T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 21-01-2011, n. 687 Vincoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente afferma di agire in giudizio in qualità di proprietaria di un terreno sito in comune di Roma Località Prato Smeraldo, di modesta entità (foglio 886,part.lle 1195,1196,1197, 1200, 1201) e ubicato ai margini estremi dell’area perimentrata, in prossimità di un toponimo, del quale ad avviso della ricorrente rappresenterebbe un naturale completamento. Il contesto è fortemente urbanizzato, servito da viabilità urbana interquartiere e collocato all’interno di un "Programma di trasformazione urbanistica Prato Smeraldo, da attuare mediante compensazione di parte dei diritti volumetrici afferenti alle aree del Comprensorio "Zona E1 Tor Marancia"

La proposta di approvazione del programma, valutata positivamente dal comune é stata compresa nella delibera di Indirizzi al Sindaco ex art. 24 dello statuto per la sottoscrizione del relativo accordo di programma.

Le aree della ricorrente sarebbero indispensabili alla realizzazione del programma perché destinate ad occupare qualificanti infrastrutture viarie.

Nel corso delle conferenze di servizi del 2005, 2006 e 2007 convocate per l’approvazione del programma sono stati acquisiti tutti i necessari pareri favorevoli, espressamente indicati nel ricorso e documentati e nel giugno del 2008 il Comune di Roma ha dato atto della conclusione della Conferenza di servizi.

In sede di adozione del "Piano delle Certezze’, e poi con l’approvazione del nuovo Piano regolatore, è stata confermata la vocazione edificatoria del comprensorio, destinato dapprima ad "Ambito di trasformazione prevalentemente residenziale- R66 della città della Trasformazione" ammesso alla compensazione edificatoria e poi, conclusasi la conferenza di copianificazione con la sottoscrizione ed approvazione dell’accordo, in data 12/2/2008, poi ratificato e pubblicato tra gli " Ambiti a pianificazione particolareggiata definita" della Città della trasformazione.

Ciò posto, con espresso riferimento agli atti impugnati, la ricorrente rileva che nella "Proposta di perimetrazione" – adottata nelle more dello svolgimento della procedura di esame e di adozione del nuovo Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR) adottato dalla Giunta Regionale con atti n. 556 del 25/07/2007 e n. 1025 del 21/12/2007, ai sensi degli artt. art. 21, 22, 23 della Legge Regionale 06/07/1998 n. 24 – le aree di sua proprietà comprese nel "Programma Prato Smeraldo " sono state incluse per circa l’89% nella categoria del "Paesaggio degli insediamenti in evoluzione"e per la restante parte nel " Paesaggio naturale di continuità "agrario di valore’, destinazioni che la stessa ha ritenuto lesive della sua posizione, sicchè ha formulato le proprie osservazioni chiedendo lo stralcio dall’ambito complessivamente perimetrato. Il Ministero ha rigettato l’osservazione "dal punto di vista giuridico" ed ha ritenuto di non poterla valutare sul piano tecnico stante la mancata integrazione della documentazione richiesta.

Il ricorso è sorretto dai seguenti motivi, ampiamente argomentati che si sintetizzano nelle relative epigrafi:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4, 5, 136 e 138, comma terzo, e 141 del D.Lgs. 22/01/2004 n. 42 e ss.mm.ii., recante il "Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio". Violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, leale collaborazione, decentramento e riconoscimento delle autonomie locali in materia di tutela del paesaggio, ai sensi degli artt. 5, 9 e 118 della Cost.. Carenza dei presupposti per l’esercizio del concorrente potere ministeriale di imposizione del vincolo di notevole interesse pubblico. Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto d’istruttoria. Contraddittorietà ed illogicità manifesta.

Nella fattispecie in esame, non esisterebbe nessuno dei presupposti in presenza dei quali può ritenersi legittimo l’esercizio del concorrente potere ministeriale di individuazione dei beni paesaggistici rispetto alle aree della ricorrente, dovendosi escludere che l’esercizio di detto potere sia avvenuto, con riferimento a dette aree, allo scopo di assicurare un "livello di governo unitario" o nell’inerzia della Regione.

Non sarebbe configurabile infatti un potere ministeriale sovraordinato di revisione delle previsioni del PTPR, adottato in conformità di quanto convenuto nell’accordo di collaborazione interistituzionale siglato nel 1999 tra il Ministero e la Regione Lazio, strumento peraltro, ancora non definitivamente approvato.

Il Ministero avrebbe dovuto attivare lo strumento dell’intesa ex art. 143, comma secondo, del Codice Urbani, anziché procedere ad un’autonoma attività di pianificazione paesaggisticoambientale, adottando tra l’altro prescrizioni di tutela sostitutive di quelle del PTPR in corso di definitiva approvazione (art. 1 delle Norme, all. 2 al provvedimento).

