Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-11-2010) 26-01-2011, n. 2784 Reati societari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P. 1) Le plurime ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria, ascritte agli attuali ricorrenti, conseguono ai fallimenti di GENERAL INVEST Srl, dichiarato il (OMISSIS) (imputato P.L. P.), di NORD LEASING Spa., dichiarato il (OMISSIS) (imputati i P.), di SEPRIM Srl. dichiarato il (OMISSIS) (imputati i due P., Z.).

Il V. fu ritenuto responsabile della sola ipotesi di fraudolenza documentale nel contesto del suo mandato di sindaco in seno a NORD LEASING Spa).

Essi furono condannati in primo grado con sentenza del Tribunale di Pordenone, resa il 2.7.1994, nonchè al risarcimento dei danni a favore delle costituite parti civili, Fall. (Srl. SEPRIM e fall. Spa.

NORD LEASING): per quel chi qui interessa, la pronuncia riconobbe a favore di Z. e di V. le attenuanti generiche prevalenti, mentre, per gli altri imputati, il riconoscimento avvenne in via di equivalenza.

I primi giudici ritennero i reati avvinti da continuazione, indicando quello più grave nel fallimento SEPRIM Srl.

La decisione fu gravata di appello il 2.4.2009: assolse i P. per alcuni capi di imputazione relativi a SEPRIM, riducendo per costoro la pena inflitta.

Avverso la pronuncia di appello hanno interposto ricorso i P., Z.E., ed il V. con diffusi motivi:

Il ricorso di P.P. si articola sui seguenti motivi:

1) Illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale (art. 216) con riferimento al capo A1), nella cessione di immobile da SEPRIM a FIDES Sas. (società riferibile ad P. A. ed a sua moglie);

a) non risultano fondate le osservazioni per cui il prezzo fissato fosse inadeguato, in ragione dell’intrinseca valenza dell’immobile, essendo omessa la considerazione della svalutazione monetaria e che quel trasferimento era puramente contabile, per meri calcoli destinati ad "aggiustare i bilanci delle società del gruppo" soprattutto a favore di GENERAL INVEST;

b) irrilevante risulta la circostanza che FIDES Sas. disponesse di capitale assai scarso, inadeguato all’elevatezza degli importi dedotti;

c) parziale è la considerazione del ricavo pervenuto a SEPRIM dovendosi anche computare gli accolli che diminuirono la pendenza debitoria patrimoniale della società, tra essi, dimenticato dai giudici di seconde cure, quello di L. 4 miliardi a favore di AKROS CASA, che avrebbe consentito di cancellare l’ipoteca gravante sul bene;

d) erronea valutazione del vantaggio conseguito nell’affare con riguardo all’art. 2634 c.c., (223), trattandosi di trasferimento infragruppo, essendosi realizzata plusvalenza a favore di GENERAL INVEST ed avendo generato per SEPRIM pur sempre liquidità (L. 670.000.000 effettivamente versate alla stessa) che, con gli accolli posti in essere ed il consolidamento delle ipoteche, rappresentava un apprezzabile vantaggio che compensava la perdita apparente;

e) è stata trascurata, nell’economia della fattispecie dei vantaggi compensativi, la funzione assegnata a FIDES che si è dimostrata capace di sostenere esborsi rilevanti (come proprio il pagamento a SEPRIM e quelli effettuati a favore delle procedure concorsuali relative alla famiglia PA.PE.) e disponeva di cospicuo patrimonio immobiliare.

Illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale (art. 216), sempre con riferimento al capo Al), nella valutazione della cessione dell’immobile da SEPRIM a FIDES Sas., anche con riguardo al profilo soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, poichè a) la più avvertita dottrina ritiene che la lettura della condotta debba aderire al canone della pericolosità in concreto e, dunque, ravvisare l’illecito soltanto quando la consistenza patrimoniale sia scesa, a seguito del comportamento censurato, sotto il livello di guardia per i creditori;

b) non è emersa alcuna connotazione egoistica dell’azione del P. che non agì mai per approfittamento personale, essendo stato assolto dalle ipotesi di distrazioni a proprio favore;

c) era ragionevole la convinzione del P. di riuscire a far fronte agli impegni debitori con la cessione dell’immobile in discorso, giudizio che – tra l’altro – è sotteso dall’assoluzione per i capi A7 – A8).

2) Illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale (art. 216) con riferimento al capo A2) vendita della villa "L’avvenire" poichè:

a) a fronte dell’accertata congruità della contropartita, in presenza dell’ipoteca gravante sul bene a favore di A.A., qualsiasi pagamento fosse stato effettuato dal compratore, nulla sarebbe entrato nelle casse sociali;

b) era sempre possibile risolvere il contratto se l’acquirente non avesse pagato il prezzo;

c) per lo stato di difficoltà finanziaria, SEPRIM non sarebbe mai stata in grado di pagare le rate del mutuo connesso al cespite; d) la cessione del bene a società partecipata da P. alleggeriva la situazione di SEPRIM e consentiva più agevole cessione dell’immobile con speranza di pagamento per SEPRIM medesima.

3) Illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale (art. 216) con riferimento al capo A9) relativamente alla cessione di stabile in Via (OMISSIS), poichè:

a) la Corte erroneamente ritenne erogata a SEPRIM la somma di L. 500.000.000 quando, invece, per detto importo fu iscritta ipoteca sull’immobile, ma alla società venne versato il solo importo di L. 200.000.000;

b) anche il perito nominato dalla Corte territoriale errò nella ricostruzione dell’accadimento negoziale, avendo trascurato che in realtà la società nulla erogò di quanto ricevuto, considerando le dichiarazioni del B..

4) Carenza di motivazione relativamente alle ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, considerando che l’imputato sovvenzionò le società: erroneamente è stata dedotta l’intenzionalità del danno verso i creditori;

5) Erronea applicazione della legge penale in relazione all’addebito di falsità del bilancio GENERAL INVEST, essendo il P. unico socio e, quindi, risultando impossibile l’azione decettiva nei suoi confronti nè è dimostrato l’ingiusto profitto sotteso alla condotta ascritta;

6) Erronea applicazione della legge penale in relazione alle statuizioni sanzionatorie: essendo stato il P. assolto dai capi A7 – A8, il calcolo della pena è rimasto fondato su quello fissato dal Tribunale ed, inoltre, fermo è rimasto il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche; del pari anche l’aumento di pena relativo all’accusa di bancarotta fraudolenta documentale, ancorato all’accusa di violazione di sigilli, che non è omogenea al delitto anche perchè accertata in altro processo.

Il ricorso di P.A. si articola sulla:

1) inutilizzabilità degli atti di indagine e di acquisizione probatoria successivi alla scadenza del termine dettato dall’art. 407 c.p.p.. La doglianza si giustifica con il fatto che il procedimento sorse, in fase di indagini preliminari, da successivi stralci dall’originario fascicolo, con la conseguenza che si utilizzarono nuovi termini, ancorchè essi fossero già scaduti, se raffrontati al momento genetico.

La Corte d’Appello, ha escluso che si versi in un caso di vizio patologico, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., ed ha tacciato anche di genericità l’eccezione poichè non specificava quali atti dovessero ritenersi affetti dal vizio e, soprattutto, osservando, poi, che il fondamento del convincimento giudiziale riposa su prove esterne non attinte dall’eccezione difensiva (Sent. p. 9/10). Argomentazione non ritenuta ragionevole dal ricorrente, anche perchè le relazioni dei curatori (acquisite a detta della Corte milanese) non hanno la medesima forza probatoria dell’ispezione della Guardia di Finanza (viziata da inutilizzabilità).

Ulteriore profilo patologico – soggiunge il ricorrente – si annida nel rifiuto di restituire a tutti gli imputati i supporti contabili di cui reiteratamente fecero richiesta.

2) Il P. lamenta, ancora, il travisamento del fatto, in relazione alla cessione dell’immobile di (OMISSIS) a favore di FIDES Sas., poichè il ragionamento giudiziale è viziato dall’omessa considerazione che il valore del bene era assai inferiore a quanto considerato dalla Corte territoriale; che erra la sentenza nel ritenere non liberatorio l’accollo, potendo la natura dello stesso desumersi da fatti concludenti e che SEPRIM avrebbe potuto pretendere la previa escussione di FIDES, anche perchè questa era divenuta proprietaria del bene; tanto esclude la volontà distrattiva.

