Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-12-2010) 26-01-2011, n. 2740 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 24 maggio 2010, depositata in cancelleria il 23 luglio 2010, il Tribunale di Napoli, quale giudice del riesame, rigettava la richiesta avanzata nell’interesse di G.A. avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 4 maggio 2010 che applicava al prefato la misura cautelare della custodia in carcere per i reati, tra gli altri, di porto e detenzione d’arma, sequestro di persona, rapina, danneggiamento, tentato omicidio aggravato, incendio e minacce, ritenuti assorbiti i capi G) e H) (rispettivamente reati di detenzione porto d’armi) nei reati contesti sub capi A) e B) (anch’essi reati di detenzione e porto d’armi).

Il giudice, in via di premessa, chiariva che in data 14 marzo 2010, in provincia di Napoli, un gruppo di almeno sei persone armate (di pistola, mitragliatore Kalashnikov, mitraglietta Skorpion e un fucile a pompa) faceva irruzione all’interno di due locali pubblici, una sala gioco sita in (OMISSIS), denominato " (OMISSIS)", e un locale pubblico adibito al gioco del bowling, denominato "(OMISSIS)" di (OMISSIS). Nel primo, il gruppo di fuoco sequestrava al suo interno gli avventori, rapinando l’incasso e danneggiando i videogiochi colà esistenti, che venivano buttati a terra e colpiti con le armi da fuoco, noncuranti delle persone che si trovavano coricati a terra nei pressi. Nel parcheggio antistante, mentre il gruppo di fuoco usciva, un avventore che parcheggiava la vettura veniva attinto da un colpo di pistola che lo feriva vicino all’arteria femorale. Nel secondo locale venivano utilizzate modalità identiche di violenza, in costanza delle quali veniva proferita una frase di minaccia al titolare dell’esercizio di entrambi i locali, vale a dire D.M.G..

1.1. – In punto di gravi indizi di colpevolezza il Tribunale indicava, a supporto degli stessi, il grave compendio indiziario costituito dalle disposte intercettazioni telefoniche e ambientali e dalle dichiarazioni di alcune parti offese tra cui D.M. G., C.A. e P.A.. In particolare venivano indicate tra le altre:

– la telefonata n. 10 del pomeriggio del fatto, nel corso della quale P.A., moglie di P.G., ma all’epoca ospitata dal cognato D.M.G. e dalla zia C. A., nel conversare con M.R., moglie di C. P., intimo amico del marito, rivelava, probabilmente per aver visionato i filmati delle telecamere a circuito chiuso in funzione nei due locali al momento della sparatoria, di aver riconosciuto la vettura Smart del marito oltre al nominato C. che, durante l’episodio criminoso, aveva svolto la funzione di palo;

– l’intercettazione ambientale del colloquio intercorso in carcere tra P.G. e il padre Ca. da cui emergeva che P.G. confessa gli attentati per cui è causa indicando anche alcuni compartecipi;

– l’intercettazione ambientale nella caserma dei Carabinieri tra i coniugi D.M. e C.A. da cui risultava, oltre all’accordo sulla versione da fornire per paura di ritorsioni, anche il fatto che dai filmati in questione alcune persone tra cui l’odierno ricorrente erano stati riconosciuti; successivamente entrambi i coniugi ammettevano davanti ai militi di aver effettivamente riconosciuto alcune persone tra cui G.A..

Veniva inoltre evidenziato, sempre a livello indiziario, il fatto che i componenti del gruppo di fuoco, tra cui vi era secondo la prospettazione d’accusa anche il ricorrente, essendo consapevoli di essere stati ripresi dalle telecamere colà installate (giusto il fatto che gli stessi, benchè travisati durante l’azione, si erano posti all’uscita dei locali a viso scoperto se non altro per potersi portare da (OMISSIS) senza dare nell’occhio) avevano lasciato le rispettive abitazioni per rifugiarsi in un unico appartamento nella disponibilità di tale G.. Tale circostanza era avvalorata dalla telefonata intercettata n. 485 del 24 marzo 2010 e dalla telefonata n. 491 intercorsa tra P.G. e C. P. durante la quale lo stesso P. si raccomandava di non abbandonare il rifugio comune, in particolare per coloro che erano stati riconosciuti, tra cui vi era G.A., identificato come tale ancorchè si fosse fatto riferimento a lui come " (OMISSIS)", visto anche il rapporto di parentela con gli altri sodali in grado quindi di comprendere a chi ci si riferisse.

In relazione, in particolare al tentato omicidio dello S., il passante trovatosi fortuitamente nell’area di parcheggio del primo locale, il giudice, nel ritenere raggiunto il grave quadro indiziario in relazione a tale specifica qualificazione giuridica, faceva riferimento alla idoneità della pistola utilizzata e alle modalità stesse del fatto, giusta la vicinanza dello sparatore rispetto alla vittima, oltre che alla regione corporea attinta (zona dell’arteria femorale). Inoltre lo S., era stato ferito nell’occorso, argomentava il giudice, in quanto poteva costituire un possibile testimone essendosi i componenti il gruppo di fuoco levato il travisamento.

Gravi indizi di colpevolezza erano ravvisabili anche con riferimento al tentato omicidio plurimo di cui al capo S) (la sparatoria indifferenziata ai videogiochi, sopra alle teste delle persone fatte sdraiare) giusta la condotta specifica tenuta dal gruppo di fuoco così come articolato nell’ordinanza di misura cautelare, attesa la micidialità delle armi a ripetizione utilizzate e l’elevato numero di colpi esplosi.

Infine sicuramente ricorribile era l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per la metodologia dell’aggressione armata posta in essere.

1.2. – In merito alle esigenze cautelari il Tribunale le individuava nel pericolo di reiterazione dei fatti giusta la loro gravità e le modalità espletative del reato, richiamando altresì la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 in forza dell’aggravante contestata ex L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Alfredo Guatino, ha interposto tempestivo ricorso per Cassazione G.A. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) inosservanza del divieto di utilizzazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), con riferimento al combinato disposto degli artt. 266 e 271 c.p.p.; manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) sia in relazione alla ammissibilità delle intercettazioni che con riferimento alle facoltà del difensore in ordine alla revoca degli omissis posti sui decreti provenienti da altri procedimenti; veniva ribadito che nella fattispecie i decreti relativi a intercettazioni di altro procedimento in forza degli omissis apposti non indicavano chiaramente il reato per cui si procede nè le ragioni per le quali le intercettazioni erano indispensabili; ciò aveva impedito un controllo sulla legittimità dei decreti stessi, anche perchè, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, il difensore non sarebbe stato in grado, anche se gli fosse stato noto la Procura della Repubblica che li aveva emessi, di chiedere e ottenere la revoca della schermatura dei decreti stessi. Ne consegue che le intercettazioni sono da considerarsi inutilizzabili non potendo essere verificato se le stesse siano state o meno disposte nei casi stabiliti dalla legge. b) manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) nonchè erronea applicazione della legge processuale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 271 c.p., n. 1, inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); in relazione alla inutilizzabilità dei decreti per mancata motivazione in ordine ai gravi indizi di reato e alla assoluta indispensabilità delle intercettazioni, erroneamente il Tribunale ha rilevato che il ricorrente non aveva indicato a quali decreti si facesse riferimento, rilievo di per sè irrilevante posto che l’eccezione era relativa a tutti i decreti indistintamente. c) totale assenza di motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in ordine al capo O e P dell’ordinanza di custodia cautelare (due episodi di rapina aggravata);

d) assenza di motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per motivazione meramente apparente con riferimento ai reati contestati al capo C) (sequestro di persona in danno di C.D.), al capo D) (rapina in danno di C. A.), al capo M) (sequestro di persona in danno di M. S.), capo R) (danneggiamento) nonchè in relazione alla descrizione del numero e del tipo di armi impiegate di cui ai capi A, B, E, G ed H. Non vi è per vero alcuna indicazione delle fonti documentali o testimoniali da cui desumersi l’accaduto. e) assenza di motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per motivazione meramente apparente con riferimento all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 contestata in ordine ai capi A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N, O, P, Q, R, S;

erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla applicabilità dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Nulla si dice circa la pretesa pronuncia della frase intimidatoria indicata nell’ordinanza gravata, mancando finanche la prova della sua propalazione e nonostante questo posta a fondamento della contestata aggravante, così come non è stata indicata la fonte relativa al numero dei colpi esplosi o alla tipologia di armi sicchè il Tribunale non può trarre da questi profili elementi di supporto circa la sussistenza. Nella fattispecie poi si verte in un tipico contrasto familiare nato dal fatto che P.A. si era allontanata dal marito P.G. trovando ospitalità dai propri parenti. L’aggravante in questione deve sussistere non a livello meramente soggettivo, di percezione personale, bensì di sussistenza oggettiva e non può essere desunta da una modalità, bensì dal fine che si prefigge, trattandosi peraltro di un’unica azione, isolata, perpetrata al di fuori di una attività sistematica di intimidazione e imposizione. f) erronea applicazione della legge processuale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 273 c.p.p., n. 1 in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in ordine a tutti i capi di imputazione; manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla applicazione dell’art. 273 c.p.p., n. 1 circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia con riferimento alla valutazione degli indizi a carico dell’indagato che a quelli a discarico per tutti i capi di imputazione. Gli indizi raccolti comprovano l’attività di favoreggiamento del ricorrente ma non la commissione dei gravi reati a lui contestati. I tratti somatici del soggetto alto e biondo di cui alle immagini delle telecamere a circuito chiuso non si attagliano al G. per dissomiglianza e difformità così come emerge dalle fotografie di cui ai documenti di identità in atti. Il cugino cui fa riferimento P.G. nella conversazione 24 marzo 2010 è in realtà G.G., fratello di A.. Parimenti nella conversazione 29 marzo 2010, l’ A. che parla con tale M. S. e che va identificata in P.A., coniuge di D. M.G., parlando dei fatti, non riferisce alcunchè del ricorrente. Trattasi dunque di errore di persona. Inoltre il Tribunale non ha considerato che P.G. non si sarebbe accompagnato in (OMISSIS) con un soggetto coinvolto in tale attività delittuosa. g) erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 273 c.p.p. per quanto concerne la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai tentati omicidi di cui ai capi S ed F (ai danni di C.P., V.G., F.C.) ed F (tentato omicidio in danno di S.G.). Manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 comma primo lett. e) cp.p. con riferimento alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cp.p.; dalle stesse modalità del fatto (in particolare la circostanza che i colpi d’arma da fuoco siano stati rivolti solamente verso i videogiochi senza che nessuna delle vittime sia stata colpita) si comprende che la volontà non era quella di colpire gli avventori nè tantomeno di ucciderli neppure come evento alternativo. Parimenti non vi è stata volontà omicida nei confronti dello S. bensì il probabile tentativo di contrastare una manovra repentina della vettura guidata dalla vittima e non certo, per come riportato dal Tribunale, al fine eliminare un testimone scomodo posto che, in questo caso, colui che ha sparato non si sarebbe limitato a esplodere un colpo solo.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Il primi due motivi di ricorso non sono fondati e devono essere respinti. E’ stato affermato dalle Sezioni unite di questa Corte che, ai fini dell’utilizzabilità degli esiti d’intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo nella sua interezza (con eliminazione degli omissis), essendo sufficiente il deposito, presso l’Autorità giudiziaria competente per il diverso procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime.

In ogni caso, la parte che propone questioni di legittimità di tale decreto ha l’onere (dal Pagano non adempiuto) di produrre sia il decreto di autorizzazione sia il documento al quale esso rinvia, richiedendone copia a norma dell’art. 116 c.p.p., in modo da porre il giudice del procedimento ad quem in grado di verificare l’effettiva inesistenza o illegittimità, nel procedimento a quo, del controllo giurisdizionale prescritto dall’art. 15 Cost. (Cass. Sez. U n. 45189/2004, rv. 229244).

Nè vi è allo stato alcuna indicazione in gravame circa una pretesa illegittimità del decreto autorizzativo in parola sicchè le censure difensive sul punto sono senz’altro inammissibili per genericità risolvendosi in doglianze meramente ipotetiche e astratte.

3.2. – Da rigettarsi sono anche il terzo e quarto motivo di gravame.

Deve per vero osservarsi che la richiesta di riesame non si è espressa con richieste specifiche sicchè lo scrutinio del giudice ben poteva, così come è esplicitamente accaduto, prendere connotazioni complessive atteso il vincolo concorsuale che ha interessato l’odierno ricorrente rispetto alla attività dei propri sodali. La trattazione in punto di sussistenza dei gravi indizi ha pertanto investito tutte le problematiche dell’ordinanza esaurendole in via di sufficiente motivazione.

3.3 – Da respingersi sono anche le doglianze espresse (quinto motivo di impugnazione) in relazione alla pretesa erronea valutazione di sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

La circostanza aggravante in questione si applica per vero a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) e, per i soggetti partecipi, opera anche con riferimento ai reati-fine dell’associazione (Cass., Sez. 1, 20 dicembre 2004, n. 2612, rv.

