Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-12-2010) 26-01-2011, n. 2582 Circolazione stradale; Omicidio colposo; Strade pubbliche e private

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catania confermava la sentenza in primo grado che aveva assolto R.S. dal reato di cooperazione per omissione in omicidio colposo in danno di S.R. (fatto avvenuto in data (OMISSIS)).

Al R., nella qualità di dirigente del settore Lavori pubblici del Comune di Lentini, erano stati contestati i seguenti profili di colpa: avere omesso di vigilare sullo stato della via comunale (OMISSIS); avere omesso di segnalare agli assessori competenti la pericolosità della stessa strada e la necessità di effettuarvi i lavori (disposti soltanto dopo il verificarsi dell’incidente stradale); non avere mantenuto la strada medesima in condizione di sicurezza, stante il restringimento della strada in prossimità di una curva costeggiata da un burrone, così che, secondo la contestazione accusatoria, l’imputato aveva concorso a cagionare la morte dello S., il quale, trasportato su di un ciclomotore condotto da un minore (prosciolto per concessione del perdono giudiziale), a causa di un sinistro avvenuto in curva, in mancanza di un’adeguata recinzione, precipitava nella scarpata sottostante.

La sentenza impugnata ha escluso il concorso di colpa dell’imputato nella determinazione del sinistro, coerentemente alle conclusioni del giudice di primo grado, ritenendo la insussistenza degli addebiti contestati e riconducendo l’esclusiva responsabilità del sinistro al giovane conducente del ciclomotore e forse anche a quella del conducente dell’autovettura coinvolta nell’incidente "troppo frettolosamente uscito dal processo".

Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione le parti civili costituite articolando due motivi, strettamente connessi.

Con il primo lamentano l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento all’art. 2 C.d.S., laddove la Corte di merito aveva ritenuto di escludere la natura pubblica della strada, o quantomeno l’uso pubblico cui era adibita di fatto la strada stessa, così violando il comma 6, lett. d) del citato articolo, che assimila alle strade comunali le strade vicinali, con tutti gli obblighi di messa in sicurezza e di custodia che tale riconoscimento implica e comporta a carico dell’ente pubblico gestore della strada. Si sostiene sul punto che, ai fini della classificazione di una strada come pubblica o privata, ciò che rileva è la sua concreta ed effettiva destinazione, dovendosi ritenere pubblica la strada soggetta al passaggio collettivo ed idonea a soddisfare un interesse generale di una comunità territoriale ed un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da moltissimo tempo, come, secondo il ricorrente, nella strada in cui si verificò l’incidente un esame, riattata dal Comune intorno agli anni 60 per consentire ai cittadini l’accesso al cimitero nonchè ai mezzi del Comune di accedere sia al cimitero sia al soprastante acquedotto comunale.

Conferma in tal senso si trarrebbe anche dai lavori di messa in sicurezza della strada eseguiti dal Comune dopo l’incidente mortale.

Si sostiene, pertanto, in capo al Comune di Lentini, e per esso al funzionario preposto al settore di competenza, l’obbligo giuridico di manutenzione e messa in sicurezza della strada, in base agli artt. 14 e 42 C.d.S..

Con il secondo motivo lamentano la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione in tema di rapporto di causalità laddove i giudici di merito avevano illogicamente escluso la responsabilità del R., pur essendo emerso in dibattimento che la strada in questione si presentava assolutamente inidonea all’apertura al traffico urbano, in quanto priva di qualsiasi segnaletica orizzontale e verticale, di marciapiede, e di larghezza non uniforme fino a restringersi nel tratto ove si verificò l’incidente a mt. 3,80, priva di linea di mezzeria.

Conseguentemente si censura quale illogica la sentenza nella parte in cui, pur riconoscendo l’evidente pericolosità della strada, imputa la responsabilità del sinistro alla esclusiva condotta colposa del conducente del motorino, senza tener conto del principio di equivalenza delle cause, fissato dai citati artt. 40 e 41 c.p., secondo il quale tutte le cause concorrenti sono cause dell’evento.

