Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 26-01-2011, n. 2804 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione B.E. avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in data 29 maggio 2009 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Il B., nella veste di amministratore di fatto ed effettivo titolare della srl A Team Food dichiarata fallita il (OMISSIS), è stato ritenuto responsabile della distrazione di due autovetture che erano nella materiale disponibilità della società in quanto registrate tra i beni ammortizzabili, pur non essendo ad essa intestate.

Deduce:

1) il vizio di motivazione riguardo alla attribuzione ad esso ricorrente della qualità di amministratore di fatto.

Ad una simile conclusione la Corte era pervenuta sulla base delle dichiarazioni di due testi e di un documento che, tuttavia, non provavano alcunchè. Infatti il teste P. nulla poteva avere dichiarato sulle effettive mansioni svolte dal B. all’atto della assunta distrazione (non antecedente al luglio 1997, data della concessione in comodato delle due vetture) tenuto che egli aveva svolto attività di consulente della fallita fino al 1995. La teste D.B., d’altro canto, si era limitata a deporre sulla ricezione dei due automezzi e non anche sulle funzioni svolte dal B.. Infine la stipula dei contratti di comodato delle auto da parte del B. nulla aggiungeva al già carente quadro probatorio, posto che il B. aveva sottoscritto l’atto personalmente e senza spendita di qualità. Vi era poi da considerare che all’epoca, e cioè nel 1996-1997, diversi erano gli amministratori della società ( F. e I.).

2) il vizio di motivazione sulla proprietà dei due beni.

Era stato trascurato il particolare decisivo dell’essere, i beni in questione, non intestati alla società fallenda. Essi non potevano dunque svolgere alcuna funzione di garanzia per i creditori della società sicchè il reato in contestazione si rivelava insussistente.

Non vi era prova neppure della loro effettiva sussistenza, essendo stata questa desunta da iscrizioni su registri dei beni ammortizzabili, in ipotesi anche false. Infine non era stato dato seguito alle indicazioni fornite dall’imputato per rintracciare le auto.

3) il vizio di motivazione sul diniego della attenuante L. Fall., ex art. 219.

Si trattava comunque di beni che alla data della presunta distrazione avevano un valore iscritto nel registro del 1996, di poco meno di L. 4 milioni complessivamente.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo si sostanzia in inammissibili controdeduzioni in fatto.

La sentenza impugnata contiene in vero una plausibile disamina degli elementi capaci di dimostrare che il prevenuto aveva svolto funzioni di amministratore di fatto della società fallenda, essendo state, tali prove, desunte dalle dichiarazioni di coloro che avevano collaborato con lo stesso ricorrente oltre che dal fatto che risultava da questo sottoscritto un contratto relativo a beni iscritti nella documentazione societaria.

A tali affermazioni il ricorrente oppone non già la denuncia del travisamento della prova ma la allegazione che si tratterebbe di prove da valutare differentemente. Tuttavia proprio tale richiesta risulta inammissibile nella sede della legittimità posto che la Cassazione non è deputata ad un autonomo giudizio dei risultati di prova ma al sindacato sulla valutazione che, di tali elementi, il giudice del merito abbia dato eventualmente alla luce delle contrarie deduzioni dell’imputato. Non risulta, nè la parte lo allega, che al giudice dell’appello siano stati devoluti specifici ed ammissibili motivi di gravame inerenti la inconcludenza, ai fini che ci occupano, delle dichiarazioni dei testi P. e D.B. o del contratto di comodato delle vetture.

Il secondo motivo è infondato.

La costante giurisprudenza di questa Corte non riconosce alcuna valenza decisiva, ai fini che qui interessano, al fatto che il bene sia o meno di proprietà della fallenda. Si osserva infatti che il possesso dei beni gestiti dall’imprenditore, in qualsiasi modo da lui ottenuto, li attribuisce al patrimonio dell’impresa fallita.

Pertanto, conseguita per causa atipica di negozio o in conseguenza di reato, dagli amministratori di una società, la disponibilità di beni, essi al pari di ogni altro bene patrimoniale si considerano oggetto di bancarotta fraudolenta. Ciò in quanto a seguito di fallimento si attribuiscono al patrimonio d’impresa, oltre ai diritti nascenti da rapporti suscettibili di valutazione economica, tutti i beni che hanno fatto capo all’imprenditore nella gestione della sua attività, e pertanto quelli di cui ha avuto il possesso (Rv.

213866).

Si aggiunge che il reato di bancarotta fraudolenta non è neppure escluso dal fatto che i beni distratti appartenenti alla società, poi dichiarata fallita, siano di provenienza delittuosa, in quanto deve aversi riguardo alla consistenza obiettiva del patrimonio, prescindendo dai modi della sua formazione (Rv. 229908). Deve cioè aversi riguardo alla consistenza obiettiva del patrimonio, prescindendo dai modi della sua formazione, con la conseguenza che detti beni, una volta entrati nel patrimonio della società, diventano cespiti sui quali i creditori possono soddisfare le loro ragioni (Rv. 245156).

Ciò posto, la Corte ha accertato che i beni si trovavano nella disponibilità della società essendo stati iscritti in uno dei suoi registri, senza che nessuno abbia mai allegato la fittizietà della iscrizione, con la conseguenza che tale condizione di essi è compatibile con la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Il terzo motivo è inammissibile.

La questione della attenuante non era stata articolata già dinanzi al giudice dell’appello nel rispetto dei criteri imposti dall’art. 581 c.p.p., essendo stata soltanto enunciata nelle conclusioni finali dei detti motivi di gravame. Incensurabilmente dunque la sentenza impugnata non contiene la disamina sul punto, trattandosi di motivo di gravame inammissibile già per la fase dell’appello e quindi divenuto oggetto di preclusione nel giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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