3) Capi A2) carenza ed illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge civilistica ( art. 1273 c.c.) in relazione all’operazione di cessione dell’immobile Villa "l’Avvenire", sita in Siena, da parte di SEPRIM Srl..

4) Capi A7 – 8) carenza ed illogicità della motivazione che ha portato all’assoluzione del prevenuto.

5) Capo A9), acquisto da GENERAL IMM. dell’immobile di Via (OMISSIS), carenza ed illogicità della motivazione ed inosservanza della legge processuale e nullità della sentenza ( art. 521 c.p.p.).

Il ricorso della Z. ricalca in grande parte quello del P.P. e l’impugnazione del V. segnala che i fatti addebitatigli occorsero fuori dal perimetro temporale del suo sindacato presso NORD LEASING Spa. (10.12.1991/12.10.1992), periodo, del resto, in cui la società era rimasta inattiva, senza necessità della registrazione contabile dei suoi movimenti.

Ai ricorsi faceva seguito Memoria difensiva del V. che, riprendendo i rilievi già svolti, scredita di interesse la conclusione peritale nella parte in cui deborda dall’incarico meramente contabile affidatole dai giudici.
Motivi della decisione

2) Atteso il decorso del tempo, i reati ascritti alla Z. ed al V., verso cui i giudici riconobbero in via di prevalenza le attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, sono estinti per prescrizione (in relazione a NORD LEASING Spa., dichiarato il 2.6.2009; a SEPRIM Srl. dichiarato il 23.3.2009, salve le sospensioni, maturate in primo grado, della sola durata – inefficace a modificare il decorso estintivo – di complessivi 4 mesi e gg. 17).

Nè (ai sensi dell’art. 129 cpv. c.p.p.) per le ragioni già espresse dai giudici di merito, si ritrae dalla complessiva vicenda processuale, prova evidente della loro innocenza. E, per quanto attiene alle istanze delle parti civili – procedure SEPRIM e NORD LEASING – la posizione di garanzia rivestita da costoro, a tutela delle ragioni delle masse creditorie, consente di accogliere i motivi di ricorso agli effetti civili, anche in considerazione delle gravi violazioni ai doveri gestori e di vigilanza, quali emergono dalle narrative e dalle valutazioni delle due compendiose pronunce di merito.

Per detta ragione la sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti della Z. e di V..

Per gli altri ricorrenti, invece, la decisione mantiene validità, considerato che i reati vennero avvinti per continuazione e che, vigendo il regime precedente alla riforma della L. 5 dicembre 2005, n. 251, il reato deve considerarsi consumato con la cessazione della continuazione, ai sensi dell’abrogato art. 158 c.p.. L’ultimo episodio in termini cronologici è rappresentato dal fallimento di GENERAL INVEST Srl, dichiarato il (OMISSIS).

Non essendo state riconosciute nè al predetto nè ad P. A. le attenuanti in via di prevalenza, il decorso prescrizionale assomma ad anni 22 e mesi 6, non ancora maturato.

3) Il motivo sull’inutilizzabilità degli atti, avanzato da P. A., è infondato per le esatte ragioni già espresse dalla decisione impugnata.

Il superamento dei termini dettati dall’art. 407 c.p.p., non cagiona vizio radicale equiparabile a quello portato dalla violazione dell’art. 191 c.p.p., (cfr. da ultimo Cass., sez. 6^, 24.2.2009, Abis, Ced Cass., rv. 243257).

Inoltre, l’eccezione, a suo tempo mossa dalla difesa, si presenta priva della debita specificità, essendo onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare quali atti siano specificamente affetti dal vizio denunciato ed ulteriore onere è quello di chiarire altresì l’incidenza della patologia sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (cfr. Cass., sez. un., 23.4.2009, Fruci, Ced Cass., rv. 243416), osservazione alla quale il ricorrente non fornisce adeguata risposta.

