Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-11-2010) 26-01-2011, n. 2579 Circolazione stradale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.R. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Sarzana per rispondere del reato di lesioni personali colpose – commesso, secondo la contestazione, con violazione delle norme sulla circolazione stradale mentre era alla guida di un’auto – e di quelli di cui all’art. 189, commi 6 e 7, perchè, dopo aver provocato un incidente stradale in danno del ciclista M.S. "tagliandogli" la strada, aveva omesso di fermarsi e di prestare la necessaria assistenza al M. stesso – il quale nell’occasione aveva riportato lesioni personali cadendo dalla bicicletta – dandosi immediatamente alla fuga. Il Tribunale, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, condannava l’imputato alla pena di mesi quattro di reclusione (oltre alla sospensione della patente di guida per la durata di mesi sei) per la violazione dell’art. 189 C.d.S., e pronunciava declaratoria di improcedibilità per il reato di lesioni colpose per mancanza di querela. A seguito di gravame ritualmente proposto nell’interesse dell’imputato, la Corte d’Appello di Genova confermava l’impugnata decisione, e dava conto del suo convincimento, circa la ritenuta colpevolezza del B., richiamando gli acquisiti elementi probatori, ed in particolare: a) le dichiarazioni del M., secondo cui l’auto dalla quale era stato investito, ed il cui conducente non si era fermato per prestare soccorso, era una "Polo" di colore bordeaux, la cui targa coincideva con il numero alfanumerico "(OMISSIS)" oppure "(OMISSIS)", diverso, dunque, solo per la prima cifra; b) gli accertamenti espletati, in base ai quali era stato possibile appurare che il veicolo corrispondente alla prima targa era stato radiato, mentre quello corrispondente alla seconda targa apparteneva alla moglie dell’imputato e coincideva per modello e colore al veicolo indicato dalla parte lesa; c) le dichiarazioni della moglie dell’imputato, secondo cui questi era alla guida dell’auto in argomento nel giorno, ed all’incirca alla stessa ora, in cui si era verificato l’investimento del M.. Quanto ai rilievi della difesa, la Corte sottolineava poi che: a) i testi indicati a discarico – secondo i quali il B. al momento dell’incidente era già sul posto di lavoro – non potevano ritenersi attendibili avendo rilasciato le loro dichiarazioni, peraltro caratterizzate da genericità, a distanza di alcuni mesi dal fatto, per cui appariva inverosimile che gli stessi potessero ricordare con precisione l’ora in cui il B. era giunto al lavoro; b) le conclusioni della consulenza tecnica in atti presentavano valenza probatoria neutra, posto che la dinamica del sinistro quale ricostruita dal primo giudice non era stata contestata dall’appellante, ed appariva inoltre plausibile che l’incidente stesso, avuto riguardo alle sue modalità, non avesse lasciato sull’auto tracce ad esso inequivocabilmente riconducibili.

Ha proposto ricorso per cassazione il B., a mezzo del difensore, denunciando vizio motivazionale in ordine all’affermazione di colpevolezza, reiterando le argomentazioni già sottoposte al vaglio dei giudici di merito, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei testi a discarico, in parte riportate testualmente nel ricorso; il ricorrente deduce poi che la Corte distrettuale non avrebbe indicato le ragioni poste a base della ritenuta attendibilità della parte offesa, portatrice di interesse nel processo.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Le critiche mosse dal ricorrente all’impugnata sentenza, pur rappresentate sotto l’enunciato profilo di censure di legittimità, presentano profili ai limiti della inammissibilità in quanto sono in gran parte sostanzialmente ripetitive delle doglianze già dedotte in sede di appello – e specificamente disattese dalla Corte territoriale con logico apparato argomentativo – e propongono quindi, con un taglio prevalentemente di merito, tematiche di puro fatto esaustivamente già trattate dalla Corte distrettuale la quale non ha mancato di confrontarsi con le deduzioni difensive, qui riproposte senza autentici spunti di novità, dando ad esse esauriente risposta nel confutarle e disattenderle. In proposito va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, Nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì affermato il seguente principio di diritto: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4, N. 256/98 – ud. 18/9/1997 – RV. 210157; nello stesso senso Sez. 4, N. 1561/93 – ud. 15/12/1992 – RV. 193046). Nella concreta fattispecie la Corte di merito, come si è avuto già modo di dire, ha dato conto del proprio convincimento con l’indicazione degli specifici elementi probatori, significativamente ed ulteriormente corroborati dalle deduzioni logiche che i giudici di merito hanno ritenuto di dover trarre dalla concatenazione temporale dei fatti e dalle circostanze oggettive acclarate. La Corte territoriale ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell’accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte distrettuale, ed in quanto tale non proponibile in questa sede. Per quel che riguarda la valenza probatoria attribuita alla deposizione della parte lesa, giova ricordare quelli che sono i principi di diritto enunciati nella giurisprudenza di questa Corte, che anche in questa occasione si intende ribadire perchè pienamente condivisibili: "in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. 3, n, 8382 del 22/01/2008 Ud. -dep. 25/02/2008 – imp. Finazzo, Rv. 239342); "in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa e quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità." (Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 – imp. Assenza, Rv. 225232). Nel caso in esame il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, hanno evidentemente sottoposto le dichiarazioni della parte offesa ad attento vaglio critico.

Neppure possono assumere rilievo, nella concreta fattispecie, le modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006 (c.d. Legge Pecorella) all’art. 606 c.p.p.. A fronte dei motivi di ricorso cosi come formulati, compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte di merito, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata. In realtà, le deduzioni del ricorrente – caratterizzate dal richiamo alle dichiarazioni dei testi a discarico, in parte riportate testualmente nel ricorso – non risultano in sintonia con il senso dell’indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo cui (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della L. n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 c.p.p., lett. c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 c.p.p. – anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr.

Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all’esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte della decisione impugnata, e di quella (integrativa) resa all’esito del primo grado di giudizio, a tutti i temi toccati dalla difesa del B.. Ma v’è di più, posto che non era sufficiente: a) che gli atti del processo invocati dal ricorrente fossero semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti fossero astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorreva invece che gli "atti del processo", presi in considerazione dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione, fossero "decisivi", ossia – e giova qui ripetere quanto si è avuto già modo di precisare innanzi – autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticolasse l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determinasse al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

In definitiva: la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).

Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. e): pur asserendo di volere contestare l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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