Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-12-2010) 26-01-2011, n. 2735 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 2 luglio 2010 il Tribunale di Lecce, decidendo sulle richieste di riesame ex art. 309 c.p.p. proposte con separati ricorsi nell’interesse di A.A. e Al.Ho., ha dichiarato la nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa in data 14 giugno 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce nei confronti dei predetti, indagati per violazione delle norme sulla immigrazione clandestina, avendo diretto, organizzato e comunque trasportato, per consentirne l’ingresso illegale nel territorio nazionale, trentaquattro cittadini stranieri di nazionalità iraniana, afghana e pakistana a mezzo gommone, e per violazione delle norme di tutela della navigazione, avendo commesso atti di violenza e resistenza contro la vedetta della Guardia di finanza che aveva imposto loro di fermarsi.

Con la stessa ordinanza è stata ordinata la rimessione in libertà dei due indagati se non detenuti per altra causa, dichiarandosi che nulla ostava alla loro espulsione.

Il Tribunale motivava la sua decisione rilevando che A.A. e Al.Ho., di lingua albanese, non conoscevano la lingua italiana, tanto da essere stati assistiti da un interprete, durante l’udienza di convalida dell’arresto e durante l’udienza del riesame, per la traduzione simultanea delle attività processuali e che, per tale omessa conoscenza della lingua, gli indagati avevano diritto a ricevere la notifica dell’ordinanza impugnata, tradotta nella lingua albanese.

La mancata traduzione dell’ordinanza aveva determinato, secondo il Tribunale, che richiamava a conforto precedenti di questa Corte, la nullità della stessa ordinanza, che era stata tempestivamente rilevata dalla difesa e non era stata sanata per non averne gli indagati conosciuto il contenuto in dipendenza della dedotta nullità, e per non essersi, per l’effetto, difesi nel merito.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica di Lecce, il quale ne chiede l’annullamento senza rinvio, deducendo violazione degli artt. 109 e 143 c.p.p..

Il ricorrente osserva, in particolare, che i precedenti giurisprudenziali richiamati in ordinanza non sono riconducibili alla fattispecie, che si caratterizza per essere stata l’ordinanza cautelare emessa dopo l’udienza di convalida che ha visto i prevenuti, assistiti dall’interprete, messi in grado di comprendere l’accusa mossa nei loro confronti e di conoscere gli atti cui hanno personalmente partecipato, evocando altro precedente di questa Corte.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. A norma dell’art. 143 c.p.p., "l’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa".

Tale previsione, secondo l’orientamento costante di questa Corte, viene interpretata, alla luce della lettura datane dalla Corte Costituzionale con sentenza 19 gennaio 1993, n. 10, e dell’art. 6, comma 3, lett. a), Cedu, come una clausola generale che, mirando a garantire il diritto dell’imputato, che non parla la lingua italiana, di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale, si espande e si specifica in relazione al tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare o in relazione al genere di ausilio necessario in concreto (Sez. 2, n. 44599 del 24/10/2007, dep. 29/11/2007, Asoltani, Rv. 238808; Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 09/02/2004, Zalagaitis, Rv. 226717).

Il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete, tuttavia, suppone l’accertata ignoranza della lingua italiana, non discendendo automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero status di straniero o apolide (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239693; Sez. 2, n. 40807 del 06/10/2005, dep. 09/11/2005, Sokolovych, Rv. 232593; Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, dep. 22/02/2005, Hachimi, Rv. 233360; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, dep. 15/06/2004, Ionascu, Rv. 229295).

Si è anche precisato che, accertata l’ignoranza della lingua italiana da parte del soggetto indagato, deve essere disposta la traduzione degli atti, orali e scritti, a lui diretti, nella lingua allo stesso nota, e che l’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare non determina una nullità assoluta e insanabile, ma soltanto una nullità a regime c.d. intermedio, incidente sull’efficacia e non sulla validità del provvedimento (i termini dell’impugnazione decorrerebbero, quindi, dalla sua traduzione nella lingua dell’indagato) (Sez. U., n. 5052 del 24/09/2003, dep. 09/02/2004, Zalagaitis, Rv. 226717, cit.), e che la proposizione della richiesta di riesame ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione (Sez. 5, n. 16185 del 06/10/2004, dep. 29/04/2005, Fusha, Rv. 233642), perchè in tal caso è stato raggiunto lo scopo tipico dell’atto (conoscenza degli elementi costitutivi dell’accusa e possibilità di contrapporvi argomenti difensivi), sempre che la richiesta di riesame non sia stata proposta solo per dedurre la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare (Sez. 6, n. 38584 del 22/05/2008, dep. 13/10/2008, Olebunne, Rv. 241403; Sez. 6, n. 14588 del 20/03/2006, dep. 27/04/2006, Ajbari, Rv. 234036).

3. Nel caso di specie, l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa a seguito dell’udienza di convalida dell’arresto, durante la quale A.A. e Al.Ho., che non conoscevano la lingua italiana, sono stati assistiti da un interprete.

Secondo il Tribunale del riesame, adito dagli indagati con richiesta di riesame solo per sollevare l’eccezione di nullità per mancata traduzione dell’ordinanza in lingua albanese, l’eccepita nullità sussiste ai sensi degli artt. 143 e 292 c.p.p. dovendo l’ordinanza essere tradotta nella lingua nota agli indagati.

Contrario è l’avviso del Procuratore della Repubblica ricorrente, che esclude si possa parlare di nullità dell’ordinanza cautelare emessa dopo l’udienza di convalida dell’arresto, nel corso della quale agli indagati, assistiti dall’interprete, sono stati già resi noti il contenuto dell’accusa, le imputazioni mosse e gli atti cui hanno personalmente partecipato.

4. L’esame del ricorso deve procedere dall’analisi dei rapporti del provvedimento di convalida dell’arresto e dell’ordinanza con la quale viene disposta una misura cautelare.

I due provvedimenti, quali previsti e disciplinati dal codice di rito penale, si riferiscono a situazioni che, anche se privative della libertà personale, sono diversamente caratterizzate nei presupposti, nei contenuti e nelle finalità, oltre ad essere soggetti ciascuno ad uno specifico mezzo di impugnazione.

Questa Corte, richiamando anche i lavori preparatori del nuovo codice di rito penale, per cui "il provvedimento che dispone la misura deve essere tenuto concettualmente distinto dal provvedimento di convalida che ha finalità estranee alla disciplina delle libertà personale" ("Determinazioni del governo del 4.7.1988, in Atti Parlamentari Camera – Senato – Pareri della Commissione istituita ai sensi della L. 16 febbraio 1987, n. 81, art. 8, sub art. 389), e richiamando gli espliciti riscontri normativi alla differenziazione di ordine sistematico tra i due provvedimenti, contenuti nell’art. 104 c.p.p., e nell’art. 36 disp. att. C.p.p., ha ritenuto "principio generale, desumibile dal contesto normativo processuale", "l’autonomia dei singoli titoli legittimanti la custodia in carcere del soggetto, sicchè per ciascuno di tali titoli valgono le norme di legittimazione proprie" (Sez. U, n. 3 del 16/03/1994, dep. 10/05/1994, Cepollaro, Rv. 197006; Sez. 1, n. 5311 del 03/12/1993, dep. 04/02/1994, De Vincenzo, Rv. 196250).

In particolare, mentre l’espressione "custodia cautelare" si riferisce allo stato di privazione della libertà personale ordinato dal giudice, nella ricorrenza delle condizioni e delle esigenze di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p. e in applicazione dei criteri di scelta specificati nell’art. 275 c.p.p. (artt. 285 e 292 c.p.p., art. 391 c.p.p., comma 5), l’arresto è atto di polizia giudiziaria, soggetto, come tale, al controllo del giudice per quanto riguarda i presupposti e le condizioni di applicabilità.

L’autonomia dei due provvedimenti comporta che il rigetto della richiesta di convalida dell’arresto o del fermo non osta, quale che ne sia stata la causa, all’adozione della misura custodiale da parte del Giudice per le indagini preliminari, e l’ordinanza che applica una misura cautelare non diviene illegittima per effetto della illegittimità del procedimento di convalida, e giustifica la diversità dei rimedi approntati dall’ordinamento.

L’impugnazione della convalida, infatti, tende a fare accertare l’illegittimità dell’arresto, perchè avvenuto fuori dei casi in cui è consentito o non sussiste lo stato di flagranza o quasi flagranza o per l’invalidità del procedimento di convalida. Al contrario, la richiesta di riesame dell’ordinanza che dispone la misura cautelare può essere diretta a ottenere la revoca o la modifica del provvedimento per la mancanza dei presupposti che ne rendono legittima l’adozione.

5. Attesi tali principi, è evidente che la motivazione del Tribunale sia immune dal vizio denunziato, perchè l’ordinanza di custodia cautelare, emessa dopo l’udienza di convalida dell’arresto, con il contenuto che la contraddistingue – la contestazione di un reato con l’indicazione dei gravi indizi di colpevolezza, che giustificano l’emissione del provvedimento coercitivo, e delle esigenze cautelari – e per gli effetti che ne scaturiscono – la privazione della libertà -, deve essere tradotta nella lingua nota agli indagati alla stregua del principio generale di cui all’art. 143 c.p.p., senza poter mutuare la sua validità dalla partecipazione degli indagati, assistiti da interprete all’udienza di convalida dell’arresto, disciplinata dall’art. 391 c.p.p..

Nell’interrogatorio previsto dall’art. 391 c.p.p., comma 2, seconda parte, collocato espressamente dall’art. 294 c.p.p., comma 1, sullo stesso piano di quello in essa previsto, infatti, l’indagato, che non conosca la lingua italiana, è posto, grazie all’intervento dell’interprete, nella condizione di aver precisa conoscenza delle ragioni dell’arresto e di difendersi. Ma, l’ordinanza di custodia cautelare, eventualmente emessa dopo l’ordinanza di convalida, se, molto verosimilmente, nulla aggiunge a quanto già noto all’arrestato in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, deve anche soffermarsi, ritenendole sussistenti, sulle esigenze cautelari, rispetto alle quali l’indagato ha sentito, al più, la richiesta del P.M., tradotta dall’interprete, di applicazione della misura cautelare anche per determinate esigenze cautelari, senza, però, essere in grado di sapere, se non leggendo il provvedimento in una lingua a lui nota o sentendone la traduzione dell’interprete presente, se e in quale misura il giudice della convalida le abbia fatte proprie, ed è noto che l’indagato, con la richiesta di riesame, può limitarsi a contestare la sussistenza delle esigenze cautelari (in tal senso Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 09/02/2004, in motivazione, non massimata sul punto).

La deduzione del ricorrente che, dopo l’esplicitazione in sede di udienza di convalida dell’accusa nei confronti degli indagati assistiti da interprete, sarebbe "assolutamente ultronea" ai fini difensivi la necessità della traduzione nella lingua straniera parlata dall’indagato anche della consequenziale ordinanza di custodia cautelare trascura, pertanto, le condividili argomentazioni del predetto ultimo specifico precedente di questa Corte a sezioni unite, e l’autonomia dei singoli titoli, l’antecedenza dell’interrogatorio di garanzia rispetto all’adozione della misura cautelare, il possibile contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare e la diversità dei rimedi approntati dall’ordinamento, il cui esercizio suppone la conoscenza dell’atto, delle sue ragioni e della sua finalità. 6. L’incombenza di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis, che pone a carico del direttore dell’istituto penitenziario o di un operatore da lui delegato l’onere di accertare, se del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento con cui è stata disposta la sua custodia e di illustrargliene, ove occorra, i contenuti, prevista ad altri fini, non può surrogare, contrariamente a quanto assunto in ricorso, l’obbligo di legge e consentire di eludere la dovuta traduzione per i diretti interessati che, accertata la loro ignoranza della lingua italiana, detengono un diritto soggettivo perfetto, non comprimibile, riconducibile al diritto inviolabile alla difesa, di conoscenza degli atti che li riguardano, e da essi impugnabili.

7. L’evidenziata infondatezza del motivo esposto a sostegno del ricorso comporta il rigetto del gravame.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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