Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-12-2010) 26-01-2011, n. 2664 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, emessa il 2 marzo 2010, in riforma solo quoad poenam della sentenza del Tribunale di Lamezia Terme in data 2 marzo 2009, B.L. e B.F. sono stati condannati, il primo, alla pena di anni dodici, e, il secondo, a quella di anni dieci e mesi due di reclusione per i delitti, unificati col vincolo della continuazione, di concorso in ricettazione, estorsione, tentato omicidio aggravato, detenzione e porto abusivo di un fucile calibro 12 e di una pistola, e il solo B.L. anche del reato di evasione dagli arresti domiciliari, tutti commessi in (OMISSIS), con la recidiva specifica infraquinquennale a carico di entrambi, e con applicazione delle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale per l’intera durata della pena inflitta.

La Corte di appello ha, preliminarmente, respinto la riproposta eccezione di nullità del giudizio immediato disposto nei confronti degli imputati, per non avere il Giudice per le indagini preliminari, prima, con ordinanza del 22 aprile 2008, e il Tribunale, poi, con ordinanza del 17 ottobre 2008, dato corso alla domanda di giudizio abbreviato condizionato e, in subordine, di giudizio abbreviato semplice, avanzata da entrambi gli imputati, motivando il diniego col fatto che la domanda non era stata firmata dagli imputati e, comunque, dal verbale d’udienza del 22 aprile 2008 davanti al Giudice per le indagini preliminari, risultava che il difensore di entrambi i B., alla presenza dei suoi assistiti, dopo la reiezione della domanda di giudizio abbreviato condizionato, aveva chiesto che fosse dato corso al giudizio immediato promosso dal PM. Nel merito, previo integrale rinvio alla motivazione del Tribunale, ritenuta logica ed esauriente in punto a ricostruzione del fatto sulla base degli elementi acquisiti nell’istruzione dibattimentale, la Corte di appello ha considerato pienamente provata, per quanto qui interessa, la responsabilità degli imputati per il delitto di concorso nel tentato omicidio dei verbalizzanti, marescialli F. F. e M.S. e carabiniere S. G., i quali erano intervenuti per bloccare B. P., concorrente nei reati contestati agli imputati ma giudicato separatamente con rito abbreviato, mentre quest’ultimo riceveva da G.L., derubato del proprio furgone nel mattino dello stesso (OMISSIS), il prezzo di Euro 1.000,00 preteso in cambio della restituzione degli effetti personali (chiavi e portafogli contenente documenti e denaro), che si trovavano sul veicolo sottratto.

Il furgone, peraltro, era stato già casualmente ritrovato dal derubato poche ore dopo la sua sottrazione, seguendo la scia lasciata dai ladri, i quali avevano fatto cadere lungo la strada parte del carico del mezzo, prima di abbandonarlo senza i predetti effetti personali, tra cui un’agendina dove era annotato il numero del telefono cellulare in uso al fratello del G., il quale era stato subito contattato dai malviventi che avevano imposto al derubato, per la restituzione dei suoi averi, il pagamento della suddetta somma da eseguire nel piazzale antistante l’ospedale di (OMISSIS).

Il G. aveva, allora, tempestivamente denunciato l’intera vicenda ai Carabinieri di Lamezia Terme, i quali avevano organizzato un servizio di intervento nel luogo indicato per la consegna del denaro, nel pomeriggio del medesimo giorno, sorprendendo B. P. nel compito di esattore e individuando B. L. e B.F., rispettivamente padre e figlio, mentre, appostati su una collinetta limitrofa al piazzale dell’ospedale e delimitata nella parte più alta da un muretto in cemento armato sovrastato da una ringhiera, al di là della quale era insediato un campo nomadi, svolgevano il compito di vedette per proteggere il complice, sostando nei pressi di un varco aperto nella suddetta recinzione.