Ma, soprattutto, le prove testimoniali acquisite in dibattimento – con attività giudiziale autonoma rispetto a quella dispiegata nella fase delle indagini – hanno consentito alla difesa di interpellare i curatori delle singole procedure su ogni profilo rilevante per il processo, sicchè non è dato ravvisare ulteriore interesse sul punto, essendo certo che non può cogliersi, nella fattispecie processuale in discorso, concreta compressione dei diritti consacrati dall’art. 24 Cost., (la doglianza concernente il rifiuto di consegnare i supporti contabili non risulta, dal testo del provvedimento impugnato, formalmente dedotta al giudice di appello, bensì in memorie non riprese in fase di impugnazione), poichè anche i costituti, che astrattamente potevano ritenersi viziati ed incapaci di sorreggere elementi di prova, sono stati acquisiti al processo ex novo, nella fase dibattimentale eppertanto, nel contesto del più ampio contraddittorio.

Tanto ha escluso qualsivoglia lesione all’esplicazione della difesa degli imputati.

4) I motivi avanzati dalla difesa di P. e di P. A., nonchè della Z. in relazione al capo Al), sono infondati ed, in parte, inammissibili, perchè, in buona misura esterni alla argomentazione articolata dai giudici di seconde cure.

In sostanza, i ricorsi, in parte qua, palesano vistosi profili di a – specificità focalizzandosi su temi lontani dal cuore dell’argomentazione giudiziale.

Infatti, l’aspetto indicato come più rilevante del negozio risiedeva nell’accollo dei mutui verso CREDITO FONDIARIO e verso A. (Sent. pag. 12 e ss.).

La caratteristica di quella clausola è che non si trattava di accollo liberatorio, onde, conseguentemente, Srl. SEPRIM vedeva immutata la propria responsabilità per i debiti indicati (come indicato dalle insinuazioni al passivo), mentre riscontrava la perdita del cespite attivo, garanzia su cui fondavano le aspettative dei creditori.

Giustamente la Corte territoriale ha ravvisato la natura distrattiva dell’accordo in questo squilibrio negli effetti del rapporto sinallagmatico (cfr. Sent. pag. 13), poichè la contropartita alla diminuzione della consistenza patrimoniale dell’impresa deve pareggiare, in guisa effettiva ed integrale, la dismissione dell’attivo. Diversamente essa sottende un’ingiustificata perdita di ricchezza a favore di terzi (Sent. pag. 14). O anche soltanto il rischio di una restrizione della garanzia dei creditori, pericolo dal profilo sicuramente concreto, nel contesto di un organismo insidiato da progressiva insolvenza e privato di serie disponibilità liquide.

Proprio per questa ragione, la conclusione del negozio da cui derivava un accumulo di potenziale responsabilità debitoria, senza attuale liberazione totale o parziale della pendenza, si risolveva inevitabilmente in un indebolimento della tutela dei creditori ed in un sicuro passo verso il dissesto (cfr. Sent. pag. 20). Riflessioni che si presentano logiche ed immuni da vizio argomentativo.

A tanto deve aggiungersi che la latente conflittualità di quell’accordo, consacrato con un ente assai vicino agli imputati, attesi i rapporti (e la ragioni di interessenza) di stretta famigliarità con i soci di FIDES Sas. (Sent. pag. 14), imponeva una forte circospezione nella conclusione di clausole coinvolgenti le aspettative dei creditori di Srl. SEPRIM e che, con buona ragione e deduzione logica, sono state ritenute dai giudici del merito dimostrazione dell’intenzionalità fraudolenta nella condotta dei P..

Le impugnazioni degli imputati, al contrario, si soffermano su aspetti aderenti al fatto: valenza dello stabile, con diversa valutazione della sua intrinseca consistenza, "politica di bilancio" (che, per il vero, attesta un’accorta regia di fallace rassicurazione verso i creditori), prospettazioni assunte in via di probabilità ipotetica (ove fosse stata cancellata l’ipoteca di A.). Si tratta di percorsi che il giudice di legittimità non può certo seguire, poichè si discostano dallo scrutinio circa la serietà della motivazione adottata.

Nè la funzione affidata a Sas. FIDES, nelle intenzioni della famiglia P., è motivo valido (e giuridicamente rilevante) per giovare alla giustificazione delle perdite di SEPRIM Srl, dissesto che fu causato dalla obiettiva compressione delle ragioni creditorie.

D’altra parte, mai Srl. SEPRIM richiese la previa escussione di Sas.

FIDES, circostanza che ulteriormente attesta la volontà distrattiva nella conduzione della società fallita, la quale non intese mai ovviare alla perdita patrimoniale sancita dagli accordi di vendita.

