Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 26-01-2011, n. 2796

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

quanto segue:

La CdA di Palermo, con sentenza 24.6.2009, ha confermato la pronunzia di primo grado, che aveva dichiarato D.T.D. colpevole del reato di cui all’art. 416 bis c.p., e, ritenuta la continuazione con i reati di cui a precedenti condanne, ha rideterminato la pena complessiva in anni 13 di reclusione.

Si sostiene in sentenza che il D.T., scarcerato e posto agli AA.DD., aveva assunto di nuovo la "reggenza" mafioso del "mandamento"di Resuttana.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) carenza dell’apparato motivazionale in riferimento all’art. 507 c.p.p., in relazione all’ordinanza 24.6.2009 con la quale veniva ritenuta non decisiva l’audizione del collaboratore di giustizia B.F.. La sentenza della Corte di appello esclude che l’imputato coltivasse una semplice aspirazione a divenire reggente di Resuttana. Al proposito era stata richiesta l’audizione del collaboratore di giustizia B.F., audizione che la CdA ha immotivatamente escluso;

2) ancora carenza dell’apparato motivazionale sotto il profilo del travisamento della prova relativamente al mancato ed errato utilizzo della prova costituita dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia F. e Fo.. Le parole di altri collaboratori (appunto, F. e Fo.) sono state travisate, come può evincersi dal confronto tra quanto verbalizzato con la stenotipia e quanto sostenuto in sentenza, F. infatti esclude che reggente di (OMISSIS) fosse D.T., Fo. indica il reggente in L.P.;

3) violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, relativamente alla ritenuta responsabilità del D.T. in ordine al delitto ex art. 416 bis c.p., comma 2. La responsabilità del ricorrente è stata ritenuta solo sulla base di intercettazioni eseguite in corso di indagine. Si tratta di dialoghi nei quali il D. T. non interviene mai. E’ pur vero che la giurisprudenza afferma che le intercettazioni costituiscono indizio valutabile dal giudice, ma gli indizi, come è noto, devono avere caratteristica di gravita, precisione e concordanza. In tali termini non è il caso in esame, atteso che, ad esempio, la frase, riferita al "mandamento" di (OMISSIS), "lì è in evoluzione" viene arbitrariamente interpretata nel senso che ormai il D.T. fosse diventato reggente. La sentenza è poi contraddittoria nella parte in cui, da un lato, sostiene che il precedente stato di carcerazione del D. T. non gli consentiva di sovrintendere alle dinamiche associative, dall’altro, ha sostenuto il contrario;

4) carenze dell’apparato motivazionale in relazione alla errata valutazione del documento rinvenuto il 2.2.2006 nella disponibilità di P.B.. La CdA conferisce rilievo a una comunicazione scritta asseritamene diretta dal L.P. al P., nella quale si attesterebbe che il M. aveva dato il suo consenso alla "investitura" del D.T.. La Corte però riporta la frase privandola del punto interrogativo finale, travisandone il contenuto, come si evince dal confronto con quanto riportato dalla sentenza di primo grado.

Il ricorso e infondato e merita rigetto.

La Corte siciliana ha fondato il suo convincimento su di una serie convergente di elementi, unitariamente valutati.

Il "pizzino" con il quale il destinatario viene infornato che il M. aveva dato il suo consenso alla "reimmissione in possesso" del D.T. viene considerato dai giudici del merito elemento determinate. Al proposito, il ricorrente, come si è appena ricordato, sostiene che il suo contenuto è stato travisato e frainteso dalla Corte territoriale e che ciò emergerebbe dalla lettura della sentenza di primo grado, che renderebbe palese che non di affermazione si tratta ma di frase interrogativa.

Ebbene, dalla lettura del relativo passo, che la Difesa ha offerto in copia, la circostanza (natura interrogativa dell’espressione) non si evince affatto.

Dunque non è esatto sostenere che la responsabilità del ricorrente sarebbe stata ritenuta "solo" sulla base del contenuto di conversazioni intercettate (censura sub 3).

Comunque la relativa censura poggia, essa stessa, su di un presupposto fallace, atteso che detti elementi vengono qualificati come meramente indiziari, piuttosto che probatori.

Al proposito costituisce jus receptum il principio in base la quale il contenuto di un’intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiari di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, (tra le tante: ASN 201021878 – RV 247447).

Quanto alle dichiarazioni di F. e Fo. (anche esse allegate), di esse la sentenza impugnata tratta ai foll. 7 e 8, giungendo alla conclusione che le parole del primo appaiono "vaghe e incerte", in quanto lo stesso si era affiliato solo nel 2006, mentre quelle del secondo sostanzialmente non contrastano la ricostruzione dell’accaduto fatta propria dai giudici del merito, atteso che B. fu sostituito a D.T. per volere di M., ma poi, sempre con l’assenso del M. (come il biglietto in sequestro dimostra), il ricorrente, scarcerato, riassunse il potere.

Nella misura in cui, da un lato, reitera censure già proposte, dall’altro, affaccia una diversa ricostruzione dell’accaduto, il motivo sub 2 appare inammissibile.

Quanto infine al rigetto della richiesta di ascoltare il Br., esso si fonda sulla superfluità di tale audizione (e in tal senso la pur sintetica formula utilizzata dalla Corte va intesa), in quanto se questo "nuovo collaboratore" intendeva contribuire all’accertamento dei fatti, riferendo della contrarietà del L.P. a che il D.T. riassumesse la reggenza del mandamento più volte nominato, tale contributo doveva in realtà considerarsi irrilevante, atteso che la mera (eventuale) intenzione del L.P. risultava ex actis (cfr. il pizzino) superate dalla volontà espressa dal M. cui, evidentemente anche il L. P. aveva dovuto piegarsi. Consegue condanna alle spese.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *