Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-02-2011, n. 4549 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 21.3.05, ha accolto la domanda di opposizione alla stima proposta da F.L. ed A., C.M. e Ma. ed A.A. nei confronti del Comune di Roma ed ha liquidato l’indennità di esproprio, ad esse dovuta quali comproprietarie di un appezzamento di terreno dell’estensione di mq. 11.655 situato in zona (OMISSIS) che il Comune aveva espropriato con ordinanza sindacale notificata il 17.12.01, nella complessiva somma di Euro 1.600.000 oltre interessi legali, ordinandone il deposito presso la Cassa DD.PP..

Il Comune di Roma ha proposto ricorso a questa Corte per la cassazione della sentenza. Le sorelle F., le sorelle C. ed A.A. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, il Comune di Roma, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, lamenta che la Corte territoriale abbia acriticamente aderito alle risultanze dell’espletata ctu ed abbia affermato la natura immediatamente edificatoria del terreno, senza rispondere alle critiche che esso aveva mosso all’elaborato peritale. Deduce a riguardo che l’art. 12 delle norme tecniche citate. dispone che la realizzazione dei comprensori nei quali sono inclusi i terreni espropriati è subordinata all’adozione di uno strumento attuativo di secondo livello (e cioè o di un piano particolareggiato dell’amministrazione comunale successivo alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, o di un piano di lottizzazione predisposto da un consorzio costituito da tutti i proprietari delle aree ed autorizzato dal comune, previa stipula di apposita convenzione, ad eseguire le opere di urbanizzazione per poi cedere le aree all’amministrazione), non sussistente nella specie.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

Secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, il sistema introdotto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, si caratterizza per una rigida dicotomia, con esclusione di un "tertium genus" tra "aree edificabili" ed "aree agricole" o "non classificabili come edificabili" (cfr., fra molte, Cass. nn. 17672/09, 16531/09, 4513/04 nonchè Cass. n. 13199/06).

Il Comune non ha dedotto la natura agricola del terreno per cui è causa, sicchè deve ritenersi che, allorchè afferma che si tratta di terreno non "immediatamente edificabile", intenda eccepire che il ctu, le cui conclusioni sono state integralmente recepite dalla Corte di merito, ne abbia correttamente accertato la natura edificatoria, ma ne abbia sovrastimato il valore, non tenendo conto dell’asserita mancanza dello strumento attuativo di secondo livello.

Il motivo si risolve pertanto in una censura inquadrabile esclusivamente sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che difetta del requisito della specificità, non avendo il ricorrente indicato in quale atto processuale ha contestato l’elaborato peritale, nè precisato quali siano le critiche mosse a tale elaborato cui il giudice non avrebbe dato risposta.

2) Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, nonchè dell’art. 12 del PRG comunale, lamenta che la Corte territoriale abbia determinato il valore dell’area espropriata senza tener conto delle cubature già realizzate nel comprensorio, che ne riducevano l’indice di edificabilità.

Il motivo è infondato.

Correttamente, infatti, il giudice del merito ha ritenuto che l’eventuale già avvenuta realizzazione di altri edifici nell’ambito del comprensorio non potesse pregiudicare il valore del terreno espropriato, le cui possibilità legali ed effettive di edificazione andavano determinate tenendo conto esclusivamente di quanto previsto dallo strumento di pianificazione urbanistica vigente al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

E’ infatti evidente che tutti i terreni compresi nella medesima area devono percepire la medesima indennità, calcolata secondo una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialità media edificatoria del comprensorio (che, come sostiene lo stesso ricorrente, è nella specie proprio quella di 1,60 mc/mq. posta a base della stima dal ctu) e non confondendo con questa la maggiore o minore fabbricabilità che ciascun fondo venga a subire per effetto delle disposizioni attuative del piano inerenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni (Cass. nn. 1605/09, 22421/08, 26275/07, 13917/07).

3) Il rigetto dei primi due motivi preclude l’esame del terzo, subordinato al loro accoglimento, con il quale il Comune lamenta la violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, deducendo, per l’appunto, che, ove le sue precedenti censure risultassero fondate, la somma offerta per l’esproprio sarebbe congrua, e la sentenza andrebbe cassata anche nella parte in cui ha dichiarato illegittimo l’abbattimento del 40% operato dall’amministrazione a seguito della mancata accettazione dell’indennità. 4) Con il quarto motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non rilevabile d’ufficio l’eccezione concernente la dovuta riduzione dell’indennità in conseguenza del minor valore dell’immobile dichiarato dalle espropriate ai fini ICI. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che nel giudizio promosso dall’espropriato di area edificabile per la determinazione dell’indennità di espropriazione, l’ammontare discendente dai criteri di legge è suscettibile di riduzione, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, solo su eccezione dell’espropriante, il quale provi che l’espropriato ha presentato denuncia ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, mentre deve escludersi che la relativa questione possa essere rilevata d’ufficio, atteso che si verte in tema di diritti patrimoniali e rileva il principio dispositivo (Cass. nn. 18844/08, 24509/06, 10682/06, 8594/05).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 20.000 per onorari ed Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il Comune di Roma a pagare alle controricorrenti le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 20.000 per onorari ed Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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