Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-12-2010) 26-01-2011, n. 2745 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 11 giugno 2010, depositata in cancelleria il 18 giugno 2010, il Tribunale di Reggio Calabria, quale giudice del riesame, rigettava la richiesta proposta nell’interesse di C.R. avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città in data 21 maggio 2010 che aveva applicato al prefato la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di detenzione e porto d’arma da sparo contestati sub capo 2) (esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7), per il delitto di detenzione d’arma da guerra, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 contestato sub 3) (escluso, quanto a quest’ultimo capo di imputazione, il delitto di porto d’armi).

Il giudice, in via di premessa, chiariva che gli episodi di cui ai capi di imputazione si inscrivevano nell’orbita di operatività del clan Pesce, egemone nel territorio di Rosarno, organizzazione criminale connotata da una caratterizzazione di tipo familiare, che vedeva in P.A., storico boss attualmente in stato di detenzione, in suo figlio F., classe (OMISSIS) detto "(OMISSIS)" e in suo fratello P.G., classe (OMISSIS) detto "(OMISSIS)" gli esponenti di spicco. Era infatti emerso che il clan in questione aveva ampia disponibilità di armi e che il ricorrente ne era uno dei depositari.

1.1. – In punto di gravi indizi di colpevolezza il Tribunale indicava, a supporto degli stessi, il grave compendio indiziario costituito dalle disposte intercettazioni ambientali effettuate presso la casa circondariale di (OMISSIS) e più precisamente, quanto al capo 2), dal colloquio intervenuto il 24 giugno 2006 tra il detenuto P.S., la moglie F.A. e il figlio F., classe (OMISSIS) e quanto al capo 3) dal colloquio intrattenuto il 3 novembre 2006 tra P.S., classe (OMISSIS), detenuto, e P.V.. Dal primo colloquio emergeva, tra l’altro, che tale "(OMISSIS)" deteneva una pistola dello stesso calibro di quella appena sequestrata dai Carabinieri; dal secondo che "(OMISSIS)" aveva la disponibilità di un mitragliatore, facente parte di una più consistente deposito di armi a disposizione di P.F. classe (OMISSIS).

Il giudice infine sottolineava che alcun dubbio poteva aversi in relazione alla identificazione del "(OMISSIS)" in C. R., atteso che la collaboratrice di giustizia F.R., vicina al clan Pesce, aveva tra l’altro affermato che per l’attività di sostanze stupefacenti P.S., che la gestiva, si avvaleva di diversi collaboratori tra cui tra gli altri C. R. detto (OMISSIS) ricordando altresì che C.R. era stato implicato nel ferimento di G.D..

1.2. – In merito alle esigenze cautelari il Tribunale le individuava nel pericolo di reiterazione dei fatti giusta la loro gravità, e la pericolosità della consorteria di riferimento, richiamando altresì la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 in forza del l’aggravante contestata L. n. 203 del 1991, ex art. 7. 2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Gregorio Cacciolla, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione C.R. chiedendone l’annullamento per erronea applicazione e/o violazione di legge con riferimento all’art. 273 c.p.p. posto che non vi era alcuna certezza che il C.R. indicato dalla F. e peraltro operante nel diverso settore delle sostanze stupefacenti, dovesse identificarsi nel (OMISSIS) di cui ai due colloqui registrati anche perchè il ricorrente, oltre ad essere persona incensurata, non ha mai avuto problemi giudiziali in fatto di armi, nè vi era prova che avesse frequentato il clan Pesce, avendo peraltro la perquisizione presso la sua abitazione dato esito negativo. Inoltre le intercettazioni ambientali non offrivano, al di là del nomignolo in questione, alcun altro elemento individualizzante. Quanto alle esigenze cautelari veniva sottolineato che trattavasi di fatti risalenti nel tempo (circa quattro anni) e che essendo l’indagato soggetto infraventunenne avrebbe per questo potuto beneficiare del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1. – Va ricordato, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de libertate, che, secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè di rivalutare le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 6, 25 maggio 1995, n. 2146).

L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.

Sicchè, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito la valutazione del peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il compito …di verificare… se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass., Sez. 4, 3 maggio 2007, n. 22500; Sez. 3, 7 novembre 2008, n. 41825, Hulpan). Peraltro secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro (Cass., Sez. 2, 28 novembre 2007, n. 774, rv.

238903; Cass., Sez. 6, 17 novembre 1998, n. 3678, rv. 212685, Beato).

3.2. – Tanto premesso, si osserva che la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, con congrua e adeguata motivazione, si profila coerente con le acquisizioni richiamate nella decisione, sicchè nessuna censura, e tantomeno nessuna diversa ricostruzione, può essere in questa sede prospettata. Nè è ravvisabile alcuna incertezza circa l’identificazione del soggetto giuste le indicazioni di cui alle dichiarazioni della F. che non lasciano allo stato dubbi che il C.R., comunque gravitante nell’orbita dei Pesce, sia il (OMISSIS) di cui alle intercettazioni ambientali.

3.2.1. – Da respingersi è altresì l’argomentazione difensiva secondo cui il C., essendo minore degli anni ventuno, potrebbe giovarsi della sospensione condizionale della pena per un’entità della pena maggiore. Trattasi per vero di reati gravi, sicchè allo stato non vi è alcuna certezza al riguardo.

3.3, – Immune da vizi logici e giuridici è altresì il convincimento manifestato dal giudice di merito circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, e cioè di una qualificata probabilità della sua responsabilità in ordine al reato ascrittogli in quanto espressione di un percorso argomentativo coerente e logicamente plausibile, che si sottrae a qualsivoglia censura. Sono state infatti valorizzate a tal fine le intercettazioni ambientali che hanno evidenziato come il C.R. avesse la disponibilità, anche per conto del clan Pesce, di armi, anche da guerra.

Il ricorrente, a fronte della suddetta motivazione, ripropone doglianze di merito e per di più destituite di fondamento, sollecitando una rilettura valutativa del contenuto delle intercettazioni non proponibile in questa sede di legittimità allorquando le argomentazioni espresse dal giudice della cautela sono, come nel caso di specie, immuni da vizi logici e giuridici.

3.4. – Anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, il ricorso appare censurare una corretta motivazione del giudice del riesame. Il limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi – inteso nel senso che alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario (ex plurimis, Cass., Sez. un., 22 marzo 2000, Auduino, rv. 215828) – deve essere esteso anche delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare in concreto la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione al riguardo così come è stato correttamente svolto. Non può revocarsi in dubbio per vero la congruità delle affermazioni spese dall’ordinanza impugnata sulla gravità del reato ascritto, sull’operatività della consorteria di riferimento, tutti indici rivelatori che sono stati ritenuti legittimamente fondanti una prognosi più che concreta di un attuale pericolo di reiterazione criminale stanti le minori garanzie che la restituzione in libertà nella fattispecie potrebbe assicurare; nè va sottaciuta la non praticabilità ex lege di altre misure meno restrittive, come richiesto in gravame, in forza del titolo del reato ascritto ai sensi dell’art. 275 c.p.p.. Nulla a tale riguardo è stato prospettato dal ricorrente che sia idoneo a superare la presunzione di pericolosità sociale stabilita dalla normativa testè richiamata.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende. Si deve altresì provvedere agli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento del direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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