Quanto alla corretta applicazione della norma penale, non deve trascurarsi che la presenza di un gruppo societario non legittima per ciò solo qualsivoglia condotta di asservimento di una società all’interesse degli altri organismi del gruppo.

Al contrario, l’autonomia soggettiva e patrimoniale, che contraddistingue ogni singolo ente, impone all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui sia preposto e, pertanto, di non sacrificarne le aspettative e le giuste pretese della stessa in nome di un diverso vantaggio, ancorchè riconducibile a quello di chi sia collocato al vertice del gruppo, che non procurerebbe alcun effetto a favore dei terzi creditori dell’organismo impoverito (cfr. Cass. Sez. 5^, 8.11.2007, Belleri, CED Cass. 239108). Giustamente, quindi, i giudici di appello, in questa ottica, hanno, in concreto, escluso il raggiungimento per le società fallite, di una qualche reale utilità nelle operazioni di cessione immobiliare (salvo che per FIDES che non è stata dichiarata fallita, Sent. pag. 19).

Al contempo, anche con riguardo al momento soggettivo, è indubbio che l’esimente sottesa alla norma qui esaminata non riposa sulla "mera speranza di una compensazione, al contrario, dovendosi pretendere che i vantaggi compensativi della ricchezza perduta siano "conseguiti" o "prevedibili" "fondatamente" e cioè pressochè certi" (cfr. Cass., Sez. 5^, 23.6.2003, Sama).

Infine, non può dubitarsi che in una situazione di crisi della società, la posizione di garanzia – assegnata dall’ordinamento all’amministratore – per il rispetto delle aspettative dei terzi (soci e creditori), impone la grande cautela nella persecuzione di un vantaggio che si prospetta lontano nel tempo e non immediatamente riconoscibile nel negozio posto in essere, al cospetto della immediata e sicura perdita di ricchezza.

Tutte queste osservazioni, aderenti alla logica del nostro sistema normativo ed alla corretta interpretazione della norma incriminatrice nonchè al dato di causa, non vengono considerate dai motivi di impugnazione. Essi sottolineano la tensione volitiva del P. verso il buon esito della complessa operazione, ma dimenticano che il punto focale della fattispecie criminosa si incentra sulla tutela delle aspettative creditorie, soprattutto quando, per la debolezza dell’organismo, si affaccia nel futuro la prossima ed assai probabile loro compressione.

Proprio per questa ragione, pur prendendo atto degli arresti della dottrina al proposito, la Corte, seguendo una consolidata giurisprudenza, non può trascurare la tipica connotazione di pericolo del reato di bancarotta, pericolo certamente da riguardarsi come concreto. Ma è al contempo, del tutto evidente che, agendosi in un periodo che – come attestato dalla successiva dichiarazione di insolvenza (che assume, al proposito, funzione indubbiamente accertativa) – il rischio per i creditori assume effettiva connotazione, scevra da astrazione. Nel caso in esame, poi, al momento dell’operazione incriminata, la società cedente si trovava in serissima difficoltà finanziaria che aggravava le più pessimistiche previsioni di incapacità a sovvenire alle obbligazioni assunte.

Da tanto consegue che l’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale si radica nel dolo generico, cioè nella consapevole volontà di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori. O, soprattutto, che tutto sia compiuto nell’accettazione del rischio che possano verificarsi pregiudizi derivanti dalla riduzione della sfera patrimoniale della società, oggetto delle garanzia dei creditori. La pretesa – affacciata dal ricorrente – che l’offesa da reato si riscontri soltanto allorquando la diminuzione del patrimonio abbia raggiunto soglie obiettivamente allarmanti (forse la perdita del capitale al di sotto del limite legale, ai sensi dell’art. 2447 c.c.), non è ricavabile da alcuna indicazione positiva del dettato normativo e si prospetta come criterio assai riduttivo, in ragione della tutela dispiegata dalla fattispecie penale.

Nel resto le argomentazioni difensive si presentano infondate (trascurando quelle chiaramente inammissibili, perchè articolate su piani di ipotetica evenienza e non di realità).