Si censura la motivazione anche nella parte in cui la Corte di merito, senza rispondere agli specifici rilievi posti dalla difesa, ritiene assolutamente indimostrato che l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza (ripristino del muro ad un’altezza di m. 1,10) avrebbero evitato la caduta del giovane nel dirupo, sul rilievo che tale conclusione contrasterebbe con la dinamica dell’incidente, come ricostruita dai Vigili urbani, intervenuti nella immediatezza del fatto e dai periti del PM e del primo giudice, laddove si giunge ad affermare con certezza che l’evento lesivo non si sarebbe verificato se la strada fosse stata messa in sicurezza da parte di che ne aveva il relativo obbligo.

E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse del R. con la quale si contesta la fondatezza delle censure proposte con il ricorso, ribadendo, attraverso il rinvio alle sentenze di entrambi i gradi di giudizio, la natura di strada vicinale privata o via agraria della strada de qua e la logicità nonchè la congruenza della motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza del nesso di causalità tra le asserite omissioni e l’evento mortale.

La sentenza non merita le censure proposte con i ricorsi, essendo stata sviluppata a conforto della sentenza liberatoria (confermativa già di quella di primo grado) una motivazione esaustiva e giuridicamente corretta.

Con riferimento ad entrambi i motivi, in via preliminare si osserva che dietro l’apparente schermo del difetto di motivazione i ricorrenti, trascurando di considerare i limiti del sindacato di legittimità, vorrebbero che qui si effettuasse una rinnovata valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione, sintetica ma coerente e logica in ordine alle ritenute modalità di verificazione dell’incidente stradale.

Va in proposito ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia, l’individuazione delle relative responsabilità e la determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente sono rimesse al giudice di merito ed integrano una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (ex pluribus, Sez. 4, 15 giugno 2010, Pariani).

E va altresì ricordato, in termini più generali, che in sede di legittimità non è certamente possibile una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova.

E’ principio non controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, in particolare on competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Sezione 6, 24 febbraio 2010, Nuzzo Piscitelli ed altri).

Ciò premesso, va rilevato che nessuno dei profili di colpa contestati all’imputato è stato escluso in modo apodittico e tale da meritare una rinnovata valutazione.

Quanto alla pretesa posizione di garanzia dell’imputato, in ragione della qualifica funzionale dallo stesso ricoperta nell’ambito del Comune di Lentini, la sentenza ha innanzitutto escluso la sussistenza di un onere di manutenzione della strada interessata dall’incidente mortale, ubicata alla periferia dell’abitato della cittadina, sottolineandone la natura di "strada vicinale privata ad uso agrario", confermata dal fatto che l’attività di riattamento da parte della pubblica amministrazione aveva interessato soltanto la parte iniziale, che costeggiava il cimitero con l’esecuzione di lavori risalenti a molti anni prima.

La sentenza fornisce una esatta lettura dell’art. 2 C.d.S., comma 6, lett. d), evidenziando che soltanto una modesta parte della strada in questione (quella che portava al cimitero) era di certo asservita all’uso pubblico ed al transito di quelli che si recavano appunto alla struttura cimiteriale, tanto da essere stata asfaltata, mentre la restante parte, ivi compresa quella in cui si è verificato l’incidente, riproduceva le caratteristiche tipiche della strada di penetrazione agraria, in quanto asservita all’utilizzo dei proprietari dei fondi confinanti, così da poter essere classificata come strada vicinale privata o via agraria.

Proprio perchè sistemata nel solo primo tratto per consentire ai cittadini l’accesso agevole al cimitero, i giudici di merito escludono che la strada abbia mai assunto le caratteristiche di strada pubblica, restando, invece, quale strada vicinale privata o agraria.

La decisione è in linea con giurisprudenza di legittimità, sia civile che penale secondo la quale ai fini della definizione di "strada", è rilevante, ai sensi dell’art. 2 nuovo C.d.S., comma 1, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà. E’ pertanto, l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme C.d.S..

Ciò è confermato dall’ultimo inciso dell’art. 2, comma 6, ai sensi del quale anche le strade vicinali sono assimilate alle strade comunali, nonostante la strada vicinale sia per definizione (art. 3 nuovo C.d.S., comma 1, n. 52) di proprietà privata, anche in caso di destinazione ad uso pubblico.

Coerentemente a tale orientamento, mancando la prova della destinazione ad uso pubblico della strada (salvo che nel tratto iniziale, utilizzato per accedere al cimitero), è stata correttamente esclusa dai giudici di merito la natura pubblica di detta strada (non potendo certo rilevare in senso contrario l’utilizzo saltuario anche da parte dei privati non proprietari dei fondi limitrofi). Da tale impostazione consegue, altresì, che correttamente sono stati ritenuti non sussistenti gli addebiti omissivi articolati a carico dell’imputato sulla pretesa inosservanza delle incombenze in tema di manutenzione della strada, giacchè la natura privata della strada in cui si veriticò l’incidente esclude gli oneri di manutenzione a carico del R., nella qualità sopra indicata: ciò senza tener conto della assorbente considerazione, pure contenuta in sentenza, che non era stato neanche dimostrato che erano mai stati sollecitati presso il Comune di Lentini interventi da adottarsi per mettere in sicurezza quella strada.

Quanto al preteso riconoscimento della natura pubblica della strada, fondato sugli interventi posti in essere dal Comune di Lentini in epoca successiva al sinistro per mettere in sicurezza la strada, vale l’assorbente e argomentato rilievo, che non presenta qui vizi di illogicità meritevoli di censura, della irrilevanza ai fini della natura della strada, potendo tale comportamento trovare logica spiegazione nell’esigenza comunque di intervenire e mostrare un interesse alla tutela della collettività.

Analoghe considerazioni devono farsi in relazione al secondo motivo di ricorso, concernente il nesso di causalità, emergendo una ricostruzione dello stesso anche in questo caso supportata da idonea motivazione.

La Corte di appello, recependo in loto le argomentazioni sviluppate dal primo giudice, sul punto integralmente condivisa, ha ritenuto di attribuire la causa dell’occorso, in termini di certezza, alla condotta di guida del conducente del ciclomotore, definita del tutto inadeguata alla situazione ambientale (strada poco ampia ed accidentata, con ulteriore restringimento in prossimità della curva in cui si è verificato l’incidente con l’auto di grosse dimensioni proveniente dalla opposto senso di marcia) ed al carico del mezzo (appesantito dalla presenza a cavalcioni di un passeggero), tanto che l’impatto con l’autovettura è stato di tale violenza da produrre il catapultamento del corpo del passeggero oltre il muro di cinta di delimitazione della strada sulla sua sinistra per finire nella sottostante scarpata.

E ciò ha fatto esaminando l’incontestata dinamica dell’incidente sopra descritta e logicamente concludendo che una condotta di guida particolarmente attenta e prudente del conducente del ciclomotore, adeguata alla situazione di pericolo, rappresentata dalla evidente pericolosità della strada, anche in presenza del medesimo muro di cinta dirupato, avrebbe reso possibile contenere gli esiti negativi della collisione, potendosi ragionevolmente concretizzarsi nel ruzzolamento a terra di entrambi gli occupanti il ciclomotore, senza alcuna spinta verso l’alto del corpo del passeggero. Da questi elementi fattuali, il giudicante ne ha tratto la convinzione, non illogicamente rappresentata, che, pure ammessa la posizione di garanzia del prevenuto per la mancata attivazione degli interventi di messa in sicurezza della strada nell’interesse collettivo, non era dimostrabile (in assenza di testi oculari) che l’adozione delle misure di sicurezza avrebbe portato a scongiurare l’evento mortale o ridurlo a conseguenze meno gravi.

Tale conclusione è fondata sulla ineccepibile conclusione che in assenza di specifiche prove testimoniali, la traiettoria del volo compiuto dal corpo dello S. rimarrebbe sempre una opinabile ricostruzione, non essendo possibile stabilire con certezza non solo l’esatto punto del muro di cinta stradale sul quale è transitato tale corpo ma anche che l’eventuale ripristino del muretto all’originaria altezza di m. 1,10, sarebbe bastato ad evitare la caduta nel burrone che si apriva sul retro del muretto.

Trattasi, come detto, di una ricostruzione congruamente motivata attraverso il richiamo agli elementi di prova emersi nel processo, che non è suscettibile di censura in questa sede.

Per le considerazioni svolte i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 300,00 (trecento) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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