23045, P.G. in proc. Tomasi ed altri).

Nella vicenda per cui è giudizio è stato poi in modo condivisibile evidenziato dal giudice del riesame come il metodo mafioso sia rilevabile sia per la metodica propria del commesso reato che per il significato che il fatto ha avuto in relazione alla consorteria criminosa cui si riferisce. Il Tribunale ha argomentato in modo esaustivo e congruo che le particolari modalità del fatto – i sodali si sono avvalsi di un gruppo di fuoco che ha utilizzato una vasta tipologia di armi, esplodendo in due diversi episodi circa 150 colpi – ha costituito un comportamento minaccioso idoneo a richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo l’intimidazione propria del metodo mafioso, tenuto conto che il commando ha agito allo specifico scopo di intimorire l’avversario ricorrendo alla esemplarità di un gesto particolarmente eclatante e violento che ha travalicato la contesa strettamente familiare vuoi per la gravità dei fatti commessi vuoi per l’entità dei danni cagionati vuoi infine perchè il P. non era solo, ma si era avvalso appunto della forza intimidatrice della consorteria cui ineriva.

Inoltre il Tribunale bene ha messo in luce il fatto che il conflitto familiare era solo uno dei moventi della vicenda essendo stata rilevata la sussistenza tra gli antagonisti di contrasti di altra natura, come la mancata restituzione da parte del D.M.G. del controllo sul bowling, circostanza questa che spiega, secondo il giudice del riesame, l’eclatanza degli episodi delittuosi per cui è giudizio.

3.4 – Il sesto e il settimo motivo di ricorso (vertenti sulla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza) sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili. Le sollecitazioni difensive sono meramente in fatto e mirano a proporre una nuova rivalutazione del dato indiziario non proponibili in questa sede. Le argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici del Tribunale si profilano esaurienti e congrue, in particolare in relazione alla valutazione analitica delle risultanze di cui alle intercettazioni telefoniche e ambientali acquisite e alle argomentazioni espresse in punto identificazione dell’odierno ricorrente.

3.5. – Da respingersi perchè motivate in fatto e in quanto tendenti a sovrapporre una propria tesi valutativa probatoria rispetto a quella già espressa in modo esauriente e congruo dal giudice del riesame, sono le sollecitazioni difensive che attengono al tentato omicidio dello S. e alla considerazione che l’agente, qualora avesse avuto in animo di uccidere la vittima, avrebbe approfittato della sua condizione di inanità susseguente alle lesioni inferte per terminare il proprio operato. Giova qui osservare che possono essere infatti diverse le motivazioni che possono aver indotto l’imputato a non proseguire nella sua attività lesiva (e nessuna di esse può avere a che fare con la sua volontà di solo ledere), una delle quali ben può essere quella, implicitamente considerata dal giudice di merito, di aver ritenuto che la propria azione, per le modalità espletabile adoperate e lo strumento utilizzato, fosse stata di per sè sufficiente a rendere definitivamente inoffensivo il proprio avversario, con raggiungimento conseguente della consapevolezza di averlo eliminato.

Inoltre, non solo nella fattispecie l’esplosione di quell’unico colpo era stato potenzialmente tale da poter abbattere la vittima (Cass., Sez. 1, 7 dicembre 1987, n. 5274, rv. 178273, Pesenti) ma è anche certo che l’agente, nella fattispecie, era stato in grado di rendersi fin da subito conto della possibile esizialità della lesione inferta, tale, in altri termini, da non lasciare scampo alla propria vittima. Occorre inoltre considerare che la volontà omicida può ritenersi sussistente ai fini integrativi del reato quando già espressa nel segmento di condotta che realizza di per sè la fattispecie incriminatrice ovvero quando siano posti in essere atti da cui tra origine il meccanismo causale capace di produrre l’evento letale (Cass., n. 39293/08); non deve per vero necessariamente essere presa in considerazione la reiterazione dell’azione delittuosa al fine di valutare se la porzione iniziale della condotta sia di per sè idonea e inequivoca a cagionare l’altrui morte quando autonomamente sono compresenti tutti gli elementi costitutivi del delitto, reiterazione che resterebbe comunque giuridicamente apprezzabile sotto il profilo dell’intensità del dolo espresso.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si deve altresì provvedere agli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento del direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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