Anzi a ben vedere, sia la "politica di bilancio", a cui sostanzialmente alludono i motivi di ricorso, sia l’utilizzo strumentale di FIDES Sas., sono elementi che attestano la piena consapevolezza dello stato di difficoltà aziendale di SEPRIM e del gruppo P., espedienti diretti a superare sia le difficoltà in atto, sia la già minata fiducia verso quelle società. Tratti che dimostrano anche un certa disinvoltura nella strategia finanziaria.

Per quanto riguarda il capo A2, relativo alla vendita dell’immobile "L’avvenire", entrato nel patrimonio di SEPRIM, in data 17.6.1992, a seguito di patto concordatario (la vicenda è tratta dalla Sentenza impugnata a pag. 14 e ss.), la decisione ricorda gli infruttuosi tentativi di cessione che precedettero l’alienazione – occorsa all’insorgere delle difficoltà finanziarie – a favore di Srl. "Al Mulino" al prezzo di L. 3.500.000.000, negozio di poi fatto oggetto di azione revocatoria. L’accusa non si appunta sulla differenza del prezzo di cessione, rispetto a quello di acquisto (L. 5.500.000.000), ma sulle modalità di pagamento del prezzo medesimo (Sent. pag. 15).

Esse si concretarono nel mero accollo cumulativo, non liberatorio ed anche parziale, del debito acceso presso AZIMUT CASA (L. 4.000.000.000). Alla perdita del cespite non si accompagnò l’estinzione del passivo correlato al bene, ma SEPRIM rimase obbligata (in via sussidiaria) verso il mutuante A. (che, oltretutto reclamava un credito superiore al prezzo spuntato).

Queste considerazioni qualificano come infondate le censure del ricorso: al riguardo si richiama quanto già osservato dianzi, a dimostrazione del tratto fraudolento dell’operazione.

L’indebolimento patrimoniale di SEPRIM, a seguito della vendita, non è contestato dai ricorrenti. Nè giova ipotizzare che qualsiasi prezzo sarebbe stato fagocitato dalla creditrice A., poichè l’osservazione ricade piuttosto sulla condotta gestoria della compagine amministrativa, che portò ad indebitare la società per operazioni dissennate, in periodo ormai segnato dal dissesto (già era stata avviata la verifica fiscale, che viene ritenuta causa prossima del crack del gruppo; il fallimento seguì di 10 mesi alla conclusione del negozio, cfr. Sent. Trib. Pordenone, pag. 12).

Rilievo ancor più puntuale se si rammenta che l’acquirente "AL MULINO" Srl. era società vicina agli interessi dei P. (Sent.

Trib. Pordenone, ibidem). Sicchè non è affatto illogica la conclusione che la manovra sia stata disposta al fine di sottrarre all’esecuzione fallimentare il cespite, evento che era agevolmente prevedibile (e tenuto) a quell’epoca (Sent. Trib. Pordenone, ibidem).

Di questi spunti giustificativi presenti nella sentenza d’Appello, il ricorso non sembra curarsi, reiterando doglianza del gravame, ed anche in questo caso si presenta privo di specificità.

Attengono a profili di merito le supposte imprecisioni sia della Corte territoriale sia del Perito contabile, rilevate a proposito del capo A9, attinente alla vendita dello stabile di Via (OMISSIS).

Censure, d’altra parte – come risulta dalla narrativa dell’impugnata pronuncia, che di esse non fa minimo cenno – non dedotte con i motivi di gravame o nel corso della discussione del giudizio di appello, sicchè appaiono inammissibili richiedendo anche, per la soluzione del punto controverso, accertamenti in punto di fatto. Nè è stata formalizzata dal pubblico ministero l’accusa di distrazione fraudolenta della somma di L. 500 milioni, riscossa a titolo di anticipazione dal Banco di Napoli, di cui è soltanto indicato come "ignoto" l’impiego (Sent. pag. 18).

Inoltre, non deve sfuggire che pure l’iniziativa qui esaminata si concluse con la sottrazione dell’immobile ai creditori del B., nell’ottica di un trend operativo, del tutto simile a quello dei P. e, per quanto prima osservato, venata da fraudolenza (Sent. pag. 19). Non coglie nel segno la doglianza afferente all’accusa di bancarotta documentale. La sentenza attesta – per il riguardo obiettivo – il disordine radicale della contabilità, contrassegnato da sistematicità, circostanza qui sintomatica, essendosi rilevato quello stato di confusione in periodo di dissesto ormai indiscusso (Sent. pag. 21).