Secondo la ricostruzione della Corte di appello, conforme a quella più analiticamente esposta nella sentenza del Tribunale, al momento dell’intervento dei marescialli, F. e M., scesi dall’auto civetta sulla quale si trovavano per bloccare B. P., i militari, subito riconosciuti, sentirono il fuggitivo e i due uomini di vedetta gridare di ricorrere alle armi e videro le braccia di altre persone, al di là del varco nella recinzione, mentre passavano un’arma più grande individuata in un fucile e una più piccola percepita come una pistola ai due uomini-sentinella, i quali si misero in posizione di tiro.

Immediatamente dopo, nel corso del concitato inseguimento di B.P., attraverso aiuole e veicoli parcheggiati sul piazzale, i carabinieri udirono distintamente alcuni spari che attinsero due veicoli in sosta: un’Alfa Romeo 147, colpita sul parabrezza e in prossimità del proiettore anteriore sinistro, proprio mentre il maresciallo F. tentava di aggirarla per raggiungere il fuggitivo; e un autocarro marca Tata Pik-Up attinto allo specchietto retrovisore esterno lato sinistro.

I colpi sparati in rapida successione furono complessivamente quattro, di cui i primi due nella fase iniziale dell’inseguimento da parte del F., il terzo mentre il maresciallo M., appena risalito in macchina, stava tentando di raggiungere il collega, e il quarto al momento dell’intervento del carabiniere S., a bordo della seconda auto civetta, nel frangente in cui, dopo avere messo al sicuro il G., spingendolo nell’autovettura con la quale era arrivato sul posto e intimandogli di rifugiarsi in caserma, si era messo a sua volta sulla traiettoria di fuga di B.P. in direzione del pronto soccorso dell’ospedale, per dare man forte ai col leghi.

Tutti e tre i verbalizzanti, secondo la Corte e il Tribunale, avevano avuto modo di vedere distintamente, nella concitata azione, i due uomini di vedetta sulla col li netta e, quindi, erano stati in grado di identificarli con piena attendibilità negli attuali imputati, B.L. e B.F., peraltro già noti al carabiniere S..

Nell’immediatezza del fatto, tuttavia, i tre malviventi erano riusciti a fuggire: l’arresto di B.P. era avvenuto poche ore dopo, verso le 22 di quello stesso giorno, mentre gli altri due B., compiutamente identificati con le loro generalità negli uffici dei CC anche tramite foto segnaletiche, erano stati denunciati otto giorni dopo il fatto ed era stata loro applicata la misura della custodia cautelare in carcere.

Riguardo all’elemento psicologico del contestato delitto di tentato omicidio, la Corte d’appello, dopo avere diffusamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione in tema di dolo alternativo nel reato di tentato omicidio, ha ritenuto che l’accertata esplosione da parte degli imputati di più colpi di arma da fuoco all’indirizzo dei CC posti all’inseguimento del loro complice, a distanza ravvicinata e ad altezza d’uomo, come desumibile dalle parti dei veicoli attinti, dimostrasse che gli stessi ebbero la piena consapevolezza di compiere un’azione diretta a cagionare la morte o il grave ferimento dei militari, e vollero, alternativamente, realizzare entrambi i risultati.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, il 4 maggio 2010, l’avvocato Pietro Chiodo, per entrambi gli imputati, B.L. e B.F., e, il 13 maggio 2010, l’avvocato Lucio Canzoniere per il solo imputato B.F..

L’avvocato Pietro Chiodo deduce due titoli di motivi:

a) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento dei fatti ( art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e));

b) inosservanza o erronea applicazione delle norme penali o di altre norme integrative ( art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), e, in particolare, violazione dell’art. 192 c.p.p. relativamente alla valutazione della c.d. prova di reità. 2.1 Il ricorrente denuncia, innanzitutto, l’inattendibilità dell’individuazione degli attuali imputati come autori del contestato delitto di tentato omicidio, per le gravi ed inemendabili discrasie logico-narrative nelle deposizioni dei CC circa le modalità da loro seguite per procedere all’identificazione di B.L. e B.F..

