Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-02-2011, n. 4369 Rimborso Riscossione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La S.p.a. Effe Vita Società di Assicurazioni sulla Vita – d’ora in poi, per brevità, Effe Vita – nella dichiarazione resa ai fini IRPSG per l’anno 1992 esponeva un credito di L. 22.083.000, risultante dal bilancio dell’anno 1991, da computare in diminuzione d’imposta nell’esercizio successivo. Si verificava in seguito che, avendo la società, per mero errore, omesso di "riportare a nuovo" detto credito d’imposta, e non avendone, quindi, concretamente usufruito, nel dicembre del 2000 avanzava istanza di rimborso della relativa somma.

Avverso il diniego tacito relativo a detta istanza l’Effe Vita proponeva ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, che lo rigettava con riferimento al mancato rispetto del termine previsto, a pena di decadenza, dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la decisione indicata in epigrafe, rigettata preliminarmente l’eccezione – sollevata in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 – di inammissibilità dell’appello proposto dalla società, in riforma della decisione di primo grado accoglieva il ricorso della contribuente, affermando l’inapplicabilità, nel caso di specie, del termine previsto dal richiamato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, essendo l’istanza di rimborso proponibile – come in realtà era avvenuto – prima della scadenza del periodo decennale previsto dall’art. 2946 c.c..

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate.

Resiste con controricorso la S.p.a.Effe Vita.
Motivi della decisione

2.1 – Con unico e complesso motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, nonchè del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 4 e del D.P.R. n. 602 del 1972, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 2.2 – Il primo profilo (per altro implicante un vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non richiamato nel ricorso) contiene una censura non condivisibile.

Si sostiene che la Commissione tributaria regionale "avrebbe violato il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, non ritenendo preclusa alla società ricorrente la possibilità di sollevare in secondo grado eccezioni che avrebbe potuto e dovuto sollevare in primo grado".

Vale bene premettere che nel giudizio tributario strutturato come giudizio d’impugnazione di un provvedimento contenente la pretesa dell’amministrazione finanziaria, nel quale l’ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale ed il dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo e, dall’altro, dalle questioni dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo (Cass., 20 marzo 2009, n. 6858;

Cass., n. 10779 del 2007; Cass. n. 15849 del 2006) – il divieto, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, di proporre in appello nuove eccezioni, non rilevabili d’ufficio, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale (Cass., n. 7789/2006; Cass. n. 10112/2002).

A tale considerazione di carattere generale si sottrae, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale, il procedimento relativo ad istanza di rimborso proposta dal contribuente, il quale assume veste di attore in senso sostanziale.

Ne consegue che il tema della decadenza dal termine per la proposizione dell’istanza di rimborso, per altro rilevabile d’ufficio, non poteva costituire l’oggetto di una questione sollevata dal contribuente, bensì il contenuto di un’eccezione proposta, come in realtà risulta essersi verificato – dall’Agenzia delle Entrate.

La contestazione – ad opera della Effe Vita – della fondatezza di tale eccezione, accolta dalla commissione provinciale, costituisce, pertanto, mera esplicazione del diritto di difesa mediante la proposizione dell’impugnazione, inerente al thema decidendum introdotto (anche in virtù delle deduzioni dell’Amministrazione finanziaria) nel giudizio di primo grado, e non integra, come si sostiene nel ricorso, una "nuova eccezione". 2.2 – Il secondo pirofilo, concernente la violazione del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 4 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, è viceversa fondato.

Non può invero prescindersi dal chiaro tenore letterale del D.P.R. 4 dicembre 1988, n. 42, art. 4, comma 4, secondo cui "Se l’eccedenza riportata non è computata in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo, o se questa non è presentata, il contribuente può chiederne il rimborso presentando istanza all’intendente di finanza del suo domicilio fiscale a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38".

La stessa Commissione tributaria regionale, riconosce che, versandosi in tema di versamento diretto, debba intendersi pertinente il richiamo effettuato dall’amministrazione alle testè indicate fonti normative. Tuttavia la decisione impugnata rinviene nel sistema normativo una vera e propria eccezione, che per il vero non è rinvenibile nella disposizione in esame, per quanto attiene al termine decadenziale contenuto nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Tale norma, ben vero, prevede, nel testo applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame, che "il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare .. istanza di rimborso entro il termine di decadenza di diciotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento". Il rinvio a tale disciplina, attesa la sua natura formale, non può intendersi parziale, con la conseguenza che non può non applicarsi il termine previsto da tale disposizione, a pena di decadenza, per la presentazione dell’istanza di rimborso.

In tal senso, per altro, si è già pronunciata questa Corte, affermando il principio secondo cui "in tema di rimborso delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, il quale, nel testo originario (applicabile "ratione temporis"), prevede il termine di decadenza di diciotto mesi per la presentazione della relativa istanza, ha portata generale in materia di rimborsi di versamenti diretti ed è, quindi, applicabile nell’ipotesi di eccedenza di versamento in acconto, riportata ma non computata in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo (come espressamente previsto dal D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 4), sussistendo anche in tal caso il presupposto, richiesto dal citato art. 38, dell’inesistenza – sia pur sopravvenuta – dell’obbligo di versamento (Cass., 5 agosto 2002, n. 11682).

Consegue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rigetto, con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1 – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – della domanda di rimborso.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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