Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-12-2010) 26-01-2011, n. 2663 Attenuanti comuni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Assise d’Appello di Firenze, con sentenza deliberata il 17 marzo 2010, riformando limitatamente al trattamento sanzionatorio quella emessa dal GUP della sede il 4 marzo 2009 ed impugnata da P.L., riduceva, in ragione delle già riconosciute attenuanti generiche e della diminuente della scelta del rito, ad anni dodici di reclusione la pena inflitta al predetto appellante, siccome colpevole dell’omicidio di T.M.A.A., di nazionalità (OMISSIS), ritrovato morto, all’interno del suo appartamento in (OMISSIS), dai Carabinieri del Nucleo Operativo del Comando Provinciale, ed il cui decesso, secondo gli accertamenti medico-legali espletati, doveva farsi risalire tra il (OMISSIS), e da attribuirsi alla "letale sinergia" tra un grave traumatismo cranio facciale – compatibile con una azione lesiva di un oggetto contundente (verosimilmente uno sgabello macchiato di sangue, rinvenuto in loco) ed il meccanismo asfittico subito a causa della costrizione del collo dalla vittima, trovato disteso a terra con mani e piedi legate dietro la schiena, secondo la tecnica così detta dell’"incaprettamento". 1.1. La Corte territoriale – premesso che l’omicidio, era maturato nell’ambiente della prostituzione omosessuale, essendo il T., secondo quanto emerso all’esito delle indagini, solito accompagnarsi a giovani extracomunitari, specie di origine (OMISSIS), che portava spesso nella sua abitazione per avere con loro rapporti sessuali, a volte dietro contropartita in denaro ed altro, a volte, offrendo loro ospitalità e cibo, e che la responsabilità del P. doveva ritenersi certa, avendo lo stesso imputato, raggiunto dalle attendibili e precise dichiarazioni accusatorie del fratello D., finito con l’ammettere di aver conosciuto il T., per il tramite di un altro fratello, F., che gli aveva procurato l’incontro, e di essersi recato a casa del (OMISSIS), per potersi fare una doccia, ma a suo dire, senza aver pattuito alcuna prestazione sessuale, e di aver effettivamente picchiato il T., che cadendo aveva urtato contro lo sgabello, e di averlo poi completamente legato, ma solo perchè fortemente adirato nei suoi confronti, in quanto il (OMISSIS), dopo averlo completamente denudato durante il sonno ed iniziato una "fellatio", gli aveva pure comunicato che era sua intenzione sodomizzarlo – disattendeva tutte le argomentazioni difensive, salvo quella relativa all’errata determinazione della pena, diretta al riconoscimento, nell’ordine, della causa di giustificazione della legittima difesa ovvero dell’attenuante della provocazione e del concorso del fatto doloso della persona offesa ( art. 62 c.p., n. 5). In particolare la corte territoriale:

– con riferimento alla prima richiesta, escludeva che all’imputato potesse riconoscersi la scriminante della legittima difesa, in quanto, anche volendo ritenere verosimile la prospettazione difensiva secondo cui l’imputato non aveva concordato alcuna prestazione sessuale con il T., men che meno quella di subire un rapporto anale, e che lo stesso non si sarebbe immediatamente avveduto delle manovre poste in essere dalla vittima (la "fellatio"), difettava comunque l’elemento dell’offesa ingiusta, non emergendo neppure dalle dichiarazioni del P., che il T. avesse posto in essere una qualche violenza fisica per costringerlo a subire il rapporto asseritamene non voluto, sicchè la reazione violenta dell’imputato non poteva ritenersi in alcun modo determinata dalla necessità di difendersi da una ingiusta aggressione della propria sfera sessuale;

– con riferimento al diniego dell’attenuante della provocazione, escludeva l’esistenza di un nesso causale tra il fatto ingiusto e la condotta dell’imputato, valorizzando al riguardo la sproporzione "molto consistente" obiettivamente ravvisatile tra la proposta sessuale, sia pure non gradita, e la reazione violenta del P.;

– con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 5, che doveva escludersi che la condotta del T. potesse considerarsi una concausa, anche sul piano psicologico, del delitto, sol perchè lo stesso risultava aver in casa un libro, da lui certamente letto, in cui si poneva in evidenza la possibilità che giovani stranieri clandestini, costretti per bisogno a prostituirsi, potessero commettere omicidi ai danni degli uomini che ne avevano comprato i favori, trattandosi di circostanza inidonea a far ritenere che egli "avesse voluto o quanto meno accettato il rischio di fare quella fine tremenda che ebbe in effetti a fare", potendo nella condotta della persona offesa ravvisarsi, al più, una particolare imprudenza nel ricercare contatti di quella natura;

circostanza, comunque, ritenuta certamente inidonea ad attenuare la responsabilità dell’imputato, nè sotto il profilo della gravità del fatto, nè sotto quello della graduazione della pena.

