Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-02-2011, n. 4365 Dichiarazione Plusvalenze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1, – La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la decisione indicata il epigrafe, rigettava l’appello proposto da P. A. avverso la sentenza di primo grado con la quale ora stata confermata la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi per l’anno 1999, relativamente alla tassazione separata del provento di una cessione di azienda.

1.1 – Detta cartella era stata emessa in quanto il contribuente aveva versato soltanto una parte dell’acconto, pari a L. 20 milioni, dovuto sulla base di quanto dichiarato ai sensi del D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 3, convertito nella L. n. 30 del 1997. La Commissione tributaria regionale poneva in evidenza che la cartella era stata emessa sulla base di quanto dichiarato dallo stesse P., il quale, per altro, non aveva rettificato dette dichiarazioni, avendo bensì allegato, sulla base del dedotto inadempimento della parte acquirente e di una transazione con lo stesso successivamente intervenuta, la percezione di un importo inferiore rispetto a quello convenuto, irrilevante – secondo i giudici di merito -ai fini dell’obbligazione tributaria in esame.

1.2 Per la cassazione di tale decisione il P. propone ricorso, affidato a due motivi ed illustrato da memoria.

L’Agenzia delle Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze non svolgono attività difensiva.
Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia o insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver considerato la Commissione tributaria regionale che il contribuente aveva in sostanza rettificato, anche alla luce degli sviluppi successivi della vicenda contrattuale, la propria dichiarazione, in linea di principio emendabile.

2.1 – Con il secondo motivo si sostiene che, mentre nella decisione impugnata è attribuito al P. l’intento di far valere il venir meno, per eventi successivi alla cessione dell’azienda, la componente relativa all’avviamento, in realtà si era inteso dedurre che il compenso pattuito in realtà non era mai stato percepito, tanto più che la vendita era stata effettuata con riserva di proprietà, ragion per cui il trasferimento si sarebbe perfezionato solo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo.

2.2 – Ragioni di ordine logico-giuridico impongono l’esame preliminare del secondo motivo, in quanto, al di là della riproposizione del tema inerente alla mancata percezione del prezzo pattuito, che verrà appresso esaminato, si introduce un elemento dotato di un’autonoma e suggestiva valenza, vale a dire la circostanza che la vendita sarebbe stata stipulata con riserva di proprietà.

A tale riguardo osserva la Corte che sia dal tenore della sentenza impugnata, sia dalla esposizione dei fatti di causa contenuta nello stesso ricorso, sia, infine dall’esame dell’atto introduttivo e del ricorso in appello (consentito dalla natura della verifica de qua), emerge come tale circostanza sia stata prospettata per la prima volta in questa sede.

In proposito vale bene ribadire che i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che abbiano già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento (Cass. 2000/5845; 2000/14848; 2004/22154; 2005/19350; Cass., 2010/25510).

2.3 – Sgombrato il campo da prospettazioni non consentite (la questione della cessione con riserva di proprietà si sarebbe dovuta comunque risolvere alla stregua della disposizione antielusiva contenuta nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 2, lett. a), secondo cui "Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà"), deve constatarsi che il rilievo fondato sulla mancata percezione del corrispettivo, che costituisce il dato fondante della censura proposta dal contribuente, non attiene, a ben vedere, alla possibilità di rettificare la dichiarazione, dovendosi preliminarmente verificare se, alla stregua del quadro normativo applicabile ratione temporis, la plusvalenza debba ritenersi realizzata in coincidenza con la stipulazione della cessione, a prescindere dalle vicende successive relative all’adempimento da parte dell’acquirente o all’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione di carattere novativo intervenuta a distanza di anni.

2.4 – Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile alla fattispecie in esame) stabilisce al comma 2-a) che, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, "corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti … per i beni immobili e per le aziende, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale".

Il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza, che pacificamente ricomprende anche il valore di avviamento (Cfr. Cass., n. 905 del 2002) – in caso di cessione di azienda – va pertanto individuato nel trasferimento della azienda stessa dietro corrispettivo, che deve essere "conseguito" o imputato, potendo la percezione dello stesso essere invece assoggettata a modalità diverse scandite nel tempo (es. un pagamento differito o un reinvestimento contestuale: cfr: Cass.: 1214/2001; Cass., n. 10801/2007, relativa a fattispecie in cui il corrispettivo era costituito da una rendita vitalizia a favore del cedente. Non è dunque al momento – di per sè variabile – di percepimento del corrispettivo che deve farsi riferimento per l’imputazione della plusvalenza secondo il principio di competenza, ma al momento di stipulazione del contratto, occorrendo considerare sia la natura intrinseca e la configurazione giuridica dell’atto che opera il trasferimento del bene, prescindendo dalla natura delle clausole inserite nell’atto stesso quando siano estranee agli elementi essenziali del tipo di contratto concluso, sia all’onerosità del negozio posto in essere, circostanza che ne determina la tassabilità (Cass., n. 2807/2002).

Giova rimarcare che, determinando le modalità della determinazione della plusvalenza tassabile un chiaro richiamo al principio di competenza, appare evidente come, anche in caso di rateizzazione del prezzo, la parte di reddito percepita successivamente al periodo d’imposta non può essere esclusa dal calcolo della plusvalenza, tanto che non è possibile nemmeno detrarre una somma a titolo di interessi per la dilazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 16051 del 20/12/2001, n. 9667 del 2000). Inoltre va ribadito che, in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come "esercizio di competenza", ne essendone ammessa l’imputazione in misura superiore a quella prevista per ciascun esercizio.

2.5 – Tanto premesso, appare assolutamente priva di pregio, per i fini che qui interessano, la deduzione inerente all’omessa percezione, sulla base delle vicende successive del rapporto, del corrispettivo pattuito, tanto più che, come ben evidenziato nella decisione impugnata, la pretesa dovrebbe considerarsi elisa – secondo la tesi del contribuente dall’accordo transattivo intervenuto durante la fase esecutiva del contratto. Soccorre in proposito il principio, desumibile dall’art. 1372 c.c., comma 2. c.c. secondo cui tali accordi sono inopponibili all’Erario, con conseguente operatività del principio secondo cui, ai fini della plusvalenza in esame, assume rilievo il momento di conclusione del contratto (v. anche Cass. 19 dicembre 2008, n. 29745).

2.6 – Al rigetto del ricorso non conseguono statuizioni in merito alle spese processuali, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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