I verbalizzanti, infatti, nonostante la riferita completa identificazione dei due sparatori alle ore 4 del mattino del 2 ottobre 2007, avvenuta in caserma con l’ausilio di foto segnaletiche, e, quindi, poche ore dopo i fatti che si fanno risalire alle 19,20 circa del precedente 1 ottobre, hanno, tuttavia, proceduto alla denuncia degli attuali imputati, B.L. e B. F., oltre una settimana dopo i fatti, e ciò in violazione, secondo il ricorrente, di precisi doveri d’ufficio e omettendo di eseguire la prova dello stub per l’accertamento di eventuali particelle di polvere da sparo sulle loro persone, nonostante l’immediato riconoscimento.

La sentenza d’appello, sul punto, uniformandosi alla motivazione della decisione di primo grado, avrebbe acriticamente recepito l’inconsistente giustificazione offerta dal maresciallo F. durante il suo esame dibattimentale, a proposito della strategia investigativa che avrebbe guidato i carabinieri nello svolgimento delle indagini, senza alcun specifico esame delle critiche difensive all’anomalo modus operandi seguito dai CC nell’occasione.

L’inattendibilità della medesima identificazione sarebbe, inoltre, confermata dalla circostanza che l’iniziale comunicazione di notizia di reato era a carico del solo B.P. e di "ignoti" complici e che, nell’immediatezza del fatto, fu fermato B. A. (fratello dell’imputato B.F.) e trattenuto in caserma per ben sette ore prima del suo rilascio, donde l’evidente incertezza dei CC nell’individuazione degli autori della sparatoria.

Anche le circostanze di tempo e di luogo del fatto sarebbero in contrasto con la chiara visione degli sparatori da parte dei verbalizzanti, tenuto conto dell’ora già serale in cui si svolse l’azione (il sole, il 1 ottobre, tramonta alle ore 17,54); della rilevante distanza esistente tra gli sparatori e i CC (circa 35 metri come dichiarato dagli stessi carabinieri); e dell’estrema rapidità della condotta criminosa.

Il ricorrente sostiene, in sintesi, che l’anomalia metodologica e l’inverosimiglianza logica dell’identificazione degli attuali imputati da parte degli investigatori, vittime del presunto tentativo di omicidio, non sarebbe stata oggetto di vaglio critico da parte della Corte d’appello, spingendosi ad affermare che i verbalizzanti non avrebbero in realtà mai riconosciuto i presunti sparatori nè nell’immediatezza del fatto, nè il giorno successivo, ma li avrebbero individuati solo col senno di poi, ovvero artificiosamente, sulla base della costituzione spontanea di B.P. e di un mero sospetto di complicità dei congiunti di quest’ultimo.

2.2 La motivazione dell’Impugnata decisione, inoltre, sarebbe carente, contraddittoria e manifestamente illogica anche nella parte in cui sostiene che B.F. avrebbe sparato con una pistola, sebbene all’esito del sopralluogo siano stati rinvenuti sul luogo del delitto soltanto bossoli di fucile, il cui uso, in sentenza, risulta pacificamente attribuito all’altro imputato, B.L..

2.3 Nella sentenza d’appello mancherebbe, altresì, la motivazione della volontà omicida, anche sotto la forma del c.d. dolo eventuale, che, nel caso in esame, avrebbe dovuto essere escluso, non essendovi alcuna prova che i colpi (i quali, comunque, non colpirono neppure di striscio i CC) furono esplosi ad altezza d’uomo, risultando dagli atti che fu colpito lo specchietto retrovisore esterno di un’autovettura, posto a meno di un metro da terra e, quindi, sicuramente ad altezza degli arti inferiori e non di organi vitali dei CC impegnati nell’inseguimento di B.P., circostanza, quest’ultima, anch’essa completamente pretermessa nella motivazione della decisione impugnata.

2.4 Parimenti immotivata sarebbe, infine, la sentenza con riguardo al rigetto della richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche a favore di B.F. per i suoi precedenti penali.

Il difensore chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza d’appello, con ogni effetto e statuizione di legge.

3. L’avv. Lucio Canzoniere per il solo imputato B. F. deduce tre motivi.

3.1 Col primo denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per violazione del diritto di difesa, derivante dalla nullità dell’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Lamezia Terme in data 22 ottobre 2008 (in realtà il 22 aprile 2008), con la quale fu negato l’accesso dell’imputato al giudizio abbreviato, ingiustamente privato quindi della diminuente prevista per la scelta del suddetto rito.

Espone, in particolare, il ricorrente che B.F., con istanza del 20 marzo 2008, personalmente richiese la definizione del procedimento con il giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria o, in subordine, col giudizio abbreviato semplice.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lamezia Terme, il quale, su richiesta del Pubblico Ministero, aveva già emesso il decreto di giudizio immediato, fissò allora l’udienza del 22 aprile 2008 per l’esame della domanda sul rito, e, all’esito, respinse l’istanza del B. di giudizio abbreviato condizionato senza disporre, tuttavia, l’abbreviato semplice pur richiesto, in via subordinata, dall’imputato.

Successivamente il Tribunale e la Corte di appello rigettarono, rispettivamente, l’eccezione difensiva di nullità del decreto che disponeva il giudizio immediato e della prima sentenza di condanna, con la motivazione che il difensore di B.F., presente all’udienza del 22 aprile 2008 in cui non fu accolta la domanda di giudizio abbreviato condizionato, chiese di darsi seguito al giudizio immediato, donde la ritenuta implicita rinuncia alla subordinata istanza di giudizio abbreviato semplice.

Siffatta motivazione, secondo il ricorrente, si pone in contrasto con le norme applicabili in materia, sia perchè la richiesta (come la rinuncia) del giudizio abbreviato postula la procura speciale dell’imputato, e non può quindi provenire dal difensore non munito di essa; sia perchè la prevalente giurisprudenza di legittimità nega la stessa revocabilità dell’istanza di giudizio abbreviato, una volta che sia stata formulata, e ciò anche prima del provvedimento ammissivo del Giudice, peraltro dovuto nel caso di richiesta di giudizio abbreviato semplice.

La nullità, dunque, dell’ordinanza emessa dal GIP il 22 aprile 2008 avrebbe prodotto, a cascata, quella del decreto di giudizio immediato, della sentenza di 1^ grado e della sentenza d’appello, con ogni conseguenza di legge, per illegittima compressione del diritto del ricorrente ad accedere ad un rito alternativo, implicante, nel caso di condanna, la riduzione della pena a norma dell’art. 442 c.p.p..

Sempre nel primo motivo di ricorso, con riguardo all’ipotesi di mancato accoglimento della principale conclusione di declaratoria di nullità della sentenza impugnata, il difensore chiede che venga comunque applicata al suo assistito la diminuzione della pena di 1/3 per l’ingiusta negazione del rito abbreviato, con rideterminazione di essa, previo annullamento della sentenza ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), a cura di questa stessa Corte, non dovendo procedersi a valutazioni di merito.

3.2 Col secondo motivo l’avvocato Lucio Canzoniere denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione agli artt. 56 e 575 c.p. e art. 192 c.p.p., per avere l’impugnata sentenza, ripercorrendo pedissequamente l’iter argomentativo della sentenza di primo grado, ritenuto nei fatti di causa contestati al capo c) dell’imputazione la ricorrenza dell’ipotesi di tentativo di omicidio, pur in presenza di elementi di segno contrario.

Quest’ultimi consistono, secondo il ricorrente, nel fatto che non può affermarsi con certezza che B.F. fosse munito di una pistola, come ipotizzato nel capo di imputazione, e con essa abbia esploso dei colpi, posto che sul luogo teatro dei fatto furono rinvenuti solo due bossoli di fucile, imbracciato da B. L..

Il ritenuto dolo alternativo, inoltre, sarebbe stato affermato, nella sentenza impugnata, sulla base del mero testuale richiamo di alcune massime di questa Corte di cassazione, senza alcuna considerazione delle contrarie argomentazioni difensive e arbitrariamente fondando sul mero utilizzo di un’arma da fuoco, nel contesto descritto, una sorta di presunzione di sussistenza del dolo diretto alternativo, compatibile con la struttura del tentativo criminoso.

