T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 20-01-2011, n. 597 Indennità di anzianità e buonuscita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con gravame proposto nel 1984 il ricorrente sollecitava il T.A.R. del Lazio a pronunziarsi in ordine al rivendicato diritto ad ottenere l’applicazione della disciplina degli aumenti periodici di stipendio prevista per i magistrati della Corte dei Conti dall’art. 5 del D.P.R. 1080/1970.

Il ricorso veniva da questo Tribunale accolto con sentenza 4 luglio 1984 n. 599, l’appello nei confronti della quale era dichiarato irricevibile dalla Sezione IV del Consiglio di Stato con sentenza n. 166 del 13 marzo 1989.

I gravati provvedimenti del Ministero di Grazia e Giustizia (ora: della Giustizia) hanno, poi, disposto:

– la rideterminazione del trattamento economico spettante al ricorrente per il periodo 1° gennaio 1979 – 30 settembre 1979, in applicazione del giudicato come sopra formatosi;

– e, contemporaneamente, il riassorbimento delle somme erogate a titolo di differenze stipendiali ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 425/1984.

Insorge il ricorrente avverso tali determinazioni assumendone l’illegittimità alla stregua dei profili di censura di seguito sintetizzati:

1) Violazione dell’art. 10, comma 2, della legge 425/1984 e dei principi generali vigenti in materia. Eccesso di potere per illogicità, errata valutazione di presupposti, difetto di motivazione.

La norma epigrafata sarebbe stata erroneamente interpretata dall’intimata Amministrazione della Giustizia, atteso che il riassorbimento, ivi previsto, delle somme riconosciute a titolo di adeguamento stipendiale concerne i soli provvedimenti passati in giudicati in epoca anteriore all’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 10.

2) Violazione dell’art. 10, comma 2, della legge 425/1984 e dei principi generali vigenti in materia. Eccesso di potere per illogicità, errata valutazione di presupposti, difetto di motivazione. Illegittimità derivata.

In ogni caso, l’art. 10 prevede il solo riassorbimento del beneficio retributivo concesso e non anche il recupero delle somme corrisposte a titolo di differenze stipendiali per il pregresso.

Viene, conseguentemente, contestata la legittimità del disposto recupero delle somme corrisposte in adempimento al giudicato come sopra formatosi; in conformità, del resto, a quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza 7 aprile 1988 n. 413.

In via gradata, viene ulteriormente osservato come il recupero onde trattasi avrebbe, al più, potuto concernere le sole differenze stipendiali; e non anche gli importi riconosciuti a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi legali.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura e riconoscimento del diritto alla conservazione degli importi riconosciuti a titolo di adeguamento retributivo, con riferimento sia alla sorte capitale, che agli accessori del credito.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 12 gennaio 2011.

Motivi della decisione

1. Va innanzi tutto osservato, a completamento di quanto esposto in narrativa, che l’impugnato provvedimento – adottati dall’Amministrazione della Giustizia in data 20 luglio 1989 – ha disposto che le somme riconosciute in favore dell’odierno ricorrente avrebbero formato oggetto di riassorbimento "ai sensi e con le modalità previste dall’art. 10, 2° comma, della legge 425/1984".

Lo stesso provvedimento non ha disposto, invece, il recupero delle somme al titolo di cui sopra corrisposte.

2. Ciò posto, il ricorso si rivela solo parzialmente fondato.

Rileva, in primo luogo, il contenuto della disposizione da ultimo richiamata, che ha stabilito che gli importi a qualsiasi titolo erogati o da erogare ai magistrati in esecuzione di provvedimenti giudiziali passati in giudicato sarebbero dovuti rimanere "attribuiti a titolo personale"; ed avrebbero dovuto essere "riassorbiti con la normale progressione economica e nelle funzioni" ed inoltre, se necessario, operando le conseguenti detrazioni a conguaglio a carico dell’indennità di buonuscita".

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 413 del 7 aprile 1988, ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma anzidetta, in quanto "mira ad eliminare, con il meccanismo della gradualità temporale proprio del riassorbimento nella progressione economica, esiti privilegiati di trattamento economico riproduttivi di disparità non tollerabili nel quadro di intenti costituzionalmente legittimi della volontà legislativa"; le "eventuali detrazioni a conguaglio, a carico dell’indennità di buonuscita, per il loro carattere di succedaneità necessaria alla impossibilità del verificarsi del normale riassorbimento per conclusione della durata del servizio" non valendo "a mutare la fattispecie perequativa in quella della ripetizione di indebito".

Se la normale progressione economica e nelle funzioni, di cui all’art. 10 della legge 425/1984, consiste esclusivamente nell’attribuzione degli scatti di anzianità (progressione economica), ovvero di una funzione o di una qualifica comportanti un livello retributivo superiore (progressione nelle funzioni), ne consegue che gli importi corrisposti ai ricorrenti per scatti figurativi debbano rimanere attribuiti a titolo personale in aggiunta al trattamento economico stabilito dalla stessa legge n. 425/1984: dal che la loro non recuperabilità, bensì il loro riassorbimento progressivo mediante la mancata attribuzione degli aumenti retributivi dipendenti dalla maturazione dell’anzianità nella qualifica.

3. Le determinazioni avversate rivelano, dunque, una corretta applicazione della disposizione in rassegna, risultando che esse hanno disposto (non già il recupero delle somme corrisposte al titolo di cui sopra, ma, unicamente) il riassorbimento dei relativi importi alla stregua delle prescrizioni dettate dal comma 2 dell’art. 10.

Inconferente si rivela, al riguardo, il richiamo dalla parte ricorrente operato alle indicazioni promananti dalla sentenza della Sezione IV del Consiglio di Stato 7 marzo 2005 n. 918, in quanto tale pronunzia ha dato – correttamente – atto dell’illegittimità del recupero delle somme corrisposte: determinazione che, come precedentemente posto in evidenza, non risulta nella fattispecie essere stata adottata dall’Amministrazione della Giustizia, in quanto i gravati atti deliberativi hanno – unicamente – disposto il riassorbimento degli importi ai ricorrenti riconosciuti a titolo di adeguamento retributivo.

La ratio del riassorbimento di che trattasi risiede nel mantenimento il trattamento economico raggiunto (più elevato di quello stabilito dalla disciplina sopravvenuta), con riveniente congelamento della progressione economica fino al momento in cui gli incrementi retributivi, cui in astratto l’interessato avrebbe titolo, determinano la parificazione dei due trattamenti: interpretazione, questa, conforme alla logica ispiratrice dell’art. 10, comma 2, che è quella (come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza 7 aprile 1988 n. 413 citata) di evitare che ai vantaggi derivanti dalla legge in favore di tutti i magistrati si sommi, per taluni, quanto riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato.

Anche la (successiva) ordinanza della Corte Costituzionale 27 dicembre 1991 n. 501, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, ha confermato che la norma dispone esclusivamente il riassorbimento dei benefici economici – e non già il recupero delle somme corrisposte in base al giudicato – "in ragione dell’idoneità del sistema del riassorbimento (e delle eventuali detrazioni sulla buonuscita) ad evitare che i vantaggi economici riconosciuti dal giudicato si sommino con i nuovi trattamenti attribuiti dalla legge".

Va, poi, ulteriormente osservato come anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio (decisione n. 2 dell’11 maggio 1998), nel dare atto della portata applicativa della disposizione in discorso (alla cui operatività consegue la conservazione a titolo personale degli importi erogati o da erogare, salvo riassorbimento con i successivi miglioramenti), ha individuato, quale corretta modalità di esecuzione del giudicato ad opera dell’Amministrazione, la computabilità nella base pensionabile degli aumenti periodici con accessiva conservazione a titolo personale, salvo riassorbimento con i futuri miglioramenti economici.

4. Le svolte considerazioni inducono, con ogni evidenza, ad escludere la fondatezza del gravame, laddove – come si è avuto modo di ripetere – le dedotte doglianze vengono appuntate avverso la determinazione con la quale l’Amministrazione della Giustizia ha (correttamente) disposto il riassorbimento delle somme riconosciute in favore del ricorrente, in luogo di disporne il recupero.

L’anticipata parziale accoglibilità del gravame rileva esclusivamente con riferimento al riassorbimento – parimenti disposto dagli avversati provvedimenti – anche delle somme liquidate ed erogate per rivalutazione monetaria e interessi corrispettivi.

Se è vero che queste ultime ineriscono esclusivamente al ritardo nella corresponsione della somma capitale, deve conseguentemente ritenersi che esse siano insuscettibili di riassorbimento: in tali limiti dovendosi, conseguentemente, dare atto dell’illegittimità dei provvedimenti gravati, che vanno – corrispondentemente – annullati.

5. Come sopra delimitata l’accoglibilità del gravame, la parziale soccombenza evidenzia la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) accoglie, nei limiti di cui al punto 4. della motivazione, il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in tali limiti annulla i provvedimenti con tale mezzo di tutela gravati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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