Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-12-2010) 26-01-2011, n. 2675 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 18 novembre 2009 il GUP del Tribunale di Palmi, all’esito di giudizio abbreviato, condannava alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 5000,00 di multa T. V., imputato: a) del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23; b) del reato di cui al L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14; e) del reato di cui all’art. 648 c.p.; d) del reato di cui all’art. 697 c.p., per le condotte meglio descritte in rubrica, accertate in (OMISSIS). La sanzione veniva determinata previa unificazione dei reati col vincolo della continuazione, considerando la recidiva specifica di cui all’art. 99 c.p., comma 2, n. 1, e con l’applicazione della diminuente per il rito prescelto.

A sostegno della decisione il giudice di prime cure poneva gli esiti della perquisizione domiciliare eseguita dai CC. di Palmi presso l’abitazione ove l’imputato viveva insieme alla moglie ed, in particolare, il ritrovamento in tale circostanza, nascosta tra le lenzuola riposte in un cassetto dell’armadio della camera da letto, di una pistola semiautomatica, cal. 7,65 con matricola punzonata, completa di caricatore inserito con sette cartucce, unitamente ad un secondo caricatore contenente otto cartucce.

1.2 Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello l’imputato, chiedendo l’assoluzione dai reati sub a) e b) perchè incerta, tra il prevenuto e la moglie, la prova relativa alla identificazione del reale detentore dell’arma; insistendo per l’assorbimento dei capi b) e d) della rubrica nel capo a) secondo quanto previsto dall’art. 647 c.p.; sostenendo la mancanza di prova in ordine alla provenienza illecita dell’arma in relazione al reato di ricettazione e chiedendo infine, in linea subordinata, il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui al secondo comma dell’art. 648 c.p., ovvero di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5, in considerazione del valore dell’arma e della lieve entità del fatto. La Corte di Appello adita rigettava ogni motivo di impugnazione e, con sentenza del 7 maggio 2010, confermava quella di prime cure in particolare argomentando che:

– la detenzione dell’arma in un luogo riservato come l’interno dell’armadio posto nella camera da letto, implica una relazione di fatto immediata e pronta, una disponibilità certa da parte di chi esercita sui luoghi un dominio esclusivo ed assoluto;

– tale premessa, lungi dal rendere dubbia la riferibilità del possesso dell’arma e delle munizioni tra marito e moglie, entrambi, per la difesa, nella stessa relazione di fatto con l’arma per cui è causa, evidenzia una circostanza fattuale contraria e cioè la corresponsabilità dei coniugi e non del solo imputato, in ciò soltanto risolvendosi il dubbio difensivo;

– l’imputato non ha fornito nel processo alcun elemento, neppure assertivo, volto ad identificare nella moglie la detentrice dell’arma;

– utili indiziariamente a chiudere il cerchio della ritenuta colpevolezza sono, altresì, i precedenti specifici a carico dell’imputato;

– la giurisprudenza di legittimità esclude con costanza di indirizzo interpretativo l’assorbimento del reato di detenzione di arma comune da sparo con quello della detenzione e del porto di arma clandestina, stante la diversità delle condotte e dei beni giuridici tutelati;

– quanto al reato di ricettazione, l’abrasione della matricola ha reso la provenienza dell’arma e le modalità di acquisizione della medesima non accertabili;

– ciò rende l’arma in esame clandestina e la clandestinità è presupposto idoneo a configurare il requisito richiesto per la ricettazione;

– la natura clandestina dell’arma esclude la legittima applicazione sia del secondo comma dell’art. 648 c.p., che della L. n. 895 del 1967, art. 5;

– infondata è altresì la tesi difensiva dell’assorbimento del capo d) della rubrica nel capo a), dappoichè il secondo caricatore eccedeva la ricettività di caricamento dell’arma, già munita di un primo caricatore pronto per l’uso.

2. Ricorre per cassazione l’imputato, con l’assistenza del difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento della decisione di secondo grado, all’uopo illustrando due motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2, in particolare osservando che:

– l’arma è stata rinvenuta nella camera da letto dei coniugi T. e non già del solo T.V. e tale circostanza pone sullo stesso piano l’imputato e la moglie nella relazione tra l’arma e la disponibilità di essa, di guisa che non è dato stabilire con certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, la reale identità del detentore;

– il dubbio risulta sciolto dalla Corte di merito con il generico ricorso all’avverbio "sicuramente";

– anche a voler ammettere che l’imputato sapesse dell’arma presente nell’abitazione coniugale, ciò non dirime il dubbio difensivamente posto;