La Corte territoriale, in particolare, si sarebbe limitata a motivare l’idoneità degli atti e non anche la loro direzione univoca contro le persone dei militari, tenuto conto che essi furono esplosi a distanza considerevole e in condizioni di tempo e luogo non puntualmente valutate dal decidente per stabilire, anche in assenza di accertamenti rigorosi, la traiettoria dei colpi, restando dunque ragionevole l’ipotesi alternativa che la reale volontà degli agenti fosse solo quella di ostacolare la cattura del complice.

Sulla base delle argomentazioni svolte col secondo motivo, il ricorrente chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata, non essendo ipotizzarle la partecipazione di B.F. al delitto di tentato omicidio in mancanza di prova che lo stesso abbia sparato o, comunque, istigato il concorrente, B.L., a farlo.

3.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il mancato riconoscimento, a favore di B.F., della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 c.p., sostenendo che il suo ruolo fu assolutamente marginale nell’intera vicenda, e, in particolare, sia nella fase delle trattative con la persona offesa, sia nel corso della sparatoria, non risultando provata l’esplosione di colpi di arma da fuoco da parte dello stesso B.F.. Afferma il ricorrente che l’impugnata sentenza avrebbe, al riguardo, valorizzato circostanze del tutto inconferenti all’esclusione dell’invocata attenuante, limitandosi ad evidenziare, solo in termini probabilistici, la circostanza che B.F. avesse puntato una pistola contro i verbalizzanti, di per sè insufficiente a giustificare la negazione della ripetuta attenuante.

Per tutti i predetti motivi anche il secondo ricorrente chiede, quindi, l’annullamento dell’impugnata sentenza con ogni conseguenza di legge.
Motivi della decisione

4. I motivi di entrambi i proposti ricorsi non meritano accoglimento.

4.1 La prima censura da esaminare in ordine logico-giuridico, proposta dal solo difensore di B.F., attiene a pretesa nullità processuale per violazione delle disposizioni che impongono al giudice di ammettere a giudizio abbreviato l’imputato che ne faccia richiesta incondizionata, a norma dell’art. 438 c.p.p., comma 4, assumendo il ricorrente che entrambi i B. richiesero il suddetto rito alternativo, seppure subordinatamente alla domanda (respinta) di giudizio abbreviato con integrazione probatoria.

Il motivo è infondato.

Osserva la Corte, innanzitutto, che il vizio denunciato, ove accertato, non sarebbe comunque sanzionato con la nullità della sentenza derivante dalla nullità del decreto che dispose il giudizio, come ritenuto dal ricorrente in contrasto col principio della tassatività della nullità degli atti del procedimento, sancito dall’art. 177 c.p.p., ma determinerebbe soltanto l’applicazione della riduzione della pena prevista per il rito abbreviato arbitrariamente escluso, a norma dell’art. 442 c.p.p..

Nel merito della denunciata violazione processuale, la sentenza impugnata, insieme ad un elemento che non trova riscontro negli atti (mancata sottoscrizione della richiesta di giudizio abbreviato, in realtà firmata da B.F. e personalmente formulata da B.L. analfabeta), valorizza un dato che è, invece, confermato dalla lettura del verbale dell’udienza tenutasi davanti al giudice per le indagini preliminari, il 22 aprile 2008, consistente nella richiesta del comune difensore degli imputati, subito dopo il rigetto della loro richiesta di giudizio abbreviato condizionato, di procedere con giudizio immediato come da azione promossa dal pubblico ministero.

La contestuale presenza nella predetta udienza di entrambi gli imputati, i quali nulla opposero alle conclusioni del loro difensore, è stata correttamente interpretata dal Tribunale, prima, e dalla Corte d’appello, poi, come rinuncia degli stessi alla domanda di giudizio abbreviato semplice.

E’, invero, legittima la rinuncia dell’imputato al rito abbreviato finchè esso non sia stato ammesso, e deve ritenersi valida ed efficace la rinuncia effettuata dal difensore, ancorchè privo di specifico mandato, qualora l’imputato sia presente all’udienza ove essa è presentata, valendo tale presenza come implicita ratifica della volontà espressa dal difensore (c.f.r., in senso conforme sul primo punto, seppure in forma indiretta per la ritenuta inammissibilità della rinuncia dell’imputato al giudizio abbreviato che sia stato già ammesso: Sez. 1, n, 27578 del 23/06/2010, dep. 15/07/2010, Confl., comp. in proc. Azouz, Rv. 247733; e, sul secondo punto, sebbene con specifico riferimento alla rinuncia all’impugnazione ai sensi dell’art. 589 c.p.p., Sez. 2, n. 478 del 4/12/1998, dep. il 15/01/1999, Danubio, Rv. 212250).