Per quanto riguarda, infine, il trattamento sanzionatorio, i giudici di appello hanno evidenziato che in effetti il giudice di prime cure aveva errato nell’individuare in anni 27 di reclusione la pena base, risultando contestato al P. l’omicidio non aggravato, delitto punibile con una pena compresa tra un minimo di anni 21 ed un massimo di anni 24 di reclusione, individuata in concreto come pena base, tenuto conto delle modalità esecutive particolarmente odiose del delitto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P., personalmente, chiedendone l’annullamento.

2.1 In particolare nel ricorso si deduce, con il primo motivo d’impugnazione, la illegittimità della sentenza impugnata, per violazione della legge penale ( art. 52 c.p.) e vizio di motivazione, In relazione al mancato riconoscimento della legittima difesa.

Sostiene infatti l’Imputato che risultano incomprensibili le ragioni dell’esclusione dell’invocata causa di giustificazione, tenuto conto della costante, logica e coerente versione dei fatti da lui fornita nel processo, in cui si precisava che egli – totalmente estraneo all’ambiente della prostituzione maschile, a differenza dei fratelli F. e D. – non aveva raggiunto alcun accordo con il T., in merito a prestazioni di tipo sessuale e, quel che più conta, aveva anzi immediatamente espresso un chiaro rifiuto, non appena comprese le effettive intenzioni del (OMISSIS), che aveva approfittato della sua condizione di particolare stanchezza provocata dall’aver dormito per giorni, praticamente all’aperto, ad avere con lui un secondo rapporto – di natura anale – rimarcando, al riguardo, che tale particolare trovava, conferma anche nelle dichiarazioni accusatorie del fratello D..

2.1.1. Quanto poi alla legittimità della reazione, nel ricorso si denuncia la contraddittorietà della motivazione sul punto, che mentre riconosce, da un lato, il fatto ingiusto della vittima, addebita poi al P., che non parlava l’italiano e che per la prima volta da giorni, si trovava in un appartamento a lui sconosciuto, in una situazione di irregolarità, e che versava oltretutto in una condizione di minorata difesa anche in ragione del carattere improvviso ed imprevisto della condotta del T., estrinsecatasi anche in atti di costrizione sessuale e fisica, di non essersi limitato ad esprime un rifiuto verbale ma di aver intrapreso con il (OMISSIS) una colluttazione, per impedire allo stesso di raggiungere, ad ogni costo, il suo appagamento sessuate.

La reazione del P., si afferma in ricorso, fu quindi posta in essere per difendere la propria libertà sessuale da un’offesa ingiusta in atto, anche a costo di mettere a rischio l’incolumità dell’aggressore, situazione del tutto conforme, a ben valutare, a quella descritta dall’art. 2, lett. a) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

2.2 Con il secondo motivo d’impugnazione si censura il mancato riconoscimento della provocazione e del concorso della persona offesa, evidenziandosi, al riguardo, per un verso, che il rapporto sessuale di tipo orale, consumato, e quello preteso, di tipo anale, furono vissuti dall’imputato come un affronto, una violazione, una violenza sessuale; e, sotto altro profilo, come eventi del tutto inaspettati, tali da determinare una reazione assolutamente incontrollata, facendo cadere nel contempo ogni forma di inibizione e provocando un sentimento di paura e smarrimento tali da far compiere all’imputato azioni tanto atroci quanto inutili, comunque finalizzate a neutralizzare il T.. Proprio la mancata valutazione di tali circostanze ha indotto la Corte territoriale, secondo il ricorrente, ad escludere l’esistenza di un nesso causale tra la condotta della persona offesa, che dopo aver carpito un rapporto sessuale improvvisato, ne prevedeva uno ulteriore ed indesiderato, e la comprensibile reazione dell’imputato, determinato ad impedire che ciò accadesse.

2.2.1 Quanto poi al dedotto concorso della persona offesa nella causazione, in ricorso si censura la decisione di escludere la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5, ritenuta illogica e contraddittoria, emergendo dal complesso dell’attività istruttoria espletata, ed in particolare dal ritrovamento nella sua abitazione di un libro dedicato agli omicidi di omosessuali, il chiaro ritratto del T., come un "cacciatore di sesso", desideroso di incontri con giovani "rozzi e violenti" che pure disprezzava, e che lo rendevano particolarmente imprudente nella ripetuta ricerca degli stessi, posta in essere con la piena consapevolezza dei seri rischi per la sua incolumità che siffatti incontri comportavano.

2.3 Con l’ultimo motivo di impugnazione, il ricorrente denuncia, infine, la violazione del divieto di reformatio in pejus sancito dall’art. 597 c.p.p., in quanto mentre il giudice di primo grado aveva determinato la pena base in misura inferiore al massimo edittale (erroneamente individuato, per altro in anni 30 di reclusione) i giudici di appello hanno considerato come pena base il massimo edittale di pena, così infliggendo all’appellante, un trattamento sanzionatorio proporzionalmente e concretamente peggiore rispetto al precedente.
Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta personalmente da P.L. è basata su motivi infondati e va per ciò rigettata.

