Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-02-2011, n. 4364 ICI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.F., titolare dello stabilimento balneare "Sport" in Marina di Carrara, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana in epigrafe che, rigettandone l’appello, ha confermato il rigetto del ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento e liquidazione dell’ICI per l’anno 2001, relativa allo stabilimento balneare, emesso dal Comune di Carrara.

Il giudice d’appello, rigettate le eccezioni relative alla dedotta violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7, 10 e 11, ha infatti ritenuto che la norma contenuta nel nuovo testo del D.Lgs. 30 giugno 1992, n. 504, art. 3, come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, giustificava l’imposizione tributaria.

Il ricorrente affida il ricorso a cinque motivi fondati su violazione di legge e ad uno concernente vizio di motivazione.

Il Comune di Carrara resiste con controricorso.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza e il ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente si duole di erronea applicazione degli artt. 952 e 953 cod. civ.; di violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e segg. cod. nav. e dei corrispondenti articoli del regolamento di esecuzione nonchè della legislazione in tema di concessioni del demanio marittimo, e cioè del D.P.R. n. 616 del 1977, art. 59 e L. n. 494 del 1993, art. 1 e segg.; in particolare, il contribuente assume che da nessuna delle superiori disposizioni emergerebbe che la concessione del demanio marittimo farebbe insorgere in capo al concessionario una proprietà superficiaria e come tale tassabile ai fini ICI. Col secondo motivo deduce falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 18, nel senso che tale intervento legislativo, parziale, non avrebbe immutato la precedente disciplina delle concessioni in area demaniale e, in particolare, sull’automatico acquisto della proprietà da parte del concessionario.

Col terzo motivo deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in quanto la CTR aveva, con richiamo generico a dottrina e giurisprudenza, ritenuto che la concessione faceva insorgere diritti reali in capo al concessionario, laddove la giurisprudenza del S.C. imponeva l’analisi dell’atto di concessione.

Col quarto motivo il ricorrente deduce violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere la CTR assunto che "l’accenno alla trasmissione di documentazione da parte del Ministero" era clausola di mero stile.

Col quinto motivo deduce violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11, per avere la CTR ritenuto non necessario per l’ufficio instaurare un contraddittorio col contribuente e per non avere ritenuto inapplicabili le sanzioni.

Col sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto il rilievo della CTR che il contribuente averla sollevato tardivamente l’eccezione di mancata comunicazione della rendita non sarebbe pertinente, avendo egli sollevato sin dall’inizio l’eccezione di impraticabilità della determinazione della base dell’imposta su un valore presunto, non essendo stati i beni accatastati.

Il primo, il secondo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili in quanto, pur deducendosi violazione di norme di diritto, non sono corredati del quesito prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ.; il terzo motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione, è del pari inammissibile, in quanto il relativo onere imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. "deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un "quid pluris" rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso" (Cass. n. 8897 del 2008).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 1000,00 ivi compresi Euro 100,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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