4.2 La prima censura, formulata per entrambi gli imputati dall’avvocato P. Chiodo, denuncia il vizio di motivazione circa l’identificazione degli autori del fatto negli attuali imputati e l’illegittimo rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, sul punto, da parte del giudice dell’appello.

La doglianza è infondata.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata e coerente, ha dato ragione del fatto che i militari operanti, appostati nel luogo del concordato appuntamento tra il G. e i suoi estorsori, avevano riconosciuto senza ombra di dubbio in B.L. e B.F. i due uomini che spararono dalla col li netta sovrastante il parcheggio dell’ospedale di (OMISSIS), fondando il proprio giudizio sulle convergenti testimonianze degli stessi verbalizzanti: i marescialli, F. e M., e il carabiniere S..

Il rinvio operato dal giudice d’appello, che si pone come integrativo (e non sostitutivo), alla più approfondita analisi delle singole testimonianze contenuta nella sentenza di primo grado, dove si sottolineano anche le ottimali condizioni di luce (il fatto era già avvenuto alle 19.30, ora legale, del 1 ottobre 2007, in cui fu redatto il verbale d’ispezione locale) e di spazio totalmente libero tra aggrediti e aggressori, tali da consentire ai militari di vedere bene in viso gli antagonisti e di essere, a loro volta, immediatamente riconosciuti, deve ritenersi legittimo, considerato altresì che, in sede di appello, gli imputati si limitarono a riproporre le stesse critiche all’attendibilità delle testimonianze dei verbalizzanti già formulate in primo grado, e puntualmente e coerentemente valutate dal Tribunale nella ricognizione della prova specifica (sulla ammissibilità della motivazione della sentenza di appello "per relationem" a quella impugnata, ove le censure della sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, non essendo il giudice di appello tenuto a riesaminare una questione sommariamente riferita dall’appellante nei motivi di gravame sulla quale si sia soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte e senza vizi logici, non specificamente e criticamente censurate: Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008, dep. 14/10/2008, Raso, Rv. 241062; Sez. 5, n. 39080 del 23/09/2003, dep. 15/10/2003, Fabrizi, Rv. 226230; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, dep. 23/03/2000, Re Carlo, Rv. 215722; Sez. 6, n. 10583 del 18/09/1992, dep. 03/11/1992, Sibillano, Rv. 192134).

Va aggiunto che la pretesa omessa analisi di specifici elementi critici dell’identificazione, ravvisati dal difensore nella circostanza che i due imputati furono denunciati all’AG circa otto giorni dopo i fatti e senza procedere all’esame dello STUB nell’immediatezza degli spari, attinge elementi non decisivi per neutralizzare o svilire la prova specifica, che, nella fattispecie, attraverso le riferite convergenti testimonianze dei tre verbalizzanti, è stata raggiunta, come rilevato dal giudice di merito, con chiarezza e univocità.

Si richiama, al riguardo, l’ulteriore giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la denunzia di incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789).

4.3 Analoghe considerazioni di infondatezza valgono per il denunciato vizio di motivazione, prospettato in entrambi i ricorsi, con riguardo allo sparo di colpi di pistola attribuito, in sentenza, a B. F., sebbene, sul luogo teatro del fatto, siano stati rinvenuti solo bossoli di fucile, arma che, secondo le testimonianze dei verbalizzanti, fu usata esclusivamente da B.L..

I tre militari, come indicato dal giudice di merito, videro distintamente entrambi gli uomini di vedetta ricevere armi, una più grande e l’altra più piccola, dagli amici che erano al di là della recinzione superiore della collinetta, e videro altresì entrambi gli antagonisti mettersi in posizione di tiro e sparare contro di loro.

