Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-12-2010) 26-01-2011, n. 2587 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Perugia ha giudicato in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte, S.G., chiamato a rispondere di plurimi episodi di violenza sessuale aggravata in danno di minori, minacce e atti osceni.

La Corte di legittimità, annullando la primigenia sentenza di appello, che, solo parzialmente riformando quanto al trattamento sanzionatorio quella di condanna resa in primo grado, aveva riconosciuto colpevole il S., aveva sollecitato un nuovo apprezzamento valutativo della vicenda, con particolare riguardo alla questione della dedotta incapacità di intendere e volere, in ragione del nuovo assetto interpretativo derivante dalla sentenza delle Sezioni unite, 25 gennaio 2005, Raso, ed ad una più compiuta valutazione delle dichiarazioni a carico, a fronte di alcuni elementi di contraddizione tra quelle della parte lesa e quelle rese da altri testimoni.

All’esito, la Corte riformando parzialmente la sentenza di condanna in primo grado, condannava l’imputato in ordine ai reati ascrittigli, pur riconoscendogli il vizio parziale di mente (art. 89 c.p.).

A supporto della decisione, il giudicante ha sviluppato una compiuta motivazione ove ha analizzato in primo luogo la complessiva attendibilità e credibilità delle dichiarazioni accusatorie della vittima R.A., spiegando, con argomenti pertinenti, le ragioni in forza delle quali tali plurime dichiarazioni presentavano momenti di contraddizione e una evoluzione nel tempo. Si escludeva il mendacio, spiegando come dovesse ritenersi dimostrato che la paura e il senso di colpa e di vergogna erano state la causa di talune apparenti incertezze nei racconti.

Analogamente, la Corte ha analizzato le dichiarazioni di altri ragazzi, coerenti con l’impostazione accusatoria, sciogliendo i dubbi in ordine ad alcune apprezzate, apparenti contraddizioni, spiegate con il contesto della vicenda e l’età dei dichiaranti. Tali dichiarazioni sono state poi comparate, ai fini del ritenuto positivo riscontro, con quelle rese dal R..

Attento passaggio argomentativo il giudice ha dedicato al tema dell’imputabilità, riconoscendo all’imputato la seminfermità di mente.

Con il ricorso, mentre non si articola alcuna censura in ordine alla riconosciuta seminfermità mentale, ci si lamenta della tenuta logica della motivazione in punto di affermazione della responsabilità. Si contesta l’apprezzamento del compendio dichiarativo, a cominciare dalle dichiarazioni del R.. Di tali dichiarazioni, fornendo una lettura alternativa, si deduce l’inattendibiltà e, di conseguenza, l’apoditticità dell’affermazione di responsabilità, che contrasterebbe "con gli atti del processo".

E’ intervenuto in giudizio il difensore delle parti civili costituite, concludendo per il rigetto del ricorso e depositando nota spese.

Il ricorso è manifestamente infondato, giacchè si risolve in una censura di merito dell’apprezzamento valutativo delle prove (dichiarative) che, anche per la complessiva genericità della doglianza, non evidenza alcun profilo di illogicità manifesta, tale da vulnerare la tenuta del giudizio di responsabilità.

Va del resto ricordato che, secondo principio convincente, in tema di ricorso per cassazione, quando oggetto della denuncia di vizio di insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione risultante da un atto del procedimento è il contenuto di un esame dibattimentale, e comunque di una dichiarazione, requisito di ammissibilità del ricorso è la produzione integrale del verbale nel quale quella dichiarazione è inserita ovvero la sua integrale trascrizione nel ricorso, giacche tale integralità, stante l’impossibilità per il giudice di legittimità di accedere agli atti, è essenziale per consentire di verificare se il "senso o significato probatorio" dedotto dal ricorrente sia congruo al "complesso" della dichiarazione. Il compito del giudice di legittimità è comunque molto delicato ove si consideri che l’individuazione del "senso probatorio" di una dichiarazione, di sue parti o del suo complesso è operazione di stretto merito, che in genere presuppone non solo la conoscenza degli altri elementi di prova, ma appunto anche la stessa valutazione complessiva di tutte le prove: la Corte, in questa prospettiva, deve limitarsi alla "verifica di legittimità" della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente e il contenuto complessivo delle dichiarazione, che è verifica del tutto peculiare, che si caratterizza per il non sostituirsi al compito esclusivo del giudice di merito, limitandosi ad accertare l’eventuale sussistenza del vizio processuale dedotto, senza alcun vincolo "contenutistico" per il successivo apprezzamento del giudice di merito nel caso di annullamento con rinvio sul punto. Si tratta, in definitiva, di una "valutazione incidentale" in cui il giudice di legittimità deve limitarsi a controllare se il senso probatorio della dichiarazione, dedotto dal ricorrente ed articolantesi su affermazioni (o silenzi) specifici del dichiarante, trovi sul piano logico una verosimiglianza non immediatamente smentita ovvero non necessitante di alcuna operazione interpretativo-valutativa ulteriore, imposta, o anche solo consentita, da altre parti del testo dell’esame complessivamente apprezzato. In tale evenienza, il giudice di legittimità deve, prima, prendere atto dell’apparente contrasto tra quanto affermato nel provvedimento impugnato e quanto risultante con immediatezza dall’atto probatorio, poi dell’eventuale astratta decisività di tale contrasto avuto riguardo alla logica del percorso motivazionale di quel provvedimento, e, quindi, in caso positivo, demandare al giudice del rinvio ogni ulteriore e conseguente, comunque libero, apprezzamento, nella pienezza del giudizio fattuale che caratterizza la valutazione delle prove e che appartiene, appunto, solo al giudice di merito (cfr. Sezione 6, 24 febbraio 2010, Nuzzo Piscitelli ed altri).

Qui, a ben vedere, il ricorso è del tutto privo delle dette caratteristiche di concretezza, non riportando neppure per stralcio, i passaggi asseritamente critici delle dichiarazioni contestati, nè analizzando in alcun modo come e perchè tali pretese criticità dovrebbero vulnerare il giudizio di colpevolezza: le doglianze, in realtà, si risolvono piuttosto, in una oltremodo generica critica dei diversi passaggi della decisione.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità, nonchè alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio, liquidate come in dispositivo, dalle parti civili costituite.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite e liquida le stesse in complessivi Euro 2.820,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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