Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-12-2010) 26-01-2011, n. 2702 Armi; Ebrezza; Divieto e obbligo di dimora

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 20 aprile 2010 il Tribunale di Torino, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ ordinanza in data 11 marzo 2010, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vercelli aveva rigettato, per difetto delle esigenze cautelari, la richiesta dello stesso Pubblico Ministero di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di C.M. per il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 4 (e di cui al capo 1 delle imputazioni), ha applicato allo stesso la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di (OMISSIS), con una serie di specifiche prescrizioni, ed ha disposto la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza fino alla sua definitività.

Il Tribunale, a fondamento della sua decisione, rilevava che all’indagato era contestato – al capo 1 delle imputazioni – di avere trasportato nella propria auto, che conduceva in stato di ebbrezza alcolica, un fucile da caccia con relative munizioni, funzionante, di proprietà del fratello che lo aveva denunciato, e al quale lo aveva sottratto, nonostante che il Questore di Asti non gli avesse rinnovato la licenza del porto di fucile per uso di caccia e il prefetto di Asti gli avesse vietato con decreto del 19 settembre 2003 di detenere armi, munizioni e materiale esplodente.

Secondo il Tribunale non solo vi era gravità del quadro indiziario ma anche un pericolo di recidivanza che fondava una prognosi assolutamente negativa circa la condotta dell’imputato e la sua capacità di astenersi dal ripetere le condotte contestate in assenza di rigorose prescrizioni, avuto riguardo in particolare ai precedenti penali anche specifici e alle modalità del fatto, tra esse compreso il tentativo di occultare l’arma nel cespuglio, che testimoniavano assenza di autocontrollo e insofferenza alle regole.

Tuttavia, secondo il Tribunale, la non eccessiva gravità della condotta, la stabile integrazione dell’indagato nella realtà sociale e l’espletamento da parte dello stesso di regolare attività lavorativa facevano apparire proporzionata la misura dell’obbligo di dimora con le connesse prescrizioni.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, C., il quale ne chiede l’annullamento formulando due motivi di censura.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis), sul rilievo che il Tribunale avrebbe richiamato per relationem, integralmente e testualmente, l’appello del Pubblico Ministero, nonostante che nell’individuazione della misura se ne fosse discostato, e avrebbe motivato il parziale accoglimento dell’appello cautelare ricorrendo a formule rituali o di stile.

Nè il Tribunale avrebbe considerato quanto documentato dalla difesa in merito allo stato di salute dell’indagato, nonostante la rilevanza – per contrastare gli elementi accusatori – del dato medico della mancanza di alterazioni legate all’abuso di sostanze alcoliche.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 275 c.p.p., comma 2, e art. 274 c.p.p., sul rilievo che il Tribunale avrebbe applicato una misura eccessiva e inadeguata rispetto alle esigenze cautelari, violando il criterio di proporzionalità della misura alla gravità del fatto e alla sanzione applicabile. La non gravità del fatto troverebbe il suo fondamento nella versione attendibile e verosimile resa dall’indagato in sede d’interrogatorio riguardo alla destinazione del fucile, sottratto al fratello, ad attività venatoria e al tentativo di occultare il fucile attuato per evitare problemi all’inconsapevole fratello. L’assenza di esigenze cautelari emergerebbe dalla lettura degli atti, dall’esame dei precedenti penali e dal fatto specifico contestato.
Motivi della decisione

1. L’impugnazione è inammissibile perchè basata su motivi manifestamente infondati.

2. In materia di misure cautelari personali, secondo giurisprudenza consolidata, questa Corte non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso il peso probatorio degli indizi, nè di verificare la rispondenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali, nè di rivalutare le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del Giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità è, quindi, limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che l’hanno determinato e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le tante, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le tante, Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).

Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del Giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

3. Nel caso di specie non si contestano nè la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice della cautela coerentemente con le acquisizioni processuali richiamate nell’ordinanza, nè il convincimento, logicamente plausibile, dallo stesso manifestato circa la sussistenza a carico del ricorrente di gravi indizi di colpevolezza, e cioè di una qualificata probabilità della sua responsabilità riguardo al delitto ascrittogli al capo 1).

4. Sotto il profilo delle esigenze cautelari, le censure sviluppate in ricorso sono del tutto infondate.

4.1. Innanzitutto, il ricorso censura l’ordinanza cautelare per avere richiamato integralmente e per relationem le motivazioni della richiesta del Pubblico Ministero, nonostante la disposta applicazione di una misura cautelare meno afflittiva di quella richiesta, e per avere in tal modo impedito la valutazione dell’iter logico- motivazionale della decisione.

La doglianza nei termini in cui è formulata sembra prescindere dalla lettura dell’ordinanza, che non solo ha precisato di confermare "in parte" la motivazione dell’appello del Pubblico Ministero, ma con adeguata e congrua valutazione critica ha reso conto delle ragioni di condivisione della stessa, quanto alla mancanza di autocontrollo dell’indagato e alla sua insofferenza alle regole, evidenziate dai precedenti anche specifici e dalle modalità del fatto, e delle ragioni di non condivisione della richiesta, individuate nella non eccessiva gravità delle condotte contestate, nella stabile integrazione dell’indagato nella realtà in cui abita e nell’espletamento da parte dello stesso di regolare attività lavorativa come agricoltore.

4.2. Tali affermazioni spese dall’ordinanza impugnata per esprimere l’esito dell’esame degli elementi disponibili in concreto rendono evidente la totale infondatezza anche dell’asserito ricorso da parte del Tribunale a formule rituali o di stile.

4.3. La censura della non corretta motivazione della prognosi di pericolosità, argomentata come consequenziale alle precedenti deduzioni, mutua dalla infondatezza delle stesse la propria inammissibilità. 4.4. L’inammissibilità sussiste anche alla luce della certificazione medica relativa al ricorrente C., e in particolare al suo stato di sanità psico-fisica e alla mancata manifestazione da parte dello stesso di alterazioni legate all’abuso di sostanze alcoliche.

Tale certificazione, richiamata in ricorso e che si assume non presa in considerazione come elemento favorevole alla difesa per la sua incidenza sulla personalità dell’indagato, non contrasta la valutazione delle condizioni soggettive dell’indagato operata dalla decisione impugnata, che non ha ritenuto la personalità dello stesso dipendente dall’abuso di sostanze alcoliche, come assunto in ricorso, ed ha richiamato la guida in stato di ebbrezza, rilevata con test alcolemici in occasione del fatto in questione, come una condotta già più volte sanzionata sulla base delle risultanze del certificato del casellario giudiziale.

4.5. Anche sotto il profilo del criterio di adeguatezza della misura il ricorso appare censurare una corretta motivazione del Giudice del riesame.

L’ordinanza, nel ritenere l’adottata misura cautelare dell’obbligo di dimora proporzionata all’entità del fatto, all’irroganda sanzione e al soddisfacimento delle esigenze cautelari, ha, infatti, fatto corretta applicazione del principio di proporzionalità enunciato in termini generali dall’art. 275 c.p.p., comma 2, ha sviluppato apprezzamenti di merito rientranti nel suo compito funzionale ed ha espresso un iter argomentativo strutturalmente coerente e logicamente congruo, sottratto a ogni sindacato nella sede di legittimità.

I rilievi, le deduzioni e le doglianze espresse in ricorso si risolvono ancora una volta in censure di merito, che, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per Cassazione, sono inammissibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 5. Conseguono la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 92 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al competente Tribunale distrettuale del riesame di Torino perchè provveda a quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. c.p.p..

Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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