T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 20-01-2011, n. 157

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.M. ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge, con particolare riferimento alla carenza di motivazione, nonché per eccesso di potere, chiedendone l’annullamento.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, eccependo l’infondatezza del ricorso avversario e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza datata 29.03.2007 il Tribunale ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato.

All’udienza del 15.12.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare deve essere rilevata l’irricevibilità del ricorso per tardività.

Nel caso di specie il provvedimento del Questore di Pavia, datato 04.08.2000, è stato notificato in data 24.12.2000, mentre il ricorso in esame è stato notificato nel mese di novembre dell’anno 2006 e depositato in data 30.11.2006, sicché è palese la violazione del termine perentorio di 60 giorni stabilito per la proposizione dell’impugnazione.

Il ricorrente chiede la remissione in termini, adducendo che il mancato rispetto del termine di impugnazione è dovuto ad un errore scusabile correlato alla mancata traduzione del provvedimento in lingua a lui nota.

Sul punto va osservato che, seppure il provvedimento impugnato non sia stato tradotto secondo le modalità previste dall’art. 13 del d.l.vo 1998 n. 286 – circostanza che per pacifica giurisprudenza non incide sulla legittimità del provvedimento, ma può porsi come situazione che giustifica la remissione in termini – ciò nonostante, nel caso di specie la violazione del termine perentorio non è riconducibile ad un errore scusabile del ricorrente.

Invero, egli asserisce di trovarsi in Italia dal 01.01.1997 e di avere svolto, alla data del 14.12.1998, attività lavorativa alle dipendenze di una impresa edile di Abbiategrasso; quindi, riferisce di essere stato assunto dalla ditta individuale L.P., di L.P. A., con decorrenza dal 09.05.2000, in qualità di operaio assemblatore di III livello, ossia per lo svolgimento di un’attività definita nel ricorso "particolarmente qualificata e specializzata".

Inoltre, nel ricorso si evidenzia (cfr. pag 6) come il M. dopo oltre due anni di soggiorno in Italia aveva ormai conseguito "una piena integrazione nel tessuto sociale italiano".

Gli elementi ora indicati rendono, in primo luogo, del tutto inverosimile, in mancanza di altri concreti indizi, la tesi per cui il M. al momento della notificazione del provvedimento impugnato non fosse in grado di percepirne il contenuto, atteso che lo svolgimento di un’attività lavorativa particolarmente qualificata e specializzata alle dipendenze di una ditta individuale italiana, nonché l’asserita piena integrazione nella società italiana, presuppongono, secondo l’id quod plerumque accidit, la conoscenza della lingua italiana, per lo meno ad un livello elementare.

In ogni caso, è espressione di comportamento negligente – e, quindi, non lascia spazio alla scusabilità dell’errore – la condotta del M. che, pure affermando di essere rimasto in Italia dopo la revoca del permesso (cfr. pag 14 del ricorso), ha atteso circa 6 anni dalla notificazione del provvedimento per proporre l’impugnazione.

Invero, non è ipotizzabile, sulla base di normali parametri di ragionevolezza, che solo dopo 6 anni dalla notificazione del provvedimento – nonostante la presenza in Italia da circa 10 anni e ivi svolgendo attività lavorativa – M. abbia compreso il significato del provvedimento impugnato.

In particolare, la semplice percezione dell’intestazione del provvedimento – dalla quale emerge la provenienza dell’atto dalla Questura di Pavia – avrebbe dovuto indurre una persona di normale diligenza ad attivarsi, ben prima del decorso di 6 anni dalla notificazione, al fine di comprendere quale determinazione fosse stata assunta dall’amministrazione nei suoi confronti.

Del resto, non è dubitabile che il ricorrente fosse in grado di percepire la provenienza dell’atto dall’amministrazione chiamata a valutare la sussistenza dei presupposti per la sua permanenza in Italia, atteso che anche il permesso revocato è stato rilasciato dalla Questura di Pavia.

Insomma, la condotta del M. lungi dall’integrare un errore scusabile, esprime una condotta negligente, espressiva di un disinteresse, protratto per circa 6 anni, in ordine alle determinazioni assunte dalla Questura nei suoi confronti.

Va, pertanto, ribadito che nel caso di specie non ricorrono i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile, sicché il ricorso deve essere dichiarato irricevibile perché tardivamente proposto.

La peculiarità della fattispecie consente di disporre la compensazione delle spese della lite.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione terza, definitivamente pronunciando, dichiara irricevibile il ricorso.

Compensa tra le parti le spese della lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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