T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 45 Vincoli Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.La società L. S.a.s., proprietaria di un’area destinata a giardino privato in via Bellacosta n. 24 in Bologna, ha realizzato un fabbricato in epoca remota, oggetto, poi, di successivi interventi edilizi, questi ultimi realizzati senza munirsi del prescritto titolo.

2.Il Comune sul presupposto della loro abusività sostanziale disponeva la sospensione dei lavori con ordinanza 14474 del 1/2/1995 che veniva impugnata con ricorso sub r.g. 465/1995.

3.Con sentenza n. 509/2009 il T.A.R., dopo aver rilevato che era stata demolita la preesistente serra in metallo e ricostruita nuovamente in muratura con una pavimentazione in calcestruzzo e rilevando il carattere abusivo dell’intervento, costituito da una nuova costruzione, respingeva il relativo ricorso.

4.Con il presente ricorso introduttivo veniva impugnato il rigetto della domanda di condono del 15/9/1997, prot 23915, nel frattempo presentata, deducendone l’illegittimità.

5.Con successivi motivi aggiunti veniva impugnato il conseguente ordine di demolizione del 30/5/2001, PG n. 91612, adottato dal comune a seguito del rigetto della domanda di condono del 15/9/1997, prot 23915.

6.Con successivi motivi aggiunti venivano altresì impugnato il provvedimento del comune di applicazione della sanzione pecuniaria cosiddetta ambientale emanata ai sensi dell’articolo 167 del T.U. 42/2004 ed ai sensi dell’art 1, comma 37 della l. n. 308/2004, nonchè la delibera del C.C. n. 40 del 20/2/2006 concernenti i criteri e le modalità di calcolo della predetta sanzione.

7.Con ulteriori motivi aggiunti veniva impugnato anche il diniego di condono del 8/3/2007 PG 259673/2004 emanato dal Comune a seguito della successiva ulteriore domanda di condono presentata il 10/12/2004 ai sensi della l. r. 23/2004.

8.Infine, con ulteriori motivi aggiunti, da valere anche come ricorso autonomo, veniva impugnato anche il successivo ordine di demolizione, conseguente al diniego del 8/3/2007 nonché, per quanto occorrer possa, l’atto di delega PG n. 161420/2005.

Quest’ultima impugnativa prendeva altresì un autonomo numero di RG 283/2008 poiché i motivi aggiunti erano stati presentati anche "a valere come ricorso autonomo" dalla difesa del ricorrente.

9.Le istanze cautelari venivano respinte dal TAR con ordinanze n. 65/2007 e 264/2008 e le cause venivano trattenute in decisione all’odierna udienza.

10.Va disposta la riunione dei ricorsi sub. RG 2166/1997 e sub. RG 283/2008 per evidente connessione oggettiva e soggettiva.

11. In rito va preliminarmente rilevata la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione avverso l’impugnativa della prima ordinanza di demolizione del 30/5/2001, PG n. 91612, impugnata con i primi motivi aggiunti di ricorso, richiamandosi a quell’orientamento generale assunto dalla giurisprudenza (per questa Sezione si vedano ad es. 4.10.2001, n. 723 e 30.1.2002, n. 187; per il Consiglio di Stato: Sez. IV 11/12/1997, n. 1377 e Sez. V, 4.8.2000, n. 4305) secondo il quale, qualora l’interessato abbia attivato il procedimento per ottenere la concessione di costruzione edilizia in sanatoria di abusi, il ricorso proposto contro un provvedimento demolitorio, emesso in precedenza, diviene improcedibile, essendo venuta meno l’efficacia dell’ordine repressivo impugnato. Infatti, a seguito dell’istanza di condono ed al successivo diniego, è stato emanato un nuovo provvedimento di demolizione, ritualmente impugnato con successivi ulteriori motivi aggiunti di ricorso, che ha sostituito il precedente ordine di demolizione.

12. Ciò premesso entrambi i ricorsi sono infondati ivi compresi tutti i motivi aggiunti di ricorso. Quanto al ricorso introduttivo, concernente il rigetto della prima domanda di condono avvenuto con provvedimento del 15/9/1997, prot. 23915, va osservato, come già rilevato nel precedente contenzioso, concernente l’ordine di sospensione dei lavori, relativo al medesimo abuso, definito con sentenza n. 509/2009, che è infondata l’unica censura dedotta dalla difesa della ricorrente che contesta in fatto quanto accertato dal Comune sostenendo che anche la vecchia struttura era in muratura e non in metallo. Il verbale di accertamento, invece, è chiaro nel descrivere l’abuso e la natura di nuova opera, previa demolizione della preesistente, e ciò trova riscontro non solo nell’esposto puntuale del vicino ma anche dalle fotografie prodotte in giudizio. Anche se, poi, parte della vecchia struttura fosse stata in muratura ciò non eliminerebbe né attenuerebbe l’abuso edilizio contestato attesa la realizzazione della nuova opera senza titolo edilizio dovendosi escludere, per la natura e consistenza delle opere, il carattere di mera manutenzione o ripristino conservativo di quanto realizzato.

Trattandosi di una nuova opera di diversa consistenza rispetto al preesistente manufatto, come del resto riconosciuto dalla relazione tecnico descrittiva di parte allegata alla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, che risulta essere stato demolito, non è possibile distinguere le parti abusive da quelle non abusive, come preteso dalla difesa della ricorrente, trattandosi, appunto, di una nuova opera interamente abusiva.

13. Quanto all’impugnativa della sanzione ambientale, di cui agli ulteriori motivi di ricorso, ne va rilevata l’infondatezza in ordine alle prime due censure d’illegittimità derivata dal precedente diniego di condono per le stesse ragioni sopra esposte.

13.1. E’ inoltre infondata la terza censura dedotta (la prima quale vizio autonomo) con la quale si contesta la quantificazione della sanzione poiché avvenuta in applicazione dei criteri fissati dal comune con la deliberazione del C.C. n. 40 del 20/2/2006 e senza la prescritta perizia di stima.

Infatti, come rilevato dalla difesa del comune con argomentazioni quì condivise, la citata deliberazione comunale fissa, in maniera oggettiva, parametri e coefficienti correttivi da seguire in sede di stima, del maggior importo tra danno e profitto da calcolare ai fini della sanzione di cui all’art 167 del D. lgs. 42/2004, che devono essere seguiti nell’effettuazione della prescritta valutazione. Tale deliberazione, infatti, prescrive la stima scegliendo, nella discrezionalità riservata a tal fine all’Amministrazione dal citato art. 167, il metodo della stima sintetica, in luogo di quella analitica. Detta scelta, non avendo l’articolo 167, indicato il metodo di stima da seguire, non appare né illogica né illegittima. Infatti, la formula prevista dalla contestata deliberazione ai fini dell’effettuazione della stima sintetica lascia spazio per ancorare la stima alle caratteristiche specifiche dell’immobile sia per quanto riguarda il Vvm (valore venale medio), sia per quanto riguarda l’applicazione degli ulteriori indici Te (tipologia dell’edificio), Zu (Zona in cui ricade l’intervento), SC (superfici di riferimento) e Va (vetustà dell’abuso).

Nel caso concreto, del resto, l’apposita istruttoria tecnica, prodotta dal comune (doc. 23) ha effettuato la stima in applicazione dei suddetti parametri ancorandoli alla specificità dell’abuso.

13.2. E’, altresì, infondata la quarta censura dedotta con la quale si contesta la competenza comunale all’adozione dei criteri di valutazione di cui alla citata deliberazione del C.C. n. 40 del 20/2/2006, trattandosi, secondo la tesi difensiva, di competenza statale o, in via subordinata, regionale.

Infatti, l’articolo 10, comma primo, della legge regionale n. 26/1978 ha sub delegato ai comuni l’esercizio di dette funzioni ed il terzo comma del medesimo articolo 10, nel testo novellato dall’art. 94 della legge regionale 3/1999, ha disposto la sostituzione del Comune al Ministero competente in precedenza.

13.3. Né sussiste il dedotto eccesso di potere per difetto di motivazione di cui alla quinta censura dedotta che ritiene poco comprensibili ed arbitrari i valori delle singole voci che costituiscono i parametri e coefficienti correttivi da seguire in sede di stima previsti dalla citata deliberazione del C.C. n. 40 del 20/2/2006.

Infatti, dalla perizia di stima contenuta nell’istruttoria tecnica, alla base del provvedimento impugnato, risulta chiaramente l’iter logico seguito ed i calcoli concreti nella determinazione della sanzione contestata.

Né, in particolare risulta censurabile in questa sede di legittimità il riferimento ai due parametri specificamente contestati ossia quello Vvm (valore venale medio) e quello Cum (costo medio unitario) i quali fanno riferimento a fonti obiettive che, sia pur previste ad altri fini, non pare illogico né arbitrario utilizzare per la determinazione della sanzione ambientale, con riferimento agli analoghi parametri fissati dalla citata deliberazione del C.C. n. 40 del 20/2/2006

14. Quanto all’impugnativa del diniego di condono del 8/3/2007 PG 259673/2004 emanato dal Comune a seguito della successiva ulteriore domanda presentata il 10/12/2004 ai sensi della l. r. 23/2004, di cui agli ulteriori motivi aggiunti di ricorso, ne va rilevata l’infondatezza.

14.1. Quanto alla natura delle opere, costituenti una nuova costruzione, vanno ribadite le argomentazioni di cui al punto 12 della presente decisione poste anche alla base del precedente diniego di condono.

