T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 21-01-2011, n. 633

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 21 luglio 2005 e depositato il successivo 5 agosto 2005, il ricorrente impugna il provvedimento con il quale in data 14 giugno 2005 il Questore di Roma ha rigettato l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno dal medesimo presentata, chiedendone l’annullamento.

In particolare, espone:

– di essere cittadino ucraino soggiornante in Italia in virtù di regolare permesso di soggiorno avente scadenza 1 aprile 2004, munito di carta di identità, con regolare impiego e padre di una figlia nata a Roma il 9 dicembre 2001;

– di aver richiesto il rinnovo di tale permesso di soggiorno;

– che, con il provvedimento in epigrafe, il rinnovo gli è stato negato "sul richiamo della disposizione di cui all’art. 4, comma 3, Dlvo 286/98 e art. 33 comma 7 lett. C L. 189/2002", in quanto è stato condannato dal Tribunale Ordinario di Roma alla pena di L. 400.000 di multa per il reato di cui all’art. 588 c.p..

Avverso tale provvedimento il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di impugnativa:

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE. Il reato contestatogli si è estinto per il decorso del termine di cui all’art. 445 co. 2 c.p.p.. La condanna risale al 2000 e non era stata ostativa al rilascio del permesso di soggiorno nel 2003. In ogni caso, l’art. 33, comma 7, l. 189/2002 è stato riconosciuto costituzionalmente illegittimo dal giudice delle leggi.

DIFETTO DI MOTIVAZIONE, atteso che egli versa in condizioni sociali e familiari che rientrano in quelle per le quali l’art. 33, comma 7, non esclude l’applicazione della normativa di emersione del lavoro irregolare e, dunque, sussisteva l’obbligo a carico dell’Amministrazione della loro disamina.

Alla camera di consiglio del 31 agosto 2005 – nel corso della quale si è costituito il Ministero dell’Interno, Questura di Roma – la Sezione ha emanato l’ordinanza n. 1185/2005, con la quale ha chiesto all’Amministrazione di produrre documenti.

A ciò l’Amministrazione ha ottemperato in data 26 settembre 2005, producendo copia della sentenza di condanna del giudice penale e precisando che il reato per il quale il ricorrente è stato condannato – previsto dall’art. 588, comma 2, c.p. – rientra tra quelli previsti dall’art. 381 c.p.p., "ostativi alla concessione del permesso di soggiorno ex art. 33, comma 7, lett. c), L. 189/02".

Con ordinanza n. 5456/2005 la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, incidentalmente presentata dalla parte ricorrente.

In data 25 maggio 2010 il ricorrente ha depositato copia dell’ordinanza di riabilitazione emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma in data 16 gennaio 2006.

All’udienza pubblica del 25 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorre lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale in data 14 giugno 2005 il Questore di Roma gli ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno.

A tale fine denuncia, tra l’altro, difetto di motivazione, sostenendo – in particolare – che la propria condizione rientra "in quelle per le quali l’art. 33, comma 7, non esclude la applicazione della normativa di emersione del lavoro irregolare".

Tale censura è meritevole di condivisione.

1.2. Ai fini del decidere, il Collegio ritiene che rivesta carattere dirimente il rilievo che la sentenza di condanna presa in considerazione dall’Amministrazione risulta emessa dal giudice penale – ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – nel 2000, ossia prima dell’entrata in vigore della su indicata disposizione, e – dunque – attiene necessariamente ad un fatto illecito – del pari – commesso prima di tale data.

Tale rilievo introduce, infatti, la questione inerente la sussumibilità o meno di pronunce di tal genere nell’ambito di operatività del divieto di "emersione del lavoro irregolare" contemplato dall’art. 33, comma 7, della legge n. 189/2002 e, più in generale, nel divieto di ingresso allo straniero previsto dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/02, così come innovato dalla già citata legge n. 189 del 2002.

