Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-02-2011, n. 4380 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

to del ricorso.
Svolgimento del processo

A seguito di verifica da parte della Guardia di Finanza la Agenzia delle Entrate di Teano rettificava la dichiarazione IVA relativa all’anno 1996 di C.A., titolare della ditta Autopiù, sul presupposto che la attività della ditta consistesse non già nella intermediazione nella vendita di autovetture usate bensì di compravendita degli stessi veicoli, determinando la corrispondente imposta e recuperandola a tassazione, oltre interessi e sanzioni.

Il contribuente impugnava l’avviso di rettifica, sostenendone la illegittimità per difetto di motivazione e la infondatezza nel merito.

La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta accoglieva il ricorso, annullando l’accertamento.

Appellava l’Ufficio, e la Commissione Tributaria Regionale della Campania con sentenza n. 48/8/06 in data 25-1-06 depositata in data 22-3-06 lo accoglieva, dichiarando legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso la sentenza propone ricorso il contribuente, con quattro motivi.

La Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce difetto di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 sostenendo che il giudice di appello aveva omesso di prendere in considerazione la eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per genericità dei motivi, formulata nelle controdeduzioni al gravame.

Con il secondo motivo deduce analogo vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria in quanto la Commissione Regionale aveva accolto l’appello dell’Ufficio con motivazione da un lato apodittica e meramente apparente e dall’altro contraddittoria, esponendo che la esistenza di contratti di mandato escludeva la attività di intermediazione, laddove questa era giustificata appunto dai mandati conferiti dai clienti. Con il terzo motivo deduce violazione di norme di diritto in quanto l’accertamento non era fondato su presunzioni gravi precise e concordanti sulla inattendibilità delle procure a vendere e sulla esistenza di attività diretta di compravendita sulla base di una asserita contabilità parallela.

Formula il seguente quesito di diritto: "dica la Corte in presenza di precisi vincoli contrattuali quali siano le condizioni affinchè possa ritenersi dissimulato un contratto diverso e se nel caso di specie tali condizioni siano presenti".

Con il quarto motivo eccepisce la esistenza del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 65/34/05 della stessa Commissione afferente l’IVA dell’anno 2004, fondata sui medesimi fatti di quella su cui si discute, che aveva respinto l’appello dell’Ufficio asserendo la infondatezza dell’accertamento basato sul medesimo PVC della Guardia di Finanza, divenuta irrevocabile per mancata impugnazione.

Procedendo in ordine logico, deve essere esaminato per primo il quarto motivo, concernente l’asserito giudicato esterno, che non può essere accolto in quanto la sentenza citata concerne una diversa annualità di imposta, per cui avendo ciascuna annualità autonomia sia formale che sostanziale, i fatti accertati relativamente ad una sola di esse non si estendono alle altre.

Quindi il terzo, concernente la asserita illegittimità dell’avviso, di cui è evidente la inammissibilità per plurime ragioni (fra cui genericità e mancanza di autosufficienza) di cui la prima è la palese inammissibilità del quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., che si risolve di per sè in una domanda del tutto astratta e priva di riferimento alla fattispecie concreta, cui appunto per questo non è possibile dare alcuna risposta, delegando altresì alla Corte una inammissibile indagine di fatto.

Tornando all’ordine del ricorso, il primo motivo è inammissibile in quanto, non avendo per nulla il giudice di merito considerato la questione, era onere del ricorrente documentare di avere fatto sul punto specifico appello, in ottemperanza al principio di autosufficienza, ed in caso affermativo il vizio doveva essere denunciato quale omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

Anche il secondo mezzo non può trovare accoglimento.

La motivazione della Commissione di appello, per quanto sintetica, è chiara nel senso di ritenere che i contratti di mandato rendevano evidente che l’attività del contribuente aveva ad oggetto atti di compravendita anzichè di mediazione.

L’assunto non è nè contraddittorio nè in sè infondato, in quanto la attività del mandatario si qualifica dall’oggetto del mandato, che può concernere sia la mediazione che la vendita.

Era quindi onere del ricorrente dimostrare la erroneità della valutazione, sulla base di elementi di prova contrari, con indicazione specifica e documentazione degli atti da cui detti elementi dovevano evincersi.

Tale onere non è stato assolto, con conseguente infondatezza del mezzo di impugnazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per onorari, oltre spese processuali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *