Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-11-2010) 26-01-2011, n. 2577

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava l’affermazione di responsabilità pronunciata in primo grado, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, nei confronti di P.M. e M.M., in relazione al reato di furto tentato di una fotocamera digitale in danno dell’esercizio commerciale UNIEURO: con le aggravanti di cui all’art. 625 c.p., nn. 2 e 7, avendo il P., per eludere i controlli, occultato nelle tasche dei pantaloni la merce sottratta, ed avendo commesso il fatto su cosa posta sui banchi di vendita e, quindi, esposta per necessità, consuetudine e destinazione alla pubblica fede (con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale per entrambi). La Corte territoriale riteneva provata la colpevolezza degli imputati in base agli elementi probatori acquisiti agli atti, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese dai dipendenti dell’esercizio commerciale i quali avevano riferito di aver tenuto sotto osservazione i due perchè insospettiti dai loro movimenti, e di averli bloccati dopo che il P., giunto nei pressi delle casse del negozio, aveva tolto dalla tasca dei pantaloni, riponendola in un vicino contenitore, la fotocamera che in precedenza aveva prelevato dai banchi di vendita dove era in esposizione; da tali dichiarazioni era emerso che: a) il M. si era adoperato per distrarre i dipendenti del negozio chiedendo informazioni su un’inesistente cartuccia per stampante, mentre il P. si impossessava dell’apparecchio fotografico; b) una volta resosi conto che il personale addetto alla vendita si era insospettito, il M. aveva messo in allarme il P. ed i due erano stati visti confabulare e poi aggirarsi per il negozio cercando di avviarsi verso l’uscita; c) era scattato l’allarme antitaccheggio ed il M. era stato invitato a mostrare il contenuto delle tasche dei suoi pantaloni; il P., il quale si trovava alcuni metri dietro, aveva prelevato l’apparecchio fotografico dalla tasca dei pantaloni riponendolo in un contenitore nelle vicinanze dove poi l’apparecchio stesso era stato rinvenuto. La Corte, in risposta a specifica deduzione difensiva, riteneva del tutto irrilevante stabilire se il dispositivo di allarme antitaccheggio era scattato automaticamente oppure era stato attivato manualmente posto che il M. era stato invitato a mostrare il contenuto delle tasche dei pantaloni dopo il segnale di allarme del sistema antitaccheggio;

la Corte stessa sottolineava ancora che: a) in sede di convalida di arresto il, P. aveva ammesso le sue responsabilità, pur scagionando il M.; b) i due imputati avevano reso dichiarazioni vaghe e contraddittorie circa i motivi della loro presenza nell’esercizio commerciale; e) non vi era alcun elemento per dubitare dell’attendibilità dei testi, non avendo costoro alcun interesse ad ottenere la punizione del P. il quale non aveva attentato al loro personale patrimonio; d) le discrasie emerse tra le versioni rese dai testi riguardavano solo aspetti del tutto marginali della vicenda. Quanto alla qualificazione del fatto, la Corte distrettuale riteneva configurabile, piuttosto che raggravante (formalmente contestata con il capo di imputazione) del mezzo fraudolento (per avere il P. occultato nella tasca dei pantaloni l’apparecchio fotografico prelevato dal banco di esposizione), l’aggravante della destrezza posto che il P. aveva privato l’oggetto della confezione onde renderlo più facilmente occultabile nella tasca dei pantaloni: nè risultava violato il principio di correlazione fra contestazione e sentenza, trattandosi di circostanza aggravante (la destrezza) contestata agli imputati in fatto. La Corte escludeva invece la configurabilità dell’aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede, trattandosi di merce esposta sui banchi di vendita e munita di etichetta antitaccheggio che consentiva quindi un costante controllo del personale di sorveglianza sulla merce stessa, e riduceva quindi la pena inflitta dal primo giudice, rideterminandola con riferimento al reato di tentativo di furto monoaggravato (e non pluriaggravato come ritenuto dal Tribunale). La Corte stessa disattendeva le ulteriori doglianze della difesa in ordine al trattamento sanzionatorio: riteneva gli imputati non meritevoli delle attenuanti generiche, ostandovi i loro plurimi precedenti penali; rigettava la richiesta del M. di riconoscere l’attenuante della minima partecipazione al fatto ( art. 114 c.p.), non potendo considerarsi di minima partecipazione il ruolo svolto dallo stesso; riteneva infine insussistenti i presupposti per la configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità avuto riguardo al valore commerciale della macchina fotografica oggetto del tentativo di furto, pari ad Euro 80,00, che, se pur modesto, non poteva considerarsi irrilevante.

