Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-02-2011, n. 4397 Spese della comunione e del condominio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 14 ottobre 2004, notificato il 21 ottobre 2004, poi rinnovato per l’udienza del 1 febbraio 2005, Z.F. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di pace di Verona P. D. per sentirla condannare al pagamento della somma di euro 113,53, quale importo dovuto a titolo di spese condominiali di erogazione dei servizi comuni anticipate dal medesimo in veste di amministratore del Condominio (OMISSIS) per il periodo di gestione 2003-2004. Nella resistenza della convenuta, l’adito Giudice di pace, con sentenza n. 1996/05, depositata il 14 aprile 2005, rigettava la proposta domanda per difetto di legittimazione attiva in capo allo Z. che condannava alla restituzione, in favore della convenuta, dell’importo di Euro 113,72, nelle more del giudizio corrispostagli, oltre che alla rifusione delle spese processuali.

A sostegno dell’adottata sentenza, il predetto Giudice di pace rilevava l’infondatezza della pretesa dell’attore poichè l’attore, al momento della seconda notificazione dell’atto di citazione, non rivestiva più la qualità di amministratore dell’indicato condominio e, in ogni caso, essendosi trattato di anticipazione di spesa per un servizio comune effettuata dall’amministratore, l’omessa produzione dei documenti giustificativi della stessa e la mancata approvazione del bilancio consuntivo da parte dell’assemblea condominiale non potevano comportare la debenza della richiesta somma, in difetto, appunto, di un idoneo titolo giustificativo.

Avverso la suddetta sentenza del Giudice di pace di Verona, notificata il 6 giugno 2005, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione Z.F. basato su tre motivi. L’intimata P. D. non si è costituita in questa fase.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 1387, 1388 e 1720 c.c., in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2, con riferimento all’assunta erronea esclusione della sua legittimazione attiva in ordine all’azione di restituzione delle anticipazioni fatte quale amministratore nell’esecuzione dell’incarico nell’interesse dei singoli condomini.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 1173 e 1179 c.c. e del conseguente principio del rimborso delle anticipazioni sostenute dal rappresentante, in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2, in considerazione della circostanza che il rimborso delle suddette anticipazioni necessarie per l’esecuzione dell’attività gestoria condominiale si sarebbe dovuto valutare in relazione al momento in cui la stessa attività era stata realizzata e non "a posteriori". 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 63 disp. att. c.c., dei principi informatori del contratto di mandato, dell’art. 1713 e segg. c.c. in relazione alla disciplina legislativa del rendiconto, unitamente alla radicale insanabile contraddittorietà della motivazione, deducendo – quanto alla supposta violazione di legge – l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva rilevato la necessità dell’approvazione del bilancio consuntivo per la giustificazione de titolo da parte dell’amministratore uscente di ripetere le anticipazioni di spese condominiali operate nell’interesse dei singoli condomini.

4. Il ricorso – i cui motivi, mediante i quali risultano denunciate violazioni di norme sostanziali e dedotto un vizio motivazionale, sono rapportati al disposto dell’art. 113 c.p.c., comma 2 – è inammissibile.

Rileva il collegio che, in relazione al disposto dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e all’art. 339 c.p.c., comma 3 nella dizione anteriore alla riforma del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (applicabile nel caso di specie in virtù della pubblicazione della sentenza impugnata del giudice di pace di Verona risultante anteriore al 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del suddetto D.Lgs.), la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato (v., ad es., Cass. 28 gennaio 2005, n. 1756; Cass. 19 marzo 2007, n. 6382, e Cass. 13 maggio 2010, n. 11638) che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 204, le sentenze del giudice di pace rese secondo equità "ratione valoris" (ovvero relative a controversie di valore non eccedente millecento euro) possono essere impugnate con ricorso per cassazione, per violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, soltanto in relazione alla violazione di "principi informatori" della materia, e cioè di principi ai quali deve ispirarsi la disciplina positiva nel regolare un istituto in attuazione dei principi costituzionali, restando invece preclusa la denunzia di violazione di specifiche norme di diritto sostanziale (cfr., anche, Cass., S.U., 14 gennaio 2009, n. 564). In termini più generali è stato precisato che le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, ai sensi) dell’art. 113 c.p.c., comma 2 nel regime anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sono ricorribili in cassazione per violazione delle norme processuali, delle norme della Costituzione e di quelle comunitarie, nonchè per violazione dei principi informatori della materia e per nullità attinente alla motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà.

Ciò posto, nella fattispecie, al di là di un generico riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004 (nell’interpretazione compiuta da Cass. n. 382 dei 2005), il ricorrente non ha indicato (come era suo onere: cfr. Cass. 23 maggio 2006, n. 12147, e Cass. 10 gennaio 2007, n. 284) chiaramente i principi informatori che si assumevano disattesi, avendo, invece, denunciato la violazione di norme sostanziali attinenti alla disciplina del mandato nella loro applicazione riferita al prospettato diritto di ripetizione delle spese condominiali anticipate dall’amministratore, senza che, però, tale deduzione possa essere ricondotta ai suddetti principi, essendo relativa ad un aspetto di dettaglio nell’ambito della materia generale del condominio, in correlazione con le norme sul mandato, e non ai canoni fondamentali (v. Cass. 26 marzo 2009, n. 7372) che ispirano la disciplina sull’istituto del condominio.

Quanto al dedotto vizio motivazionale prospettato con il terzo motivo e ricollegato alla supposta radicale insanabile contraddittorietà della motivazione, ritiene il collegio che esso sia ugualmente inammissibile, non ricorrendo il difetto motivazionale della sentenza impugnata secondo il riportato insegnamento giurisprudenziale di questa Corte. Infatti, la motivazione adottata dal giudice di pace risulta logica ed adeguatamente svolta essendo stata basata sul corretto assunto dell’infondatezza della domanda del ricorrente, quale amministratore cessato dall’incarico, in quanto – indipendentemente dalla indispensabilità di far fronte agli oneri condominiali correnti a prescindere da qualsiasi deliberazione autorizzativa condominiale preventiva – ha esattamente ritenuto necessario che il diritto alla richiesta restituzione delle assunte anticipazioni operate nell’interesse della P. dovesse comunque trovare fondamento nella produzione degli appositi documenti giustificativi delle spese sopportate (il cui onere, non assolto, incombeva allo stesso amministratore: cfr. Cass. 30 marzo 2006, n. 7498) e, soprattutto, nell’approvazione (invero mancata) del bilancio consuntivo da parte dell’assemblea condominiale (in consonanza con il principio affermato da questa Corte, secondo il quale l’amministratore di condominio cessato dall’incarico è attivamente legittimato a proporre l’azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell’interesse del condominio nel corso della sua gestione, che risultino dalla deliberazione di approvazione del rendiconto, nei confronti dei singoli condomini per le quote rispettivamente a loro carico; cfr., in particolare, Cass. 15 dicembre 1975, n. 4127).

5. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio in dipendenza della mancata costituzione dell’intimata.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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