Per quanto attiene al profilo soggettivo, la fattispecie incriminatrice non postula – secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte – un dolo specifico di danno ai creditori, sicchè le immissioni di ricchezza in seno al patrimonio della società risultano, al riguardo, ininfluenti, essendo bastevole la rappresentazione di un concreto pericolo di impossibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (ex multis, Cass. sez., 5^, Catalano, Ced. Cass., rv. 235006).

Con la precisazione che, trattandosi di reato di pericolo, non si richiede l’impossibilità assoluta alla ricostruzione contabile, essendo sufficiente una seria difficoltà superabile solo con particolare diligenza (cfr. Cass., sez. 5^, 18.5.2005, Mattia, Ced Cass., rv. 232212).

Di maggior peso è il motivo relativo alla violazione dell’art. 2622 c.c., come richiamato dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1.

E’, infatti indubbio che la formulazione della norma contempla una forma di dolo assai complessa (forsanco sovrabbondante).

La disposizione, uscita dalla novella del 2001, certamente suppone la presenza nel soggetto agente del dolo generico (rappresentazione del mendacio) e di un dolo intenzionale di inganno dei destinatari, previsto per fugare ogni possibile lettura in chiave di dolo eventuale, tenendo conto che la presenza di concomitanti finalità, non annullano la ricorrenza del reato, (oltre che di un dolo specifico, rispetto ai contenuti dell’offesa, qualificata da ingiusto profitto). Tutti questi profili sono rilevabili nella condotta incriminata.

Indubbio è il lo scopo di infedeltà mirata ad una rappresentazione tranquillante dello stato finanziario del novero societario facente capo ai P., quando esso era, in realtà, sommerso da debiti e da impellenti ingiunzioni, costretto a ricorrere ad espedienti rischiosi pur di lucrare qualche garanzia ed allargamento di fido. Da tanto può facilmente arguirsi che destinatari dell’inganno non erano i soci, bensì i creditori e non soltanto quelli diretti della società che redigeva il bilancio, ma anche di quelli connessi alle società costitutive del gruppo.

E’ utile, al proposito precisare che – in tema di false comunicazioni sociali – gli artt. 2621 e 2622 c.c., nell’introdurre espresso rilievo ad informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria non soltanto dell’ente da cui promana la comunicazione sociale, ma anche del gruppo al quale la società appartiene, fornisce rilievo non soltanto al c.d. "bilancio consolidato", bensì anche alle infedeli indicazioni concernenti i singoli componenti del novero medesimo.

Il profitto che il redattore di queste comunicazioni si riprometteva di conseguire era la sopravvivenza di questi organismi, ormai decotti, e la protrazione della loro attività oltre la soglia del ragionevole rischio per chi le aveva affidate o chi risultava intestatario di garanzie anche reali. Al riguardo la sentenza impugnata (pag. 28/29) contiene un’articolata motivazione, ancorata alle risultanze peritali che, tuttavia, non è considerata dal ricorrente il quale ripropone i medesimi temi avanzati in appello. La doglianza, pertanto, è generica.

Considerata la speciale caratteristica del reato di bancarotta, tradizionalmente strutturato in forma unitaria, non rileva la censura sulla pena.

Infatti, l’art. 219, comma 2, n. 1, prevede per il caso di plurime violazioni alla normativa penale, una mera circostanza aggravante, non già – seguendo le regole del diritto penale comune – il delitto continuato.

Poichè in concreto la Corte territoriale ha riconosciuto a favore del P. le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, il rilievo è privo di concreto rilievo, sicchè non si riscontra interesse effettivo al riguardo.

Per le censure afferenti al capo A1) e A2) si rinvia a quanto già osservato relativamente al ricorso di P.P., avendo esse sostanzialmente per oggetto analoghe doglianze.

Per quanto riguarda la prima serie di motivi, connessi alla cessione dell’immobile sito in (OMISSIS) da parte di SEPRIM Srl., si rileva preliminarmente che – secondo l’accusa – SEPRIM aveva acquistato porzione di immobile di C.so (OMISSIS) da GENERAL INVEST in data 29.5.1992. Lo rivendette il 20.9.1993 a IMM. FIDES Sas. (soc. del P. e di sua moglie) per un prezzo (L. 2.800.000.000) inferiore all’effettiva valenza (L. 3.736.000.000). Permangono ingiustificate le ragioni della svendita.

