Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-12-2010) 26-01-2011, n. 2588

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1) La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza 18 dicembre 2009, ha confermato la sentenza 2 aprile 2008 del Tribunale di Pisa che aveva condannato Q.M. alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il delitto di furto aggravato (perchè commesso con abuso di relazioni domestiche) commesso in (OMISSIS).

I giudici di merito hanno ritenuto accertato che l’imputata si fosse impossessata di un anello del valore di circa 1.000,00 Euro mentre prestava attività lavorativa di collaboratrice domestica nell’abitazione di C.D.. Quest’ultima, insospettita della sparizione, avvenuta in precedenza, di alcuni oggetti di valore, si era accordata con una sua amica e si era ritirata con lei in salotto lasciando in cucina un anello con brillanti. Le due donne erano poi tornate in cucina constatando la sparizione del gioiello che era stato successivamente ritrovato, a seguito dell’intervento dei Carabinieri, in una tasca di un indumento della Q..

2) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso l’imputata che ha dedotto un unico motivo di censura con il quale si denunzia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo la ricorrente la sentenza di secondo grado non avrebbe tenuto conto di alcune "macroscopiche divergenze" tra le dichiarazioni della persona offesa e le dichiarazioni di una testimone.

Inoltre la sentenza non avrebbe proprio preso in considerazione non solo la possibilità che la persona offesa avesse ingiustamente accusato l’imputata ma altresì che potesse aver smarrito gli oggetti non più ritrovati.

Nel ricorso vengono poi indicate una serie di diverse circostanze fattuali che, a dire della ricorrente, sarebbero state erroneamente valutate dai giudici di merito.

3) Il ricorso va dichiarato inammissibile in conformità delle richieste del procuratore generale.

Malgrado il motivo sia, nel ricorso, qualificato con il richiamo a quelli previsti dall’art. 606 c.p.p. nella sostanza le censure proposte attengono essenzialmente alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici d’appello laddove hanno accertato che l’imputata fu trovata in possesso dell’anello sottratto nel luogo dove prestava la propria attività lavorativa. Tra l’altro l’oggetto fu rinvenuto nella tasca di un giubbotto che la Q. in quel momento indossava e la tasca dell’indumento era chiusa.

L’ipotesi della denunzia calunniosa (e a maggior ragione quella dello smarrimento) quindi non solo non trova alcuna conferma ma è logicamente esclusa da questa ricostruzione dei fatti che nel ricorso neppure viene messa in discussione. Si consideri, d’altra parte, che all’imputata è stato contestato quest’unico episodio e non le altre sparizioni in precedenza avvenute.

Con il ricorso si chiede, in buona sostanza, che la Corte intervenga sui criteri di valutazione della prova utilizzati dal giudice di merito; il che non è consentito al giudice di legittimità. 4) Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso conseguono le pronunzie di cui al dispositivo. con riferimento a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 13 giugno 2000 n. 186 si rileva che non si ravvisano ragioni per escludere la colpa del ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità ai fini della condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende in considerazione della palese violazione delle regole del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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