Ricorre per cassazione il M., tramite il difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con censure che, formulate con il richiamo a passaggi delle dichiarazioni rese dal P. e dai testi in sede di indagini preliminari, possono così riassumersi:

a) erronea valutazione delle emergenze probatorie, e travisamento della prova in ordine alla ritenuta colpevolezza; b) violazione di legge sulla ritenuta configurabilità dell’aggravante della destrezza, tenuto conto che la macchina fotografica era munita del dispositivo antitaccheggio e peraltro sporgeva dalla tasca dei pantaloni del P. e quindi era ben visibile; c) violazione di legge sulla ritenuta sussistenza sia dell’aggravante del mezzo fraudolento che di quella della destrezza, l’una escludendo l’altra, ed essendo stata contestata una sola aggravante; d) improcedibilità per mancanza di querela, una volta venute meno le aggravanti contestate, mancando l’istanza di punizione nella denuncia presentata dai responsabili dell’esercizio commerciale in cui è avvenuto il fatto; e) violazione del principio di correlazione, e conseguente nullità dell’impugnata sentenza, per essere stata ritenuta in sentenza l’aggravante della destrezza non contestata; f) i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere insussistente l’attenuante del danno di lieve entità, da ritenersi invece configurabile avuto riguardo al modesto importo del prezzo della macchina fotografica, pari ad Euro 80,00.
Motivi della decisione

Le censure relative alle valutazioni probatorie in ordine alla ritenuta colpevolezza, dedotte con il primo ed il secondo motivo di ricorso, sono infondate. Ed invero, le critiche mosse dal ricorrente all’impugnata sentenza, pur rappresentate sotto l’enunciato profilo di censure di legittimità, sono ripetitive delle doglianze già dedotte in sede di appello – e puntualmente e specificamente disattese dalla Corte territoriale con l’ampio, coerente e logico apparato argomentativo sopra ricordato nella parte relativa allo "svolgimento del processo" (e da intendersi qui integralmente riportato onde evitare superflue ripetizioni) – e propongono quindi, con un evidente taglio di merito, tematiche di puro fatto esaustivamente già trattate dalla Corte distrettuale la quale non ha mancato di confrontarsi con le deduzioni difensive, qui riproposte senza autentici spunti di novità, dando a ciascuna di esse, come detto, esauriente risposta nel confutarle e disattenderle. In proposito va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un., N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, Nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì affermato il seguente principio di diritto: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4^, N. 256/98 – ud. 18/9/1997 – RV. 210157; nello stesso senso Sez. 4^, N. 1561/93 – ud. 15/12/1992 -RV. 193046). Nella concreta fattispecie la Corte di merito, come si è avuto già modo di dire, ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento con l’indicazione degli specifici elementi probatori sopra ricordati, significativamente ed ulteriormente corroborati dalle deduzioni logiche che i giudici di merito hanno ritenuto di dover trarre dalla dinamica del fatto e dalle circostanze oggettive rilevate e riferite dai testi.

Per quel che riguarda la qualificazione giuridica del fatto, con specifico riferimento all’aggravante, pure oggetto delle doglianze del ricorrente, si impongono talune precisazioni. Deve certamente escludersi, contrariamente a quanto invece ritenuto dalla Corte territoriale, la sussistenza dell’aggravante della destrezza, non ravvisandosi nella condotta degli imputati P. e M., finalizzata all’impossessamento furtivo della macchina fotografica, quella particolare abilità dell’agente (anche espressa attraverso astuzia e rapidità), tale da menomare apprezzabilmente la capacità difensiva e la vigilanza del proprietario della cosa, che caratterizza l’aggravante in argomento.

E’ però certamente ravvisabile, nel caso in esame, l’aggravante dell’uso di mezzo fraudolento, peraltro contestata al M. (ed al suo coimputato) non solo in fatto ma anche esplicitamente come è dato rilevare dalla formulazione del capo di imputazione. Le modalità del fatto, ed in particolare l’occultamento dell’apparecchio fotografico, una volta liberato dal suo involucro, nella tasca dei pantaloni del (coimputato) P., sono tali da rendere certamente configurabile detta aggravante, avuto riguardo ai principi enunciati da questa Corte in materia: "l’espressione "mezzo fraudolento", di cui all’art. 625 c.p., n. 2, comma 1, comprende ogni attività fraudolenta o insidiosa, che sorprenda o soverchi la contraria volontà del detentore della cosa, sicchè in esso rientra ogni operazione straordinaria improntata ad astuzia o scaltrezza, diretta ad eludere le cautele ed a rendere vani gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa delle proprie cose (RV 187873). Rientra dunque, senza dubbio alcuno, in tale categoria la condotta del soggetto che nasconda la refurtiva sulla sua persona" (così si è testualmente espressa la Sezione Quinta con la sentenza n. 30857/2005, non massimata; nello stesso senso si veda Sez. Quarta, n. 13871 del 06/02/2009 Ud. – dep. 30/03/2009 – Rv. 243203).

Nei termini di cui sopra deve dunque riqualificarsi come uso di mezzo fraudolento l’aggravante che la Corte territoriale aveva invece ritenuto ravvisabile nella destrezza, rientrando nei poteri officiosi della Corte di cassazione la riqualificazione giuridica del fatto, purchè non implichi lo svolgimento di accertamenti di fatto incompatibili con il giudizio di legittimità (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 2, n. 14674 del 26/02/2010 Ud. – dep. 16/04/2010 – Rv. 246922). Ne deriva, da quanto appena detto, l’infondatezza e/o l’assorbimento delle censure – concernenti la ritenuta sussistenza, e la configurabilità, della circostanza aggravante, nonchè la procedibilità dell’azione penale per mancanza dell’istanza di punizione in relazione a reato non aggravato – dedotte con il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo dei motivi di ricorso, e specificamente: terzo motivo, violazione di legge quanto alla ritenuta configurabilità dell’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento; quarto motivo: violazione di legge sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante della destrezza; quinto motivo, violazione del principio di correlazione, perchè l’aggravante della destrezza non sarebbe stata ritualmente contestata; sesto motivo, violazione di legge con riferimento alla contestazione sia dell’aggravante del mezzo fraudolento che di quella della destrezza, muovendo dal rilievo che l’una escluderebbe l’altra, e che sarebbe stata comunque contestata una sola aggravante; settimo motivo:

improcedibilità per mancanza di querela, nel caso di insussistenza di qualsiasi aggravante.

Resta da esaminare l’ultimo motivo di ricorso con il quale è stata denunciata violazione di legge per avere i giudici del merito negato la configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, invocata dalla difesa in relazione al valore commerciale della macchina fotografica, oggetto dell’azione delittuosa, pari ad 80,00 Euro. Trattasi di doglianza infondata. Ed invero – a prescindere dalla questione circa la possibilità o meno della configurabilità dell’attenuante in parola nel delitto tentato (al riguardo vi è contrasto di giurisprudenza, e risulta decisamente prevalente l’indirizzo interpretativo favorevole alla risposta affermativa a tale quesito) – mette conto sottolineare che per poter ritenere sussistente l’attenuante stessa è necessario che ci si trovi in presenza di un danno non solo lieve bensì di speciale tenuità, vale a dire di rilevanza minima (in termini, Sez. 2^, n. 7603 del 27/02/1990 Ud. – dep. 31/05/1990 – Rv. 184484). Nella concreta fattispecie la Corte territoriale ha ritenuto, con apprezzamento di merito incensurabile in questa sede perchè privo di qualsiasi connotazione di illogicità, che non possa oggettivamente considerarsi di minima rilevanza un danno pari ad 80,00 Euro.

Conclusivamente, sulla scorta di tutte le suesposte argomentazioni, (ri)qualificata l’aggravante contestata al M. come uso di mezzo fraudolento, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, come per legge, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Qualificata la contestata aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2, come uso di mezzo fraudolento, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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