Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 26-01-2011, n. 2798

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nti di C.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione X.A., cittadino albanese in stato di restrizione personale, e C.M. avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 28 gennaio 2009 con la quale, per quello che qui interessa è stata confermata la sentenza di primo grado (emessa all’esito di giudizio abbreviato) relativamente alle imputazioni ex art. 416 c.p., commi 1 e 4, nonchè artt. 56 e 602 c.p., (Capi A e A3) quanto al primo e ex art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3, (capo C), quanto al secondo.

Le accuse ritenute provate erano quelli di avere, l’albanese, preso parte ad una associazione a delinquere transnazionale dedita alla commissione di reati attinenti allo sfruttamento della prostituzione e a favorire l’ingresso clandestino di extracomunitari, nonchè di avere fatto commercio di persone in stato di schiavitù o in condizione analoga, quanto al C., il reato individuato a suo carico era quello di avere preso parte ad altra associazione per delinquere dedita alla commissione di reati contro il patrimonio e contro la fede pubblica.

Fatti risalenti al (OMISSIS).

Lo X. deduce:

1) l’omessa valutazione, da parte della Corte, della denunciata nullità della ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare, notificata allo straniero senza traduzione nella lingua madre albanese;

2) il vizio di motivazione riguardo alla riconducibilità delle condotte delittuose accertate alla persona del ricorrente.

I giudici avevano valorizzato al riguardo elementi equivoci come il presunto utilizzo dì un cellulare da parte di soggetto chiamato col nome A. e l’individuazione, da parte della PG, a seguito di appostamento eseguito il 1 marzo 2006, dell’indagato in questione.

Era vero invece che nella ordinanza di custodia cautelare a f. 235 si da atto che nella data indicata era stato individuato altro soggetto con lo stesso cognome. Inoltre non risultano verbalizzate le modalità del riconoscimento nè risulta documentato il sequestro del telefonino in possesso del ricorrente.

3) il vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Il C. deduce:

1) il vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, pur dopo la parziale assoluzione del ricorrente dai reati sub A) e B).

2) lo stesso vizio riguardo ai criteri utilizzati per determinare la pena.

I ricorsi sono inammissibili. tale è il primo motivo formulato dallo X. considerato che oggetto del ricorso per cassazione può essere solo la sentenza (di condanna) e la ordinanza emessa nel dibattimento, unitamente alla prima ( art. 586 c.p.).

Le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip non rientrano in tale ultimo novero e sono soggette a gravame autonomamente rispetto alla definizione del giudizio, secondo la procedura prevista dagli artt. 309 e 311 c.p.p.: procedura che richiede anche la necessaria tempestività della impugnazione con riferimento al tempo della esecuzione della ordinanza che dispone la misura coercitiva.

Nella specie trattasi di misura emessa ed eseguita da alcuni anni, con la conseguenza della decadenza dalla possibilità di ricorrere avverso il titolo custodiale.

La parte, peraltro, propone la questione di nullità senza nemmeno allegare di non avere mai presentato istanza di riesame o ricorso per saltum sul punto.

Quanto al merito, si limita comunque a riproporre gli stessi motivi già proposti al giudice dell’appello e da questi motivatamente rigettati in sentenza. Il ricorso sul punto si presenta, in conclusione, inammissibile anche per genericità dal momento che non aggredisce un punto specifico della motivazione secondo lo schema imposto dall’art. 581 c.p.p..

Il secondo motivo è formulato parimenti in termini inammissibili.

La Corte di merito, rispondendo sulla medesima questione già sollevata in appello, ha affermato che non una ma due – e relativamente a diverse utenze – sono state le telefonate dalle quali si è ricavata la prova della compromissione del ricorrente nei fatti di causa.

A tale attestazione il ricorrente oppone circostanze di fatto (l’essere le utenze a lui estranee) che non possono essere, in quanto tali, direttamente apprezzabili dalla Cassazione, giudice della legittimità.

Nella presente sede è valutabile e censurabile soltanto il vizio di manifesta illogicità della motivazione o della relativa incompletezza rispetto a risultanze decisive ma non risulta che di tali vizi il ricorrente si sia doluto nelle forme previste dall’art. 581 c.p.p..

Egli era cioè tenuto ad indicare le ragioni in fatto e in diritto che, già rappresentate al giudice dell’appello, sarebbero state misconosciute ingiustamente. E a tale onere invece il ricorrente si è sottratto.

Anche il terzo motivo è formulato del tutto genericamente non apparendo che il ricorrente abbia rappresentato alla Corte di merito evenienze favorevoli e invece immotivatamente trascurate, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Il ricorso di C. è parimenti inammissibile.

Invero risulta che egli ha avanzato richiesta di attenuanti generiche nei motivi di appello e che la Corte territoriale non si è pronunciata sul punto.

E’ vero anche però che la ricostruzione della intera vicenda in termini di gravita della condotta accertata, costituisce motivazione implicita sulla ritenuta insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda.

Ma quel che appare decisivo, è che il motivo di ricorso è assolutamente generico poichè non da ragione degli specifici e comprovati elementi fatto, eventualmente utili ai fini della valutazione della concedibilità delle attenuanti generiche, che siano già stati sottoposti al giudice del merito senza che questi sia soffermato a valutarli. Non vi è stato d’altra parte alcun sensibile alleggerimento della posizione processuale del ricorrente dal punto di vista della ricostruzione del suo coinvolgimento nei fatti: il C., infatti, rispetto ai due reati addebitatigli con la sentenza di primo grado, si è visto confermare il giudizio di responsabilità per uno di essi mentre, quanto al restante, ha visto semplicemente riconoscere non la insussistenza della condotta ma il "bis in idem" con riferimento ad altra e precedente condanna.

Infine, in relazione alla pretesa assenza di motivazione sul calcolo finale della pena vi è da considerare che la motivazione non è esplicitata in sentenza perchè è sottinteso che il trattamento è stato determinato sulla base dei criteri già individuati dal primo giudice, non espressamente ed autonomamente censurati nei motivi di appello. Infatti la Corte territoriale ha operato una sensibile riduzione della pena base individuata dal Gup, per effetto della esclusione della condanna relativa al capo B), dovendo poi tenere conto della sola incidenza della diminuente per il rito, notoriamente nella misura fissa di un terzo.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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