T.A.R. Sicilia Catania Sez. II, Sent., 20-01-2011, n. 132 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente esponeva:

a)di essere stato dipendente dell’amministrazione regionale e di aver prestato servizio presso la commissione provinciale di controllo di Catania;

b)di essere stato collocato a riposo su sua domanda a decorrere dall’1.10.1993 con relativa determinazione del suo trattamento di quiescenza con provvedimento 17.7.93 n. 1467/B;

c)che l’amministrazione, con provvedimento 19 aprile 1997 n. 5409/II, aveva stabilito un trattamento meno favorevole non avendo calcolato gli aumenti periodici e/o i ratei degli stessi maturati dall’1 luglio 1990 alla data di cessazione del servizio;

d) che conseguentemente era stata rideterminata anche l’indennità di buonuscita e comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento di recupero delle maggiori somme indebitamente corrisposte a titolo dell’indennità in questione.

Tutto ciò premesso impugnava gli atti in epigrafe indicati per:

1)Violazione di legge per falsa applicazione degli artt. 8 e seg. l.r. 10/1991. Eccesso di potere per sviamento. Falsità della causa.

2)Insussistenza dei presupposti per la ripetizione d’indebito. Violazione dell’art. 3 della legge regionale n. 10/1991. Difetto di motivazione.

3)Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 15 l.r. 11/1998.

Con memoria del 24 aprile 1998 si costituiva l’amministrazione chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza 30 aprile 1998 n. 1018 il Tar sospendeva il provvedimento impugnato.

Indi all’udienza pubblica dell’1 dicembre 2010 la causa passava in decisione.

Motivi della decisione

Con il presente ricorso si impugna il provvedimento 2 febbraio 1998 n. 866 con il quale l’amministrazione, per un verso, ha comunicato l’avvio del procedimento di recupero di somme indebitamente corrisposte (ai sensi dell’art. 8 l.r. 10/1991) e, per altro verso, ha invitato il ricorrente "…ad effettuare il versamento di Lire 3.996.399…" avvertendo che in difetto avrebbe proceduto "…al recupero di quanto dovuto, maggiorato degli interessi legali per una eventuale rateizzazione, mediante trattenute sul trattamento di quiescenza…".

La prima censura, incentrata sull’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ex art. 7 l. 241/1990, non può essere accolta perché la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato – evidenziando che nel recupero di somme indebitamente corrisposte vengono in rilievo diritti patrimoniali – ha affermato che la mancata comunicazione di avvio del procedimento non è, in questo quadro, motivo di illegittimità (Consiglio Stato, sez. VI, 17 giugno 2009, n. 3950) ferma restando la possibilità per l’interessato di contestare errori di conteggio o la sussistenza dell’indebito, nonché di chiedere, nel termine di prescrizione, la restituzione di quanto trattenuto (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2004, n. 2203; Cons. Stato, 14 ottobre 2004, n. 6654).

Col secondo motivo di ricorso si censura il provvedimento impugnato per difetto di motivazione sia perché non recherebbe un’adeguata motivazione in ordine all’affidamento ingenerato dal primo provvedimento di calcolo del trattamento di quiescenza sia perché non emergerebbe la ragione per cui è stata operata la rideterminazione. Al riguardo questo Tribunale, con precedente decisione che si condivide e si richiama, ha affermato: "…La giurisprudenza amministrativa più recente si è attestata sulla legittimità del recupero delle somme indebitamente riconosciute ad un dipendente pubblico non tenendo conto della buona fede del percipiente, essendo il recupero un atto dovuto non rinunziabile, espressione di una funzione pubblica vincolata. In capo all’Amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce, perciò, una posizione soggettiva che deve essere qualificata come diritto soggettivo alla restituzione, alla quale si contrappone, avendo gli atti che si riferiscono ad un credito derivante da un rapporto di impiego natura paritetica e non autoritativa, una correlativa obbligazione del dipendente; qualora l’Amministrazione intenda recuperare le somme indebitamente corrisposte, non deve annullare l’atto di corresponsione delle stesse in quanto l’indebito si configura come tale per l’obiettivo contrasto con una norma, con la conseguenza che non vi è obbligo di motivare circa l’interesse pubblico che induce ad effettuare il recupero patrimoniale (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 2 dicembre 2009, n. 8264). In altri termini, il recupero di emolumenti indebitamente corrisposti a pubblici dipendenti costituisce per la P.A. l’esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, ex art. 2033 c.c., avente carattere di doverosità e privo di valenza provvedimentale, sicché il mancato assolvimento delle forme e formalità procedimentali (id est, difetto di motivazione, difetto di istruttoria,omessa valutazione degli interessi latitanti) non può essere considerato come causa, ex se, di illegittimità del procedimento. Con riferimento alla sicura buona fede del dipendente che ha percepito gli emolumenti non dovuti, va rilevato che per la giurisprudenza "la norma di cui all’art. 52, l. 9 marzo 1989 n. 88, che limita il recupero delle somme indebitamente corrisposte all’ipotesi del dolo del percipiente, è dettata in materia di previdenza sociale e, come norma eccezionale, non può applicarsi in materia di pubblico impiego, in cui l’amministrazione è tenuta alla ripetizione dell’indebito, salvo il rilievo, ai soli fini delle modalità di recupero, della buona fede del soggetto interessato (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 27 gennaio 2003, n. 105)…" (Tar Sicilia, sez. Catania, sez. II, 16 giugno 2010 n. 2303).

Con il terzo motivo di ricorso viene censurato il provvedimento di recupero ritenendo che sarebbe stato violato l’art. 15 l.r. 11/1988 perché "…nella determinazione della base pensionabile e del trattamento di previdenza non sono stati calcolati il rateo del 9° aumento periodico maturato fino all’1.7.1991, il 10° maturato fino all’1.7.93 ed il rateo dell’11° maturato fino all’1.10.1993…".

L’amministrazione, con la memoria depositata in data 20 maggio 2010, ha rilevato che, in esito ad alcune osservazioni "…della Corte dei Conti (delibera nr. 19/95 che ha ritenuto non attribuibile al personale in quiescenza dal 1.7.90 i benefici di cui all’art. 15 della L.R. 11/88…"), è stata disposta la rideterminazione dei provvedimenti adottati definitivamente e, negli altri casi, la modifica degli stessi. L’amministrazione ha evidenziato infine che l’art. 15 l.r. 11/88 è stato interpretato dalla Corte dei Conti nel modo in cui è stato applicato dall’atto di recupero.

Effettivamente per la Corte dei Conti "nella regione siciliana ai dipendenti delle Camere di Commercio cessati dal servizio per dimissioni volontarie in epoca anteriore al 31 dicembre 1994 non può essere riconosciuto il diritto fruire dei benefici di cui agli artt. 5 e 15 della L.R. n. 11/1988, ciò per effetto della L.R. n. 19/1991, che ha definitivamente abolito il sistema della progressione economica per classi di stipendio ed aumenti periodici" (Sent. n. 560 del 11062009). In altra decisione il giudice contabile ha affermato che "ai fini della determinazione del trattamento di pensione, è corretto il mancato computo dei benefici di cui all’art. 15 della L.R. n. 11/1988 nei confronti di un dipendente regionale cessato dal servizio dopo l’entrata in vigore della legge medesima, poiché, per effetto dell’abrogazione del sistema di progressione per classi e aumenti periodici, non è più giuridicamente e materialmente possibile il computo delle relative quote mensili, essendo esso strettamente collegato alla disciplina dell’anzianità di servizio prevista dalla previgente normativa" (Sez. giurisdiz., Sent. n. 904 del 08042009).

Anche per la giurisprudenza amministrativa dal combinato disposto di cui agli artt. 13 e 15 della L.R. n. 11 del 1988 si desume che il personale collocato a riposo non può percepire emolumenti superiori o diversi rispetto a quelli attribuiti al personale in servizio. Pertanto, venuto meno per il personale in servizio ogni incremento retributivo automatico per mera anzianità di servizio, a decorrere dal 2 luglio 1990, anche per il personale in quiescenza cessa, dalla stessa data, la corrispondente attribuzione prevista dal citato art. 15" (T.A.R. Palermo Sez. I, sent. 10042002 n. 912).

Per le ragioni sino ad ora esposte, il ricorso deve essere respinto. Sussistono nondimeno giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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