Il mancato rinvenimento delle due armi e dei bossoli di pistola non è, dunque, argomento decisivo, come già ritenuto dal giudice di merito, per elidere o rendere insufficiente la solida prova specifica emergente dalle ripetute, puntuali e coerenti, testimonianze dei verbalizzanti.

4.4 Ulteriore motivo di gravame, anch’esso proposto da entrambi i difensori attiene al vizio di motivazione e, comunque, alla violazione della legge penale, con riguardo alla ritenuta sussistenza, materiale e psicologica, del delitto di tentato omicidio in concorso, che, sul piano materiale, non troverebbe supporto nella direzione degli spari tale da non poter attingere i militari, e, perciò, effettuata a solo scopo intimidatorio, e, comunque, sarebbe da escludere per B.F., non essendo certo che lo stesso abbia sparato per mancato rinvenimento dei bossoli di una seconda arma; mentre, sul piano psicologico, risulterebbe fondata su una sorta di presunzione di sussistenza di dolo diretto alternativo in ogni caso di utilizzo di un’arma da fuoco in contesti miranti ad assicurare l’impunità agli autori di un reato.

Il motivo è infondato.

Non sussiste il vizio di motivazione quanto alla prova generica del fatto, poichè, come puntualmente illustrato nelle decisioni dei giudici di merito, le cui motivazioni anche sul punto si integrano, gli spari furono indirizzati proprio nei confronti dei verbalizzanti mentre inseguivano l’esattore del prezzo dell’estorsione, il coimputato, B.P., rincorrendolo attraverso le autovetture parcheggiate nel piazzale, significativamente attinte ad altezza uomo (parabrezza e proiettore anteriore sinistro dell’Alfa Romeo 147 e specchietto retrovisore dell’autocarro marca Tata Pik- Up).

Riguardo all’elemento psicologico del delitto, esclusa la compatibilità col delitto tentato del dolo eventuale, erroneamente evocato dal primo difensore ricorrente ma non affermato nella sentenza impugnata, è stato riconosciuto nel fatto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, il dolo diretto alternativo, compatibile invece col tentativo di omicidio, per avere gli imputati, sparando reiteratamente contro i militari postisi all’inseguimento del correo e attingendo bersagli prossimi agli operanti in concomitanza col loro passaggio, voluto alternativamente il grave ferimento o l’uccisione dei tutori dell’ordine, l’uno e l’altro evento non verificatosi per cause indipendenti dalla loro volontà (sulla compatibilità col tentativo del dolo alternativo: Sez. 1, n. 11521 del 25/02/2009, dep. 16/03/2009, D’Alessandro, Rv. 243487; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 05/02/2009, De Montis, Rv. 243370;

Sez. 1, Sentenza n. 27620 del 24/05/2007, dep. 12/07/2007, Mastrovito, Rv. 237022).

4.5 Restano da esaminare gli ultimi due motivi che riguardano il solo B.F.: nel ricorso proposto dall’avvocato P. Chiodo, si lamenta il vizio di motivazione con riguardo alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche; nel ricorso dell’avvocato L. Canzoniere, si denuncia analogo vizio per il mancato riconoscimento dell’attenuante del contributo di minima importanza nell’esecuzione del reato, ai sensi dell’art. 114 c.p., comma 1.

I motivi sono inammissibili perchè generici e manifestamente infondati.

La negazione delle circostanze attenuanti generiche ha, infatti, trovato idonea motivazione, nella sentenza impugnata, che ha richiamato la recidiva specifica infranquinquennale, ai sensi dell’art. 99 c.p., commi 1, 2 e 3, contestata allo stesso imputato;

mentre la pur esaminata attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1, è stata esclusa, con motivazione adeguata e coerente, per il ruolo non marginale svolto da B.F. nella commissione del delitto in esame, risultando provato che egli, non diversamente dal padre, B.L., contrastò con le armi i carabinieri che stavano inseguendo il complice, fornendo dunque un contributo causale di non minore rilevanza rispetto a quello del coimputato.

5. Segue il rigetto di entrambi i ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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