, che va accertata con rigore, e che siano coincidenti ed incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene stesso all’uso pubblico; di conseguenza essa non può desumersi dalla pura e semplice circostanza che il bene non sia adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico.".

Esistono, invero, previsioni legislative, in un primo caso rispetto al patrimonio statale (art. 3 L. 410\2001), e poi più in generale (art. 58 D.L. 112\2008 convertito in L. 133\2008), in virtù delle quali l’inserimento degli immobili nel piano di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare con cessione alle società che gestiscono fondi immobiliari determina la loro classificazione come patrimonio disponibile.

Si tratta di disposizioni non direttamente applicabili al caso di specie perché, nel primo caso ci troviamo fuori del suo campo di applicazione, mentre nel secondo si tratta di norma approvata in epoca successiva all’emanazione dell’atto che dovrebbe costituirne applicazione.

La mancanza di una norma che autorizzi espressamente il Comune ad operare la sdemanializzazione di alcuni beni non impedisce di per sé di ottenere lo stesso effetto in forma tacita che, abbiamo visto sopra, la giurisprudenza consente seppur in modo assai restrittivo.

Peraltro nel caso di specie la volontà di inserire il bene controverso nel patrimonio disponibile dovrebbe emergere in modo chiaro dalla scelta fatta di inserire l’immobile tra quelli da alienare.

In realtà, se si va a leggere la Delibera 58\2007 del Consiglio Comunale a proposito dei parcheggi interrati viene affermato che il trasferimento riguarderà solo il diritto di superficie per novant’anni che potrà essere ceduto senza mai far venir meno la destinazione a parcheggio.

Una simile affermazione contrasta con quanto affermato dalla difesa comunale relativamente al terzo motivo di ricorso che non vi sarebbe nessuna violazione del Regolamento comunale del 1998 sull’alienazione degli immobili perché sarebbe venuta meno la destinazione a pubblico servizio; se così fosse non si capisce che senso avrebbe mantenere un simile vincolo.

Pertanto, pur avendo lasciata inalterata la destinazione ad uso pubblico del parcheggio, si è disposta la sua alienazione seppur in forma larvata attraverso la costituzione di un diritto di superficie di durata molto lunga in violazione dell’art. 2 del Regolamento e comunque senza rispetto dei criteri di scelta previsti dall’art. 3 del Regolamento poiché il bene in questione offriva un’entrata patrimoniale certa liquida e non comportava alcun problema di manutenzione.

Appare in conclusione fondato quanto esposto nel primo,nel terzo e nel quarto motivo di ricorso.

Parimenti fondato è il quinto motivo di ricorso poiché il Comune non poteva sostituire un altro soggetto nella titolarità del rapporto di diritto pubblico nascente dalla concessione in essere con la società ricorrente.

Una simile scelta avrebbe dovuto essere preceduta dalla revoca della concessione in essere poiché, in presenza di ragioni di opportunità congruamente motivate, questo rientrava tra i poteri dell’amministrazione comunale, mentre non era certo possibile modificare unilateralmente il lato soggettivo del rapporto, peraltro sostituendo un soggetto pubblico con uno privato che non avrebbe potuto esercitare i poteri pubblicistici che erano previsti nel corpo della concessione.

Tanto meno è ipotizzabile che per effetto del trasferimento del bene al Fondo si sia verificata una modificazione del tipo di rapporto giuridico passando da una concessione di gestione ad un affitto di bene produttivo.

Sul punto soccorre la sentenza del TAR Liguria 586\2009 la cui massima afferma: "la sdemanializzazione di un bene appartenente allo Stato non trasforma automaticamente la concessione del bene medesimo in un rapporto d’affitto – con conseguente mutamento della relativa regolamentazione anche pattizia essendo necessario, perché ciò si verifichi, un atto di volontà della p.a. espressa nella forma prescritta, che è quella scritta "ad substantiam" non essendo la volontà degli enti pubblici desumibile da manifestazioni tacite (Cass. sez. III civ. 5 novembre 1985 n. 5348, conf. 1989 n. 2014).".

L’impossibilità di mutare il rapporto concessorio anche in presenza di un atto di sdemanializzazione lo si ricava anche dalla massima di una risalente sentenza della Corte di Cassazione (1369\1980) che così riassume la pronuncia: " Il regime previsto nell’originario atto di concessione "costitutiva" del godimento di un bene demaniale trova uguale applicazione anche nel caso in cui il bene, prima dell’estinzione della concessione, sia stato sdemanializzato ed acquisito al patrimonio disponibile dello Stato, atteso che in seguito alla conversione del diritto condizionato pubblico, sorgente dalla concessione, in un diritto perfetto di superficie – ex art. 952 e segg. c.c. -, quest’ultimo rimane soggetto alla stessa regolamentazione prevista originariamente nell’atto di concessione, salvo che per gli effetti incompatibili con la natura del diritto soggettivo perfetto.".

In conclusione dall’esame degli atti non è possibile concludere che vi sia stato un provvedimento di sdemanializzazione o comunque di passaggio dal patrimonio indisponibile a quello disponibile per le ragioni indicate in precedenza e in ogni caso, anche laddove si dovesse affermare che la ricomprensione del bene tra quelli da alienare operata con la delibera sopra citata abbia sortito l’effetto di far rientrare nel patrimonio disponibile il parcheggio sotterraneo, non sarebbe comunque possibile porre nel nulla implicitamente la concessione esistente dal 1999 o per effetto di una novazione soggettiva o oggettiva.

Tale conclusione è di per sé assorbente e consente di non esaminare gli ulteriori motivi di doglianza ammessi.

Pertanto va disposto l’annullamento della Delibera del Consiglio Comunale nr. 58 del 17.10.07 nella parte in cui include tra i beni da trasferire anche l’autoparcheggio pubblico sotterraneo sito in Largo Corsia dei Servi 15 e dell’atto di compravendita in data 31.3.08, a rogito Notar Schettino di Seregno nella parte in cui dispone l’effettivo trasferimento del bene al Fondo immobiliare – Comune di Milano I.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti del Comune mentre possono essere compensate nei confronti delle società controinteressate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e lo dichiara inammissibile quanto al resto.

Condanna il Comune di Milano alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.000 oltre C.P.A. ed I.V.A. ed al rimborso del contributo unificato ex art. 13,comma 6 bis,D.P.R. 115\02, nella somma di Euro 500.

Compensa le spese con le altre parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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