Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 24-01-2011, n. 2270

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

D.M.F. ricorre avverso la sentenza, in data 11 marzo 2010, della Corte d’appello di Palermo, con cui è stato condannato per il reato di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p., e chiedendone l’annullamento, si duole della valutazione operata dai giudici di merito per ritenere sussistenti gli elementi del reato contestato, in particolare in base alla ritenuta insussistenza dello stato di necessità che lo avrebbe portato ad occupare l’abitazione.

Osserva il collegio che il ricorso è manifestamente infondato: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello.

Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per Cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità "ex officio" in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per Cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte". (Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748). In particolare le valutazioni in ordine all’insussistenza dello stato di necessità appaiono esenti da censure logico giuridiche, come emerge dal riferimento all’insussistenza di un pericolo imminente di lesione di diritti comunque attinenti alla persona umana, ed in particolare come emerge dal riferimento all’attività lavorativa retribuita svolta dal capofamiglia e da una delle figlie, che non poteva giustificare l’occupazione abusiva di un alloggio di edilizia economica e popolare,a prescindere dalla prova della dichiarata volontà della zia, che aveva finora fornito l’alloggio in coabitazione, di cessare la concessione della parziale disponibilità del suo immobile.

Va dichiarata, pertanto l’inammissibilità del ricorso cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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