– nella fattispecie i reati di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, e di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14, vanno ritenuti assorbiti l’uno nell’altro e l’argomento utilizzato dalla Corte territoriale per negarlo, non tiene conto della circostanza che, nella fattispecie, non v’è certezza sull’identità del detentore, circostanza questa che far venir meno, altresì, ad avviso del difensore, la condotta contestata a mente dell’art. 697 c.p.;

– non solo, quanto alla contestazione relativa all’art. 697 c.p., va denunciata la lacunosa descrizione dell’arma da parte dei CC, i quali non hanno indicato nè marca, nè modello dell’arma, di guisa che non può con certezza affermarsi la ricettività della carica rinvenuta con l’arma in sequestro;

– con riferimento poi al reato di ricettazione, non risulta provato che sia stato l’imputato ad acquistare o a ricevere l’arma ed è errato ritenere che la cancellazione dei dati di essa distintivi integri il reato presupposto della ricettazione;

– la punzonatura, inoltre, non ha compromesso del tutto la identificabilità dell’arma, non apparendo esaustivi i controlli effettuati in tale direzione;

– in ogni caso quanto sin qui sintetizzato comprova abbondantemente che non può ritenersi superato il limite dato dal ragionevole dubbio.

2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente contraddittorietà della motivazione sul rilievo che a pagina 4 della motivazione l’estensore, in luogo di T., discetta di estraneità o meno al delitto di tale " V.", persona estranea al processo e diversa dall’imputato. Da ciò inferisce il difensore "l’assoluta superficialità nella valutazione della fattispecie" e, con essa, l’illegittimità della sentenza, frutto di valutazione arbitraria e disattenta.

3. Il ricorso è infondato.

La motivazione articolata dal giudice di secondo grado, nonostante il severo, quanto ingiustificato, giudizio del difensore, si articola attraverso moduli logici corretti e sillogismi giuridici coerenti e non contraddittori.

3.1 Osserva preliminarmente la Corte, che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, da ciò ulteriormente deducendosi che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

Orbene, nel caso in esame del tutto coerentemente con i moduli della logica hanno i giudici di merito ritenuto provata la colpevolezza del T. in ordine alle condotte contestategli in seguito al ritrovamento presso la sua abitazione, occultati in un cassetto dell’armadio della camera da letto, sotto lenzuola ivi conservate della pistola e dei caricatori di cui in rubrica. Oppone, come ampiamente innanzi riferito, la difesa istante la possibilità che non il T. nascondesse l’arma, bensì la moglie e che non avrebbe adeguatamente valutato il giudice di merito, nè tanto meno sciolto, il dubbio rinveniente dalla identica posizione fattuale e giuridica dei coniugi con la pistola presso di loro ritrovata.

All’argomentazione difensiva, peraltro già utilizzata in seconde cure, opportunamente e correttamente ha replicato la Corte distrettuale che se dubbio nella fattispecie sussiste, e probabilmente sussiste, esso riguarda non già chi dei coniugi T. detenesse l’arma nascosta nell’armadio della camera da letto sotto lenzuola profumate di bucato, bensì se con la responsabilità certa ed indubbia del T. concorra quella della moglie, il cui comportamento potrebbe essere interpretato oltre i limiti delineati dall’insegnamento di questa Corte come proprii della connivenza. Decisivi per la Corte distrettuale ai fini del convincimento espresso con la condanna risultano essere stati, con i dati acquisiti attraverso la perquisizione domiciliare disposta a carico del T. e non della moglie (circostanza anch’essa di qualche valore indiziario) la personalità criminale del T., la sua dimestichezza con l’uso delle armi deducibile dalla sua storia malavitosa, dati oggettivi e logici convergenti nell’indicare nell’imputato il reale detentore dell’arma.

3.1.2 Venendo ora alla questione difensivamente sollevata in ordine alla compatibilità del concorso formale di reati tra quello contestato al capo a) e quelli contestati ai capi b) e d) della rubrica, ritiene questa Corte, peraltro in coerenza con il proprio insegnamento interpretativo, corrette le soluzioni date dal giudice di secondo grado.

Ed invero, con riferimento ai capi a) e b) non vi può essere assorbimento dei reati di detenzione e porto di arma comune da sparo ( L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14) in quelli di detenzione e porto di arma clandestina ( L. n. 110 del 1975, art. 23), essendo diversa sia la condotta dell’agente che l’interesse tutelato dalle rispettive norme incriminatici (Cass. Sez. 1^, 4 novembre 1993, n. 1833, Marini, rv. 196516).

