Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-11-2010) 26-01-2011, n. 2788 Bancarotta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La CdA di Torino, con sentenza 276.11.2009, ha confermato la pronunzia di primo grado in punto affermazione di responsabilità e ha concesso il beneficio della non menzione a P.A., riconosciuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (perchè teneva libri e altre scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della fallita), con riferimento al fallimento della srl TANTO.IT, dichiarato con sentenza 13.7.2006. Ricorre per cassazione il difensore e deduce omessa o contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico e omessa valutazione di prova decisiva. In sentenza al P. viene addebitato il mancato deposito dei bilanci degli anni 2000, 2001, 2002, 2004, nonchè di quello corrispondente alla data della messa in liquidazione (31.5.2005); gli viene anche addebitata la assenza di scritture contabili dal giorno 1.4.2005 al 13.7.2006.

La Corte torinese però trascura il fatto che il P. non era amministratore della srl e che lo divenne al momento della sua messa in liquidazione. Dunque, le predette omissioni non erano a lui ascrivibili. Per altro, il curatore afferma nella sua relazione che la mancanza di documentazione contabile, in coincidenza con la messa in liquidazione della società, è spiegabile con la crisi che essa ebbe ad attraversare. Inoltre la condotta di cui al capo di imputazione deve essere tenuta con lo scopo di procurarsi o procurare ad altri ingiusto profitto o di recare danno ai creditori. Il dolo è dunque specifico e la sentenza non chiarisce innanzitutto se il P. abbia voluto avvantaggiare qualcuno o danneggiare altri, nè specifica quale sarebbe stata la reale intenzione del ricorrente nel tenere la condotta che gli viene ascritta. Tanto premesso, rileva la Corte che il ricorso, nella parte in cui è meramente iterativo del contenuto dell’appello, è inammissibile per genericità.

La CdA ha chiarito che al P. è contestata la condotta di cui alla seconda ipotesi della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, vale a dire, non la sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e delle altre scritture, ma la loro tenuta in maniera irregolare, tanto irregolare da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari. E, con riferimento a tale condotta, la giurisprudenza di questa Corte richiede pacificamente il dolo generico.

Invero, mentre per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato della L. Fall., art. 216, comma 1, è necessario il dolo specifico (consistente nello scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori), per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perchè la finalità dell’agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa anzichè a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori (ASN 200005905-RV 216267).

In vero la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari", formulata in relazione alla fattispecie di irregolare tenuta delle scritture contabili, connota la condotta e non la volontà dell’agente, Sicchè è da escludere che configuri il dolo specifico (ASAN 200626907 – RV 235006).

Orbene la Corte desume la consapevolezza dell’imputato (e dunque la sua piena coscienza di agire in modo da non rendere possibile la ridetta ricostruzione) dalla gravita stessa della omissione.

Come premesso, furono omessi i bilanci di ben quattro anni e le scritture contabili dell’ultimo anno. Non basta – fu omesso anche il bilancio alla data della messa in liquidazione. Di talchè, se pur fosse vero che il P. divenne amministratore al momento della messa in liquidazione della srl, la valutazione operata dai giudici del merito, se pur dovesse ridimensionarsi con riferimento a una condotta omissiva temporalmente ridotta, conserverebbe tutta la sua stringente logicità in termini di valore sintomatico di un animus, inconciliabile con la pretesa buona fede accampata dal ricorrente.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma a favore della Cassa delle ammende.

Si stima equo determinare detta somma in Euro 1000.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille Euro a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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