Inoltre, il pagamento del prezzo avvenne, a parte somme liquide per L. 670.000.000, in grande misura, mediante accollo non liberatorio dei debiti che SEPRIM aveva maturato (verso CREDITO FONDIARIO e verso A.).

Analogamente, per la cessione dell’immobile Villa "L’Avvenire", sita in Siena, da parte di SEPRIM Srl., il regolamento del prezzo avvenne mediante accollo non liberatorio (dei debiti maturati verso A.), con parziale pagamento in denaro. Condizioni contrattuali ragionevolmente valutate come inadeguate agli interessi della SEPRIM (Sent. pag. 14/15), con argomentazione coerente alle risultanze di causa.

Nè assume pregio il dubbio circa il profilo cognitivo, atteso che il P. poteva vantare un modesto livello culturale, poichè la circostanza non impinge sull’elemento soggettivo del reato, a sfondo generico, essendo il fatto consacrato in dati documentali di agevole comprensione.

Capi A 7 – 8) La Corte ha assolto P.A. e P., perchè il fatto non sussiste, dall’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’impugnazione è inammissibile ai sensi dell’art. 568 c.p.p., perchè carente di ogni interesse, neanche nell’ottica della possibile responsabilità in giudizi civili ex art. 652 e 653 c.p.p..

Capo A9) Acquisto di immobile sito in (OMISSIS). La Corte (Sent. pag. 18 e ss.) ha ritenuto provata – accettando la ricostruzione del perito contabile – l’ingiustificata perdita della somma di L. 70.000.000, quale minor ricavo tra quanto sostenuto nel pagamento dello stabile in discorso e degli oneri di esso gravanti (L. 290.000.000) e quanto ricevuto in sede di rivendita dello stesso (L. 220.000.000).

Il ricorso contesta questa ricostruzione della vicenda e propone una diversa lettura della stessa, tenendo presente che l’episodio risulta obiettivamente assai complesso per la volontà di appianare partite debitorie di GENERAL IMMOBILIARE. L’impugnazione è, tuttavia, inammissibile poichè nel giudizio di legittimità resta esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite.

La Corte (Sent. pag. 18 e ss.) ha ritenuto provata – accettando la ricostruzione del perito contabile – l’ingiustificata perdita della somma di L. 70.000.000, quale minor ricavo tra quanto sostenuto nel pagamento dello stabile in discorso e degli oneri di esso gravanti (L. 290.000.000) e quanto ricevuto in sede di rivendita dello stesso (L. 220.000.000). Il ricorso contesta questa ricostruzione della vicenda e propone una diversa lettura della stessa, tenendo presente che l’episodio risulta obiettivamente assai complesso per la volontà di appianare partite debitorie di GENERAL IMMOBILIARE. L’impugnazione è, tuttavia, inammissibile poichè nel giudizio di legittimità resta esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti prova.

Non è dato ravvisare, invero, alcun vizio nella argomentazione della motivazione, capace di inclinare la correttezza della decisione.

Neppure è possibile scorgere la violazione dell’art. 521 c.p.p., poichè non vi è stato scostamento dall’addebito contestato al prevenuto, semmai un diverso percorso argomentativo: la vicenda connessa all’anticipazione della somma di L. 500.000.000 non modifica l’accusa, ma – in funzione accessoria, al fine di raggiungere una spiegazione dei passaggi finanziari – giova ad illuminare le cadenza della aggrovigliata relazione con il B. e non incide sulla sostanza dell’addebito (casomai, resta da sottolineare che l’impiego dell’importo non appare giustificato, ma tanto non è dedotto nel capo di imputazione).

Per tutte queste ragioni ed alla luce dell’art. 578 c.p.p., la Corte non accoglie i ricorsi proposti, neppure agli effetti civili, anche a prescindere dalla causa di estinzione dei reati.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di V. A. e di Z.E., perchè i reati loro ascritti sono estinti per prescrizione; rigetta i loro ricorsi agli effetti civili.

Rigetta i ricorsi di P.P. di P.A. e condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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