Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-12-2010) 26-01-2011, n. 2738

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 8 luglio 2010, depositata in cancelleria il 15 luglio 2010, il Tribunale di Napoli, quale giudice del riesame, rigettava l’appello avanzato nell’interesse di N. A. avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che rigettava la richiesta volta a ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del medesimo odierno ricorrente per decorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3.

Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che N. A., già attinto da ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice delle indagini preliminari di Napoli in data 30 giugno 2003 per i reati di cui agli artt. 416 bis c.p., 627 c.p., 513 bis c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7, era stato raggiunto da una successiva ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice delle indagini preliminari di Napoli per il reato di cui all’art. 629 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7 ((OMISSIS)).

Veniva ribadito inoltre quanto già disposto dal Giudice delle indagini preliminari in data 17 febbraio 2010 che aveva respinto la richiesta di declaratoria di inefficacia della misura in considerazione del fatto che la sentenza della Corte di Appello di Napoli, in data 6 dicembre 2007, era stata annullata dalla Corte di Cassazione solo parzialmente con sentenza 10 giugno 2009 limitatamente al reato di cui all’art. 513 bis c.p. Tale annullamento determinava il passaggio in giudicato della parte residuale della sentenza di merito, con riferimento ai reati diversi dall’art. 513 bis c.p., non potendosi nella fattispecie invocare l’ipotesi della connessione essenziale di cui all’art. 624 c.p.p., dal momento che le imputazioni per le quali la sentenza di appello non era stata annullata erano del tutto indipendenti dalle altre e insuscettibili di essere messe in discussione in sede di rinvio. Stante il passaggio in giudicato parziale della sentenza di merito non poteva porsi dunque la questione della retrodatazione.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Camillo Irace, ha interposto tempestivo ricorso per Cassazione N.A. chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 624 c.p.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Si obbiettava per vero che l’ordinanza custodiale emessa nel 2003, contrariamente a quanto assunto dal Tribunale del riesame, doveva ritenersi allo stato pendente posto che non doveva considerarsi a tutt’oggi passata in cosa giudicata la sentenza 17 maggio 2010 della Corte di Appello di Napoli, giusto il giudizio di rinvio operato dalla quinta Sezione della Corte di Cassazione. La sentenza di merito non era stata infatti posta per vero in esecuzione, anche per carenza di determinazione concreta dell’entità della pena da eseguire nella parte ritenuta irrevocabile, sicchè doveva ritenersi che, ai sensi dell’art. 624 c.p.p., sussistesse una connessione essenziale con la parte annullata. Veniva inoltre osservato che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione e dalla Corte Costituzionale, la retrodatazione è automatica, senza che sia necessaria la desumibilità degli atti, qualora le due diverse ordinanze si riferiscano al medesimo fatto ovvero a fatti diversi legati da connessione qualificata ex art. 12 c.p.p.: l’imputazione contestata con la seconda ordinanza era la naturale proiezione del reato associativo e degli altri reati-fine contestati con la prima misura trattandosi nel medesimo ambito territoriale, dello stesso arco temporale, in costanza della medesima aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1. – Deve per vero rilevarsi che le sollecitazioni difensive sono erronee in diritto avversando il principio consolidato di questa Corte di legittimità secondo cui in tema di annullamento parziale da parte della Corte di Cassazione, con l’espressione "parti della sentenza" l’art. 545 c.p.p. del 1930 – norma riprodotta nell’art. 624 c.p.p. – ha inteso fare riferimento a qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo di imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame;

anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benchè non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del relativo contenuto (Sez. U, 11 magio 1993, n. 601, Ligresti ed altri, rv. 193419).