Come già ricordato in ambito giurisprudenziale (cfr., tra le altre, TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 10 febbraio 2006, n. 90), la questione de qua è stata variamente risolta:

– da un lato si è ritenuto che il prendere in considerazione, agli effetti del rilascio del titolo di soggiorno, condanne che, quando furono pronunciate, non influivano in alcun modo su di esso, sol perché hanno rilievo oggi, violasse il principio di irretroattività delle leggi;

– dall’altro, invece, si è ritenuto che ogni atto sia regolato dalla legge del tempo in cui è stato emanato, onde è legittimo che il diniego di permesso di soggiorno venga adottato in base a presupposti che hanno effetto per la vigente normativa, ancorché verificatisi in un’epoca in cui tali effetti non avevano.

Al riguardo, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento che – nel riconsiderare i su esposti indirizzi, perché considerati troppo "estremi" – ha, invece, ritenuto di valorizzare quanto riportato nel messaggio telegrafico n. 300/C/2003/1851/P/12.222.11/1^ dd. 9.9.2003, inviato dal Ministero dell’Interno.

Secondo tale circolare, le sentenze divenute irrevocabili prima dell’entrata in vigore della legge n. 189/2002 non costituiscono un elemento di per sé decisivo in sede di rinnovo del permesso di soggiorno, ma rappresentano soltanto uno degli elementi di valutazione, unitamente alla condotta complessiva del soggetto, all’inserimento sociale e alla condizione familiare.

In essa si osserva – in particolare – che, nel succedersi del testo originario del d.lgs. n. 286 del 1998 e in quello modificato dalla legge n. 189 del 2002, è rimasto immutato l’art. 5, comma 5, che, nell’imporre il diniego o la revoca del permesso di soggiorno in caso di sopravvenuta mancanza dei requisiti per l’ingresso, soggiunge "sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio" e la valutazione di tali elementi è rimessa al Questore che – come rileva la nota ministeriale citata – ha "il poteredovere di esaminare la situazione complessiva in cui versa lo straniero".

Così, da una parte, non si nega che debbano trovare considerazione le condanne o le sentenze ex art. 444 c.pp, come imposto dalla successivamente intervenuta l. n. 189/2002, anche se verificatesi prima della sua entrata in vigore; d’altra parte, non si ritiene che esse debbano essere senz’altro determinanti del diniego o della revoca del titolo di soggiorno, dovendo il Questore tenerne conto ma insieme ad altri elementi che il Ministero dell’Interno indica (condotta complessiva del soggetto, suo inserimento sociale, sua situazione familiare nel nostro Paese).

Tale impostazione appare tanto più fondata nel caso di specie, dove viene in rilievo una sentenza di patteggiamento che è per lo più accettata dallo straniero nella prospettiva di evitare ripercussioni sulla possibilità di permanere nel territorio nazionale, onde non appare legittimo ricollegare loro, in un momento successivo, effetti pregiudizievoli, atti a compromettere la ragioni che hanno indotto a suo tempo all’accordo.

Tanto più una simile considerazione è valida nel caso del ricorrente, il quale giustamente osserva che la stessa sentenza, non ritenuta preclusiva al rilascio a suo favore del permesso di soggiorno nell’anno 2003, lo è ora in via assoluta e determinante, prescindendo da qualsiasi altra valutazione.

In definitiva, è doveroso concludere nel senso che il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno impugnato è illegittimo in quanto adottato esclusivamente sulla base della condanna, risalente all’8 maggio 2000, del ricorrente alla pena di Lire 400.000 di multa per il reato di cui all’art. 588, comma 2, c.p..

2. Per le ragioni illustrate, il ricorso va accolto, con assorbimento delle ulteriori censure sollevate.

Tenuto conto che la questione in esame è stata oggetto di un orientamento giurisprudenziale nel tempo non univoco, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) accoglie il ricorso n. 7510/2005 e, per l’effetto, annulla il decreto del Questore di Roma del 14 giugno 2005, meglio indicato in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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