Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-02-2011, n. 4400 Beneficio d’inventario Riduzione di donazioni e di disposizioni testamentarie Simulazione Successione necessaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato per ultimo in data 21 febbraio 1994, T.A., T.A., Tu.An., T. A., t.a. e Z.A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, C.A.M., T.R., T.I. e T.D. per sentir accertare la simulazione degli atti di compravendita del 17 ottobre 1974 e del 21 febbraio 1976 intervenuti da parte di Tu.

R. in favore della nuora C.A. con la conseguente declaratoria che tali contratti dissimulavano delle donazioni lesive delle quote spettanti ad essi attori in qualità di legittimari, che, perciò, avrebbero dovuto essere ridotte di quanto necessario a reintegrare la quota riservata agii stessi attori (corrispondente a due terzi del patrimonio) per procedere, infine, allo scioglimento della comunione ereditaria. Nella resistenza dei convenuti, il tribunale adito, con sentenza del 13 ottobre-6 novembre 2001, accoglieva la formulata domanda principale e disponeva, con separata ordinanza, la vendita degli immobili ricadenti nell’asse ereditario, valutatane l’indivisibilità.

Avverso la suddetta sentenza di primo grado, proponevano appello C.A.M., T.R., T.I. e T. D., il quale veniva accolto, con sentenza della Corte di appello di Venezia n. 416 del 2005 (depositata il 10 marzo 2005), che dichiarava l’ìmproponibilità delle domande proposte dagli originari attori nei confronti degli appellanti, condannando gli appellati alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata sentenza, la menzionata Corte territoriale rilevava che la pronunciata improponibilità dell’esperita azione di riduzione (in funzione della quale era stata dedotta la proposta azione di simulazione) derivava dalla circostanza che gli appellati non avevano proceduto ad accettare l’eredità di Tu.Ro. con beneficio di inventario. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione T.A., Tu.Ar., Tu.An., Tu.Ag., t.A. e Z. A., basato su un unico motivo, al quale hanno resistito tutti gli intimati che si sono costituiti con controricorso. Il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con l’unico complessivo motivo proposto i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art 564 c.c. in combinato disposto con l’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

In particolare, i ricorrenti hanno dedotto che, nella fattispecie, non si sarebbe dovuta ritenere necessaria la preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario alla stregua dell’art. 564 c.c. poichè l’azione di simulazione, pur preordinata a quella di riduzione e diretta contro persona estranea all’eredità, era intesa all’accertamento di una interposizione fittizia nei confronti dei coeredi; in altri termini, gli atti di compravendita stipulati da Tu.Ro. con la sig.ra C.A.M. il 17 ottobre 1974 e il 21 febbraio 1976 si sarebbero dovuti considerare come atti dissimulanti donazioni in favore del figlio M. mediante l’interposizione fittizia della moglie C.A. M. allo scopo di sottrarre l’attribuzione dei beni oggetto dei suddetti trasferimenti alla possibile azione dei figli.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Per come accertato dalla Corte veneziana gli attuali ricorrenti avevano agito in primo grado per sentir accertare la simulazione dei richiamati atti di compravendita con la conseguente declaratoria che i relativi contratti dissimulavano delle donazioni lesive delle quote spettanti agli attori in qualità di legittimari, che avrebbero dovuto essere ridotte di quanto necessario a reintegrare la quota riservata ai medesimi attori per procedere, quindi, allo scioglimento della comunione ereditaria. Pertanto, sulla scorta del "petitum" concretamente dedotto in giudizio ed applicando il principio generale previsto dall’art. 112 c.p.c. (correttamente invocato dagli appellanti, non risultando, invero, ritualmente dedotta l’azione di simulazione riferita alla prospettazione dell’interposizione fittizia di persona, per quanto evincibile dal contenuto dell’atto di citazione e dalle conclusioni relative al giudizio di prima istanza), la Corte territoriale ha esattamente ritenuto che l’azione di simulazione proposta dai ricorrenti era stata avanzata in funzione unicamente dell’azione di riduzione, ragion per cui, difettando l’assolvimento della preventiva condizione dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventano, la stessa si sarebbe dovuta considerare improponibile. Pronunciandosi in tal senso il giudice di appello si è conformato alla costante giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 29 settembre 1964, n. 2476; Cass. 10 febbraio 1987, n. 1407; Cass. 19 marzo 1996, n. 2294; Cass. 18 aprile 2003, n. 6315, e Cass. 27 giugno 2003, n. 10262), secondo la quale allorquando l’erede intenda far valere la simulazione relativa e l’atto dissimulato – che si assume lesivo della sua quota di legittima – abbia tutti i requisiti di validità (come nell’ipotesi di donazione dissimulata), l’azione di simulazione deve intendersi proposta in funzione unicamente dell’azione di riduzione ex art. 564 c.c. e non può che soggiacere alle condizioni in detta norma previste per questa azione, con la conseguenza che, intanto può essere proponibile, in quanto sussista il presupposto cui è condizionata la proposizione della seconda e, cioè, l’accettazione con beneficio d’inventario.

In altri termini, alla stregua del condiviso indirizzo giurisprudenziale appena ricordato, il requisito richiesto della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario (configurato come una condizione di ammissibilità) per l’esercizio dell’azione di riduzione deve considerarsi come presupposto anche dell’azione di simulazione relativa degli atti di disposizione compiuti dal "de cuius" che il legittimario impugna in quanto celanti donazioni a favore di apparenti acquirenti. Secondo il richiamato orientamento di questa Corte solo quanto si tratta di una simulazione assoluta, o anche si una simulazione relativa tesa ad invalidare una donazione nulla per vizio di forma o per incapacità a ricevere, si può riconoscere all’attore un interesse autonomo rispetto alla successiva riduzione delle disposizioni, consistente nell’accertamento dell’inesistenza del negozio o della sua nullità.

Se, infatti, la donazione è nulla non può ovviamente entrare in gioco l’azione di riduzione, , mentre l’accertamento della realtà effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto, senza che assumano rilevanza al riguardo nè la qualifica del beneficiario apparente (di erede o di soggetto estraneo all’eredità) nè l’eventuale mancanza dell’accettazione beneficiata. Diversamente, quando l’utilità concretamente perseguita dal legittimario consiste nella possibilità di far ridurre (anche, eventualmente, in un successivo giudizio), una liberalità dissimulata che, in quanto validamente conclusa (come accertato nella fattispecie dalla Corte territoriale con riferimento al rispetto della forma prescritta per le donazioni), si ritiene lesiva del diritto alla legittima, la proponibilità dell’azione di riduzione (assistita, cioè, dall’assolvimento della condizione dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario) costituisce un presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione di simulazione che resterebbe, altrimenti, del tutto priva di interesse.

Ricadendosi, pertanto, in quest’ultima ipotesi per come accertato correttamente e con adeguata oltre che logica motivazione dalla Corte veneziana con il riscontro del difetto della condizione della preventiva accettazione con beneficio di inventario, le domande proposte dai ricorrenti sono state legittimamente dichiarate improponibili.

2. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

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