L’annullamento parziale della sentenza della Corte di Appello di Napoli 6 dicembre 2007 ha interessato solo il delitto di cui all’art. 513 bis c.p. – del tutto autonomo e diverso (dal punto di vista fattuale) dall’altro reato contestato nel medesimo procedimento e di cui all’art. 416 bis c.p. per il quale si era invece formato il giudicato parziale e con cui non vi è alcuna connessione essenziale di cui all’art. 624 c.p.p. In altri termini, in nessun modo il giudice del rinvio avrebbe potuto disquisire nuovamente sulla responsabilità del N. in relazione al delitto in questione di associazione per delinquere di stampo mafioso, neppure riesaminando, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., il reato su cui era stato pronunciato l’annullamento.

3.2. – E’ corretto pertanto l’assunto del giudice secondo cui è inapplicabile l’istituto ex art. 297 c.p.p., comma 3 dal momento che la retrodatazione non opera in relazione a una custodia che cautelare più non è per la subentrata condizione di irrevocabilità della sentenza ancorchè parziale (da ultimo, ex pluribus, Cass., Sez. 1, 16 marzo 2010, n. 12551, Cava, rv. 246704 che ha ritenuto che in tema di cosiddetta contestazione a catena, l’operatività della disciplina presuppone che i procedimenti cui attengono le diverse ordinanze cautelari siano tutti "in itinere", sicchè essa non trova applicazione nell’ipotesi in cui il primo procedimento si sia concluso con una sentenza di condanna passata in giudicato, sia pure in epoca successiva alla seconda ordinanza cautelare).

L’argomentazione è di per sè assorbente dei residuali rilievi difensivi.

Qui è tuttavia appena il caso di richiamare, a confutazione dei rilievi difensivi, il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità per il quale vi è piena autonomia (sia sotto il profilo sostanziale che soggettivo) tra il reato associativo ex art. 416 bis c.p. e i reati scopo (e non solo ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione), tale da escludere qualsivoglia identità o connessione qualificata ex art. 12 c.p.p. tra i due reati ancorchè il reato-fine possa essere estrinsecazione del programma criminoso oggetto del pactum sceleris. L’associazione, invero, è contraddistinta dall’accordo programmatico per la commissione di delitti, per il controllo di attività economiche e per la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, con il ricorso a metodi tipicamente mafiosi (forza intimidatrice, condizione di assoggettamento e di omertà), mentre il reato-fine è la perpetrazione di un reato nell’ambito associativo che può realizzare anche occasionalmente le linee programmatiche della compagine criminale senza esserne per questo l’espressione necessaria e indefettibile o doverne condividere i dati probatori o indiziali.

3.3. – A nulla può rilevare, come censura il ricorrente, che non siano scaduti i termini per impugnare la sentenza oggetto di annullamento parziale, posto che in ogni caso, la parte non annullata dalla sentenza della Corte di Cassazione, non sarà comunque suscettibile di nuovo gravame.

3.4. – Parimenti del tutto inconsistente è il rilievo difensivo secondo cui la pretesa parte passata in giudicato della sentenza non sia stata posta in esecuzione, posto che trattasi di mera ragione di praticità tecnica che non inficia nè può inficiare l’autorità di cosa giudicata del giudicato parziale, attesa quanto mai la necessità di attendere il giudicato completo anche con riferimento al reato residuale se non altro ai fini di un eventuale calcolo della continuazione tra il reato ex art. 416 bis c.p. e l’art. 513 bis c.p..

3.5. – Priva di fondamento è anche la censura che attiene al secondo motivo di gravame. In realtà, come ben posto in evidenza dal giudice dell’esecuzione, neppure il N. sostiene la sussistenza di un vincolo di connessione tra il reato di cui all’art. 513 bis c.p. e l’estorsione di cui all’ordinanza del dicembre 2009 (ai danni della società SO.P.RI in relazione all’appalto da questa aggiudicatasi in relazione alla manutenzione delle strade del Comune di San Vetuliano) atteso che i gravi indizi di colpevolezza erano ricollegabili alla collaborazione di A.D. nel settembre 2009 e di per ciò stesso non desumibile dagli atti processuali all’epoca della prima misura custodiale del 2003. 4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si deve altresì provvedere agli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento del direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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