Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-11-2010) 26-01-2011, n. 2785

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Macerata ha confermato il 2.10.2009 la condanna inflitta dal Giudice di Pace di Civitanova Marche il 28.7.2008 a S.G. perchè ritenuto colpevole di diffamazione in danno di G.R., riferendosi al medesimo – nella conversazione con sottufficiali dei CC. – con l’espressione "ladro" a riguardo del predetto.

La vicenda si svolse nel contesto di una perquisizione presso lo studio professionale dell’imputato, atto diretto a rinvenire un quietanza correlata all’addebito di appropriazione indebita ascritta al G. e commessa ai danni di SHU Srl. di cui S. era commercialista. Vi era stata una originaria denuncia sporta dal S. contro il G..

Lamenta il ricorrente.

– l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione quanto al rilievo penale delle frasi espresse dal S. che si sarebbero più esattamente sostanziate nell’espressione, rivolta ai CC. Che eseguivano la perquisizione "non difenda il G.R. che abbiamo denunciato come ladro, frasi che esprimevano il legittimo esercizio del diritto di critica verso il G.; omessa motivazione sull’elemento soggettivo, in ordine al quale vi era stato apposito motivo di appello al quale, tuttavia, non ha fatto riscontro argomentazione in sede di motivazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è inammissibile sia perchè non risulta dedotto negli esatti termini della censura proposta con il gravame di appello, sicchè la sua proposizione non può essere avanzata per la prima volta avanti al giudice di legittimità; sia perchè è manifestamente infondata la prospettazione del diritto di critica poichè l’espressione non era in rapporto di continenza con gli interlocutori, che eseguivano un incombente istruttorio, sia – ancora – perchè essa trascende i limiti della correttezza del linguaggio e si concreta in attacco personale, finalizzati all’unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, essendo intrinsecamente lesiva della reputazione dell’avversario, dal momento che l’epiteto "ladro" risulta in sè foriero di portato ingiurioso.

L’accertamento dell’esatta definizione della frase espressa – indiscutibile essendo l’uso del termine "ladro", essendo oggetto di ammissione da parte del ricorrente – impone una rivisitazione delle prove assunte nel corso del giudizio di merito e sufficientemente corredate da valida motivazione (che – quanto al fatto – richiama le indicazioni dei sottufficiali di PG.).

Il secondo motivo è manifestamente infondato: il giudice argomenta espressamente sulla consapevolezza dell’imputato nel denigrare l’avversario, richiamandosi all’elevato grado di cultura del prevenuto, circostanza che esclude l’incauto uso del termine e l’involontario utilizzo dell’espressione, anche perchè il comportamento del G. intendeva indubbiamente incidere nella sfera privata del prevenuto ed era, pertanto, motivato da volontà animosa verso il predetto avversario.

Dalla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed anche al versamento della somma a favore della Cassa per le Ammende che si ritiene equo fissare in Euro 1.000, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in Euro 1.200, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento della somma, che si ritiene equo fissare in Euro 1.000, in favore della Cassia delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile liquidati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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