14.2. Inoltre, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della società ricorrente l’opera abusiva in contestazione si pone in contrasto con gli articoli 27 e 91 delle N.T.A. che nella zona in cui l’abuso è stato realizzato non consentono interventi di nuova costruzione, come ha correttamente qualificato il comune l’intervento edilizio realizzato. Né può condividersi la tesi difensiva secondo la quale l’area sarebbe soggetta ad un vincolo decaduto per decorso del termine quinquennale e che, pertanto, l’abuso su area cosiddetta "bianca" sarebbe condonabile.

Infatti, non hanno natura espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà esistente sui suoli, quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, e che nemmeno si risolvono in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione degli interventi su di essi previsti anche da parte di privati (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2010 n. 1982; Cons. Stato, sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5059; id., 28 febbraio 1995, nr. 693).

In questi casi, la zonizzazione dei suoli non è espressione di potere espropriativo (neanche in senso lato), ma della più generale potestà di pianificazione del territorio spettante all’Amministrazione comunale, alla quale è connaturata la facoltà di limitare l’edificabilità su determinate aree a specifiche categorie e tipologie di opere.

Infatti, la natura espropriativa o conformativa del vincolo va verificata non in astratto, ma sulla base della concreta disciplina urbanistica impressa ai singoli suoli, al fine di accertare – per l’appunto – se la destinazione impressa agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione ovvero, come sopra accennato, non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari.

Nel caso di specie, l’art. 27 dele N.T.A, disciplinante l’area pur utilizzando la terminologia "verde pubblico attrezzato" consente la realizzazione di attrezzature oltre che dal comune anche dal privato a tal fine convenzionato, riconoscendo un sia pure modesto indice di fabbricabilità. Tanto basta per escludere la natura espropriativa del vincolo gravante sull’area da ricondurre ad una zonizzazione dei suoli espressione del potere pianificatorio comunale. Conseguentemente non si ha scadenza del regime urbanistico dell’area al decorrere del quinquennio ed appare errato il riferimento al regime delle cosiddette "zone bianche".

14.3. Inapplicabili, infine, gli art 34 e 37 delle N.T.A. per le ragioni sopra indicate in relazione alla natura di nuova costruzione delle opere abusive realizzate, contrariamente a quanto dedotto nella parte finale del motivo di ricorso.

15. Parimenti infondata è l’impugnativa dell’ordine di demolizione, conseguente al diniego del 8/3/2007 nonché dell’atto di delega PG n. 161420/2005, di cui agli ultimi motivi aggiunti di ricorso.

15.1.Quanto ai vizi di illegittimità derivata dedotti si richiamano le argomentazioni sopra svolte.

15.2. Va, invece, respinto il motivo autonomo di ricorso con cui si deduce l’incompetenza del responsabile della U.I. in luogo del Direttore del settore.

Infatti, l’art. 44 dello Statuto comunale e l’art. 13, comma 5°, del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, vigenti e non specificamente impugnati, consentono espressamente tale delega ai responsabili delle strutture in cui si articolano i settori, come avvenuto nel caso in esame con atto P.G. 161420/2005 del 14/7/2005, in applicazione dello Statuto ed in conformità ai principi del D. lgs 165/2001 e s. m.. nonché degli articoli 5 e 6 della legge n. 241/1990 e s. m..

15.3. Né, infine, sussiste la violazione dell’articolo 39 della legge regionale 23/2004.

Infatti, l’articolo 39 citato dispone soltanto che, una volta iniziato un procedimento sanzionatorio anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale deve continuare a trovare applicazione il D.P.R. n. 380/2001, anche se l’atto finale è emanato successivamente non potendo trovare applicazione la legge regionale stessa.

Né può sostenersi che nel caso in esame si tratta di un nuovo procedimento, e ciò al fine di escludere l’applicabilità sia del D.P.R. n. 380/2001 sia della legge regionale (che testualmente si applicherebbe ai soli abusi commessi dopo l’entrata in vigore della legge).

Infatti, l’abuso è risalente nel tempo ed il nuovo ordine di demolizione, emanato a seguito del nuovo diniego di condono, costituisce l’atto finale del medesimo procedimento sanzionatorio riattivato sulla base dei medesimi atti istruttori, ossia i verbali di accertamento n. 10/1995 e 215/1995, richiamati anche nell’ordine di demolizione.

In definitiva appare corretto il riferimento all’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001, contenuto nel provvedimento impugnato, il quale prevede che se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive siano acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune.

16.In conclusione vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione i primi motivi aggiunti di ricorso con cui è stata impugnata la prima ordinanza di demolizione del 30/5/2001, PG n. 91612 mentre vanno respinti entrambi i ricorsi in epigrafe indicati e tutti i motivi aggiunti proposti.

17. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sez. II, respinge i ricorsi in epigrafe indicati, ivi compresi i motivi aggiunti di ricorso, previa declaratoria d’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dei primi motivi aggiunti di ricorso con cui è stata impugnata l’ordinanza di demolizione del 30/5/2001, PG n. 91612.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di causa che si liquidano a favore del Comune intimato in Euro 10.000 (diecimila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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