Ed invero, sottesa alla previsione, quali comportamenti costituenti reato, della detenzione e del porto illegale di un’arma comune da sparo è l’esigenza di porre la competente autorità in grado di conoscere con tempestività l’esistenza di armi, i luoghi di custodia delle stesse, l’identità delle persone che ne hanno la disponibilità, nonchè di impedire la circolazione in pubblico, in forme e con modalità non consentite, di armi. La L. n. 110 del 1975, è, invece, finalizzato alla prevenzione e all’eliminazione della presenza, sul territorio dello Stato, di armi prive dei numeri, dei contrassegni, delle sigle di cui alla predetta L. n. 110 del 1975, art. 11, e, in quanto tali, non suscettibili di controllo circa la loro provenienza (Cass. Sez. 1^, 10 maggio 1995, n. 7442, De Lucia, rv. 201926; Cass. Sez. 1^, 22 giugno 1999, n. 4436, PG in proc. Lobina, rv. 214026 e, da ultimo, Cass., Sez. 1^, 16 marzo 2008, n. 14624).

3.1.3 Con riferimento, invece, al rapporto di specialità tra il capo a) ed il capo d), rammenta anche in questo caso la Corte la propria lezione ermeneutica secondo cui la detenzione contemporanea di un’arma da sparo e delle relative munizioni concreta un’unica ipotesi di reato, in quanto resta assorbito nel reato di detenzione illegale dell’arma quello di cui all’art. 697 c.p., relativo alle munizioni, purchè le stesse non eccedano il quantitativo che ordinariamente si conserva e non siano di calibro diverso oppure non siano di numero superiore a quello che può essere contenuto in un caricatore (Cass., Sez. 6^, 27/05/2003, n. 29719, rv. 225870). Trattasi di principio del tutto condivisibile giacchè nella ipotesi data non sussiste tra arma e munizioni quel rapporto che si concretizza in un unico fatto di detenzione e che configura, quindi, un’unica ipotesi di reato (Cass., Sez. 1^, 15/7/81, Bagni, rv. 149507).

Le esposte conclusioni di principio non sono infine viziate dalla prospettazione in fatto della difesa ricorrente, dappoichè escluse le ipotesi alternative sulle quali essa fonda parte delle censure mosse alla motivazione impugnata ed alla soluzione prospettata in quella sede alle questioni di diritto appena trattate (mancanza della prova in ordine alla riferibilità al ricorrente della detenzione illegale dell’arma).

3.1.4 Rimane la questione giuridica relativa alla ipotizzabilità nella fattispecie concreta della ricettazione dell’arma in sequestro, questione alla quale la Corte risponde ribadendo il principio di diritto secondo cui è configurabile il delitto di ricettazione in caso di acquisto o ricezione di un’arma clandestina (Cass., Sez. 2^, 29/09/2009, n. 41464, citata anche dal ricorrente, in cui il reato presupposto è stato individuato nell’abrasione della matricola). Se è vero, infatti, che un isolato e non recente arresto esclude la configurabilità del delitto di ricettazione nell’ipotesi di acquisto o ricezione di un’arma clandestina (sez. 1^, 7.11.1995, Sansito, rv 203128), un risalente e ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale questa sezione aderisce (sez. 2^, 23.3.2004, n. 39648, Divano, rv 230051; sez. 2^, 19.2.2008,, n. 11727, Donatello, rv 239769) e da cui non esiste ragione alcuna di discostarsi, afferma l’opposto principio di diritto secondo cui, nella ricettazione di armi clandestine, il delitto presupposto può essere anche quello di abrasione del numero di matricola e la relativa condotta può essere costituita anche dal solo occultamento delle armi, oltre che dall’acquisto o dalla ricezione di esse:

significativamente, infatti, la norma incriminatrice indica come caratteristica della res la provenienza da "qualsiasi" delitto, dovendosi peraltro intendere il concetto di "provenienza" nel suo ampio senso proprio, che comprende qualsiasi forma di derivazione della cosa da una condotta illecita, della quale può dunque costituire tanto il "profitto" che il "prodotto" (cioè il materiale risultato della trasformazione vietata). Nè valore logico e giuridico può riconoscersi alle tesi difensive secondo cui la clandestinità dell’arma in sequestro non risulterebbe adeguatamente provata, giacchè giudizio di merito sconfessato dalle risultanze processuali nonchè dalla contestazione e comunque improponibile in questa sede di legittimità. 3.2 Manifestamente infondato è invece il secondo motivo di impugnazione.

L’aver indicato con un nome errato la persona dell’imputato a pag. 4 della motivazione integra e costituisce palesemente un errore materiale del tutto privo di rilevanza nel contesto della motivazione e della sua articolazione logica e giuridica, rilevanza peraltro che la difesa ricorrente non è stata in grado di indicare, avendo limitato le sue censure a generiche, quanto immeritate, attesa la puntualità della motivazione sviluppata, accuse di sciatteria motivazionale e di mancanza di rigore valutativo.

4. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *