Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-11-2010) 26-01-2011, n. 2790 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Bologna, in data 24.11.2009, ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Ferrara, il 15.3.2997, a G.D., perchè ritenuto colpevole di bancarotta fraudolenta impropria, sia patrimoniale sia documentale, conseguita al fallimento di VALENTINA DRINK’S (fallimento dichiarato il (OMISSIS)).

L’accusa si appunta sia sulla distrazione della somma di L. 60.000.000, spettante alla società (essendo frutto di transazione su risarcimento dei danni cagionati da tal GO.Br. all’organismo societario), ma trattenuta dall’amministratore unico per sè senza plausibile giustificazione in termini di impresa sia sulla lacunosa tenuta e conservazione della contabilità, risultata inagibile alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Il ricorso interposto dalla difesa del G. si fonda sui seguenti motivi: – carenza di motivazione sulla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, difettando il dolo specifico, poichè le somme acquisite furono destinate al pagamento di creditori sociali, non essendovi possibilità di distinguere la destinazione societaria del denaro da quella personale attesa anche la qualità di amministratore unico rivestita dal G.; in ogni caso, trattandosi di pagamento di debiti, il delitto sarebbe stato quello della bancarotta preferenziale; carenza di motivazione sulla fattispecie di bancarotta documentale semplice impropria.
Motivi della decisione

Il primo motivo è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha dettagliatamente giustificato l’integrazione del più grave delitto di bancarotta fraudolenta rammentando che il prevenuto non ebbe ad indicare alcuno dei creditori soddisfatti, nè a dimostrare, con qualche atto di quietanza, il pagamento di taluno di essi (ed ha anche segnalato la probabile riprova del soddisfacimento dì crediti del tutto personali).

Orbene, è onere dell’amministratore della società fallita consentire di ripercorrere la traccia della ricchezza persa dall’organismo a cui è preposto, una volta che sì dimostrata la carenza di giustificazione dell’ammanco accertato. L’omessa spiegazione al proposito ritualmente consente la condanna dell’imputato, quale responsabile del delitto di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, (223).

Inappuntabile risulta anche il giudizio che ritiene consumata la fattispecie di bancarotta documentale e ritiene inadeguato il corredo attestante l’asserito pagamento di creditori sociali (che invoca la mera preferenzialità dei pagamenti): è, invero, infondata la censura di omessa motivazione, al cospetto delle annotazioni di pag.

9/10 del provvedimento impugnato. Al contempo, non può dalla disarticolata produzione documentale del ricorrente (lettere della banca attestante fidejussione e appianamento del debito bancario), desumere un quadro rappresentativo della gestione societaria. Permane infatti, la dimostrazione del pagamento di tutti i debiti, a fronte del passivo concorsuale, quale accertato nel procedimento concorsuale, risultato superiore all’attivo (societario e personale del prevenuto). Essa non soltanto manca al riscontro del previo soddisfacimento di altri debiti, e non permette l’accertamento della eventuale provenienza dall’economia personale della somma con cui vennero asseritamente assolte le obbligazioni gravanti sulla società, ma non ha permesso alla procedura di disporre di premesse utili per l’esperimento di possibili azioni volte alla ricostituzione dell’attivo. Tanto integra l’evento giuridico della fattispecie incriminatrice.

Non è fondato neppure il motivo che richiede la "derubricazione" del fatto nella fattispecie della bancarotta semplice documentale, in considerazione della prova di consapevole silenzio al curatore della cospicua (per le dimensioni della società) diversione della somma, riscossa a seguito della transazione, e della mancanza di documentazione su quella nevralgica operazione. La situazione palesata dalle carte processuali, infatti, dimostra la ricorrenza del dolo generico supposto dal reato (escludendo la casualità dell’occorso), non essendo stata possibile la ricostruzione del movimento dell’importante affare.

Nè giova il richiamo al diritto al silenzio, per evitare possibili incriminazioni poichè l’esimente ( art. 51 c.p.) dell’esercizio del diritto in discorso, non consente la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

Nel resto la doglianza impinge nel merito ed insta per una dimostrazione che non è consentita al giudice di legittimità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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