T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 19-01-2011, n. 492 Impresa agricola

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento n. 8229 del 30 aprile 2008, AGEA ha disposto nei confronti del ricorrente, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 252 del 1998:

– l’interdizione alla stipula di contratti e subcontratti;

– l’inibizione all’ottenimento di autorizzazioni, concessioni ed erogazioni;

– la cessazione di tutti i pagamenti;

– il blocco informatico da parte dell’Ufficio contabilizzazione pagamenti Bilancio comunitario di AGEA.

Stesso provvedimento è stato adottato nei confronti della società cooperativa C.A.S.O. di cui fa parte il ricorrente, sul presupposto, quindi, che vi fossero tentativi di infiltrazione mafiosa nella predetta società veicolati dai suoi componenti tra i quali il P.R..

Avverso tale atto, ha proposto impugnativa l’interessato chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, e la condanna di AGEA al risarcimento dei danni, per i seguenti motivi:

1) illegittimità del provvedimento impugnato per illogicità manifesta e falsa applicazione di legge, avuto riguardo a quanto disposto dall’art. 1, comma 2, lett. d) ed e), e dall’art. 10, comma 1, lett. b) del DPR n. 252 del 1998 e dell’art. 4, commi 1, 4, 5 e 6, del D.lgs n. 490 del 1994.

Il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base di una informativa prefettizia il cui effetto è rimesso alla valutazione all’amministrazione destinataria della comunicazione.

Altresì, la predetta informativa ha come oggetto l’attività della società cooperativa C.A.S.O. in relazione alla quale l’AGEA non aveva alcuna altra valutazione da effettuare rispetto a quanto contenuto nell’atto prefettizio.

Ciò che si contesta è che, oltre ad interdire la C.A.S.O. per una serie di attività, AGEA ha, in via automatica, esteso gli effetti di tale provvedimento interdittivo nei confronti di tutti i componenti del consiglio di amministrazione della cooperativa.

A ciò si aggiunga che il ricorrente ha percepito, nel 2007, erogazioni da parte di AGEA pari a circa 52mila euro, ovvero ben al di sotto del limite imposto dal DPR n. 252 del 1998 (circa 154mila euro) per poter richiedere la informativa prefettizia;

2) eccesso di potere nella forma dell’illogicità per contraddizione con il provvedimento prefettizio n. 28837/08 emesso in data 18 aprile 2008; travisamento dei fatti e abnormità del provvedimento.

Sebbene l’informativa di che trattasi abbia carattere interdittivo, va rilevato che tale effetto automatico riguarda la sola società C.A.S.O. e non può essere estesa oltre l’ambito di accertamento al quale essa si riferisce.

Il tentativo di estendere a tutti i componenti del Consiglio di amministrazione della predetta società è illegittimo in quanto, trattandosi di una misura ad alto contenuto preventivo, non può essere oggetto di una applicazione estensiva;

3) eccesso di potere per difetto di istruttoria; difetto di legittimazione a procedere e carenza di interesse pubblico.

Atteso lo scopo mutualistico della cooperativa C.A.S.O., le vicende che riguardano la predetta società non possono riverberarsi sui soci ed, in particolare, sul ricorrente il cui certificato del casellario giudiziale è negativo e non risultano nei suoi confronti carichi pendenti;

4) eccesso di potere per carenza di motivazione del provvedimento.

Posto che non vi è alcun obbligo di estensione delle risultanze emerse nell’informativa a carico dei singoli componenti del consiglio di amministrazione della società cooperativa C.A.S.O., AGEA non ha provveduto ad inserire nel provvedimento impugnato alcuna motivazione in grado di far comprendere le ragioni della estensione degli effetti interdittivi nei confronti del ricorrente nella sua qualità di imprenditore agricolo individuale.

Si è costituita in giudizio AGEA per resistere al ricorso.

Con ordinanza n. 5043/2008, è stata respinta la domanda di sospensiva (confermata dal Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza n. 2251/09 del 5 maggio 2009).

Con ordinanza istruttoria n. 2411/2010, sono stati disposti incombenti istruttori, adempiuti dall’Agenzia resistente.

In prossimità della trattazione del merito, la ricorrente ha depositato memoria argomentando ulteriormente ed insistendo nell’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2010, la causa, dopo la discussione della parte ricorrente, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Va, anzitutto, precisato quanto segue:

– l’informativa prefettizia del 18 aprile 2008, sulla base della quale è stato adottato il provvedimento impugnato a carico del ricorrente, è stata richiesta da AGEA nell’ambito dell’istruttoria relativa all’istanza di liquidazione di contributi richiesta dalla società cooperativa C.A.S.O.;

– la circostanza che ha indotto la Prefettura di Reggio Calabria a ritenere che la società C.A.S.O. fosse esposta a rischi di infiltrazione mafiosa va individuata nel rapporto di parentela, ovvero di frequentazione, di alcuni consiglieri della Cooperativa con soggetti ritenuti appartenenti ad organizzazioni mafiose;

– in particolare, il ricorrente, componente del consiglio di amministrazione della società cooperativa C.A.S.O., è stato "controllato" in cinque occasioni insieme ad altrettanti esponenti di cosche mafiose della zona (cfr. relazione della Questura di Reggio Calabria del 4 aprile 2008).

2. Ciò posto, il Collegio è consapevole che, con sentenze rese dal TAR Calabria – sez. Reggio Calabria (nn. 405/2008 e 97/2009), il provvedimento impugnato è stato annullato in parte qua con riferimento ad altri soggetti inseriti nella compagine societaria, sul presupposto che l’informativa prefettizia dell’aprile 2008 si riferiva alla sola società Cooperativa C.A.S.O.

Pur tuttavia, il Collegio ritiene che la fattispecie non sia analoga a quella esaminata dal Tribunale calabrese proprio in relazione alla circostanza di fatto appena richiamata: a differenza dei soggetti ricorrenti in quelle controversie, il P.R. risulta essere stato "controllato" in diverse occasioni insieme ad esponenti di cosche mafiose della zona.

Da tale attività di controllo è emerso un quadro indiziario tale che la valutazione effettuata dalla Prefettura di Reggio Calabria non risulta inficiata da palese irragionevolezza.

È noto, invero, che, nelle valutazioni di che trattasi, è richiesto un attendibile "giudizio di possibilità secondo la nozione di pericolo" (Cons. St., Sez. VI, 25 dicembre 2008, n. 5780; 11 settembre 2001, n. 4724), per il quale non occorre "che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato" (Sez. V, 23 giugno 2008, n. 3090; cfr., inoltre, Sez. VI: 12 novembre 2008, n. 5665; 17 marzo 2010, n. 1559), con un accertamento, perciò, di grado inferiore e diverso da quello richiesto per l’individuazione di responsabilità penali (Cons. St., Sez. VI, l febbraio 2007, n. 413; Sez. IV, n. 7362 del 2004, cit.).

Da ciò deriva che il sindacato giurisdizionale è esercitabile solo nei casi di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel cui ambito è da riscontrare se la valutazione del Prefetto sia sorretta "da uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali" (Cons. St., Sez. VI, n. 1559 del 2010 cit.).

Ciò posto, va poi osservato che, sebbene la richiesta di AGEA sia stata rivolta alla Prefettura di Reggio Calabria in occasione della procedura di liquidazione di contributi pubblici in favore della società cooperativa CASO, non può revocarsi in dubbio che la valutazione negativa dell’organismo di controllo è stata effettuata su una serie di comportamenti posti in essere da soggetti – come il ricorrente – che rivestono cariche di responsabilità nella predetta compagine societaria tanto che riesce difficile scindere, pur in presenza di uno schermo societario, tra le valutazioni svolte nei confronti della C.A.S.O. da quelle effettuate a carico dei singoli consiglieri.

Di certo, la pluralità di condotte poste in essere da vari consiglieri della C.A.S.O. hanno indotto la Prefettura di Reggio Calabria a desumere un rischio di infiltrazione mafiosa nella società di che trattasi, ma ciò non esclude certo che tali rischi di collusione possano allo stesso modo rilevarsi nei confronti dei singoli consiglieri sulla base del quadro indiziario emerso a seguito dei controlli svolti dagli organi di polizia.

Né può ritenersi, come vorrebbe la ricorrente, che l’accertamento debba limitarsi alla sola società Cooperativa C.A.S.O. in quanto, posto l’accertamento svolto dalla Questura di Reggio Calabria e considerate le conseguenti valutazioni operate dalla locale Prefettura, l’art. 10, comma 2, del DPR n. 252 del 1998 autorizza l’attivazione delle misure interdittive una volta acquisiti "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa".

Nel caso di specie, come detto in precedenza, sono emersi rischi di infiltrazione mafiosa oltre che nella società C.A.S.O. anche con riferimento ad alcuni consiglieri della cooperativa, peraltro titolari, come il ricorrente, di imprese agricole individuali, anch’esse destinatarie, negli anni, di contributi pubblici.

Ora, attesa la finalità preventiva della normativa citata, sarebbe paradossale operare una distinzione tra i rischi di infiltrazione mafiosa a carico della società C.A.S.O. e non nei confronti dei consiglieri che, proprio attraverso le loro condotte (cinque controlli, nel caso di specie), hanno consentito alla Prefettura di Reggio Calabria di determinarsi nel modo sintetizzato nella nota dell’aprile 2008.

Ciò posto, a nulla vale quanto da ultimo riferito dal ricorrente circa il recente rinnovo della licenza di porto d’armi posto che la valutazione censurata in questa sede si riferisce a risultanze emerse nel 2008, tempo al quale deve farsi riferimento per valutare, in ossequio al principio "tempus regit actum", la legittimità del provvedimento impugnato.

3. In ragione di quanto sopra esposto, le doglianze dedotte nel ricorso in esame (esaminate congiuntamente in quanto profili diversi di un’unica censura) risultano infondate e, pertanto, il ricorso deve essere respinto.

4. Le spese di giudizio vanno, tuttavia, compensate tra le parti, attese le peculiarità emerse nella valutazione della fattispecie in esame.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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