1.1 – Con riferimento alle censure formulate in ricorso dirette a confutare l’esclusione dell’esimente della legittima difesa e la mancata applicazione dell’attenuante della provocazione e di quella prevista dall’art. 62 c.p., n. 5, il Collegio deve rilevare, infatti, che le stesse, lungi dal denunziare lacune ed incongruenze effettivamente sussistenti nel percorso argomentativo sviluppato dai giudici di appello, si limitano a riproporre, senza prospettare alcun significativo elemento di novità, delle questioni già esaminate e decise dai giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici.

1.1.1 – Ed invero – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – i giudici di merito hanno fornito più che adeguate e logiche spiegazioni delle ragioni per cui al P. non poteva riconoscersi l’invocata esimente, ricollegando le proprie statuizioni sul punto, a precise risultanze processuali, quali la differenza di età e di prestanza fisica esistente tra imputato e vittima nonchè, in primo luogo, alla circostanza che neppure l’imputato aveva riferito di aver subito un’aggressione dal (OMISSIS) "in senso tecnico", sicchè, anche volendo ritenere imprevista e insultante la richiesta di un nuovo rapporto sessuale formulata dal T., e ciò nonostante il particolare contesto ambientale in cui la stessa venne formulata, ciò non escludeva, comunque, che il P. abbia reagito alla stessa con violenza inaudita, "non certamente per la necessità di difendersi da una ingiusta aggressione della sua sfera sessuale, ma per la grande rabbia che in lui questa proposta aveva provocato".

In presenza di un percorso motivazionale sintonico, articolato, logico ed aderente alle risultanze processuali, in questa sede solo sommariamente illustrato, le pur articolate e suggestive argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, secondo cui il P. avrebbe reagito ad una ingiusta coercizione della sua libertà sessuale subita ad opera dalla vittima, lungi dal segnalare effettivi vizi motivazionali, non superano la soglia della ricostruzione alternativa e meramente congetturale.

1.1.2 – Quanto poi alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione, è agevole rilevare che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, da tempo affermato da questa Corte proprio con riferimento all’Invocata attenuante, secondo cui "incombe all’imputato l’onere di provare gli elementi di fatto idonei a giustificare la concessione dell’attenuante della provocazione", non potendo evidentemente l’applicazione dell’attenuante prescindere dall’allegazione di elementi certi e verificabili e fondarsi su semplici asserzioni dell’imputato, e ciò specie ove si consideri che nei caso in esame, dalle stesse dichiarazioni dell’imputato non si evince che il T., al di là della formulazione di una proposta ritenuta inaccettabile ed offensiva dell’imputato, abbia posto in essere "una vera e propria violenza sessuale" (in termini, Sez. 1, Sentenza n. 11508 del 7/6/1977, Rv. 136825).

1.1.3 – Quanto, poi, alle censure mosse alla sentenza impugnata in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 5, per evidenziarne l’infondatezza è sufficiente rilevare che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente univoca nel ritenere che per l’applicazione di tale attenuante "non è sufficiente che la condotta della persona offesa si inserisca nella serie causale determinativa dell’evento ai sensi dell’art. 41 c.p., ma è altresì necessario che essa sia collegata con la condotta del colpevole anche sul piano della causalità psicologica, oltre che su quello della causalità materiale, nel senso che l’offeso deve avere voluto lo stesso evento avuto di mira dal soggetto attivo del reato", avendo precisato, in particolare che "dovendo la volontà della persona offesa convergere verso lo stesso accadimento che la sua condotta concorre a determinare, non basta ad integrare la detta attenuante una qualsiasi determinazione volitiva antigiuridica della stessa" (in termini, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 9352 del 9/5/1994 dep. 31/8/1994, imp. La Vergata, Rv. 199834).

1.2 – Infondato deve ritenersi, infine, anche l’ultimo motivo d’impugnazione relativo al trattamento sanzionatorio, dovendo escludersi che i giudici di appello abbiano riservato al P. un trattamento "peggiore rispetto a quello inflitto in primo grado".

Ed invero a prescindere dal rilievo che la pena inflitta al P. è stata comunque ridotta, il ricorrente, nel formulare le sue deduzioni, non considera, per un verso, che il giudice di primo grado, ha determinato la pena base (anni 27 di reclusione) in misura illegale, in violazione cioè dell’art. 23 c.p., ove si consideri per altro verso, che come questa Corte ha già avuto modo di precisare (in termini, Sez. 3, Sentenza n. 39882 del 3/10/2007, dep. 29/10/2007, imp. Costanzo Rv. 238009) il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 c.p.p., comma 4, "presuppone che la pena da ridurre sia stata determinata in maniera legale, ovvero in misura eguale o superiore al minimo edittale", eventualità che, come già precisato, non ricorreva affatto nel caso in esame.

2 – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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