Analoghe considerazioni varrebbero per i rapporti con il Comune di Roma, con conseguente grave lesione dell’affidamento e dell’aspettativa giuridicamente maturata dalla Società ricorrente, in ordine alla trasformazione urbanistica delle aree di sua proprietà e lesione del principio di collaborazione con le amministrazioni locali (cfr. TAR del Lazio, 11/02/2004, n. 2984).

Nella specie sarebbero stati disattesi dal ministero tutti i pareri e nullaosta in precedenza espressi, tramite le competenti Soprintendenze e Direzioni anche nel corso della procedura di approvazione del programma Prato Smeraldo, indicativi di una collaborazione già compiuta, poiché la stessa amministrazione sarebbe stata invitata a partecipare alla conferenza di servizi ed avrebbe ricevuto la documentazione conclusiva della stessa.

2) Violazione e falsa applicazione, sotto molteplici e concorrenti profili, degli artt. 1, 4, 5, 133, 135, 136 e 138, comma terzo, 140, 141, 143 e 156 del D.Lgs. 22/01/2004 n. 42 e ss.mm.ii., recante il "Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio". Eccesso di potere per sviamento dell’atto dalla sua causa tipica nonché per violazione del principio di leale collaborazione. Violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa e del giusto procedimento.

Il provvedimento impugnato, lungi dall’apparire frutto di un corretto esercizio del potere ministeriale di vincolo, sarebbe stato adottato al dichiarato fine di precedere l’approvazione del PTPR e, dunque, al fine di far prevalere – nell’esercizio di una potestà, quasi punitiva, la competenza dello Stato centrale sulla concorrente competenza regionale in materia di tutela del paesaggio, in spregio del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione interistituzionale.

Il Ministero non si è limitato a prevedere una disciplina atta ad "assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato", come prescritto dall’art. 140, comma 2, del codice Urbani, in caso di esercizio del potere ministeriale di individuazione dei beni paesaggistici, ma ne stabilisce il regime d’uso, secondo le tecniche e gli effetti propri degli strumenti di pianificazione paesaggisticoterritoriale, con sviamento dell’atto dalla sua causa tipica.

La definizione unilaterale delle nuove disposizioni di tutela paesaggistica, senza alcun sostanziale confronto con la Regione Lazio ed il Comune di Roma sarebbe il frutto di un’impostazione fortemente accentratrice delle attività degli organi statali, con conseguente sottovalutazione degli interessi locali, anche in termini di "sviluppo sostenibile" e delle scelte di pianificazione urbanistica ed edilizie.

Nel caso di specie, inoltre nel corso dell’istruttoria il ministero avrebbe dovuto acquisire tutti gli atti pregressi adottati od approvati da comune e regione, avendo cura di valutarli, prenderli in considerazione, sotto ognuno dei profili di eventuale difformità rilevati e motivare specificamente, anziché vanificare gran parte delle attività compiute nel corso della procedura di approvazione del PTPR della Regione Lazio, ancora in itinere, sia in sede di attuazione delle previsioni del nuovo P.R.G. del Comune di Roma.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e carenza di motivazione. Eccesso di potere per errore, falsità e travisamento dei presupposti.

Dalla "Relazione di sintesi istruttoria", peraltro, integrata rispetto a quelle allegata alla proposta di vincolo, si ricaverebbe che la tutela che il Ministero ha inteso esercitare riguarda non già, direttamente o indirettamente, singoli beni riconosciuti di interesse paesaggistico ma piuttosto un’intera porzione del territorio comunale, ossia una "bellezza naturale d’insieme".

Nella specie la ricomprensione in un unico vincolo di un ambito particolarmente vasto, che ecceda il concetto di località inteso "nel suo senso più comune e ragionevole ", può trovare giustificazione solo in base ad una dimostrata eccezionalità delle caratteristiche di omogeneità del territorio, che nella specie sarebbero al contrario assenti.

La genericità delle espressioni utilizzate dall’Amministrazione paleserebbe una evidente carenza di istruttoria e di motivazione.

4)Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e carenza di motivazione. Eccesso di potere nelle figure sintomatiche della contraddittorietà ed ingiustizia manifesta e della lesione dell’affidamento.

Il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo in quanto emanato in assenza di un’adeguata istruttoria viziato da eccesso di potere, per violazione del fondamentale principio di proporzionalità, essendo stata trascurata ogni considerazione in ordine agli interessi della ricorrente, al fine di imporle il minor sacrificio possibile, anche in considerazione degli esiti sempre favorevoli di lunghissime ed accurate istruttorie sulle potenzialità residenziali del sito, già indicati in fatto, con.ingiusta lesione dell’affidamento degli amministrati.

La ricorrente, infine, afferma che sussisterebbero tutti i presupposti per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, da quantificarsi in separato giudizio, sussistendo sia il nesso causale, sia l’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che il comportamento dell’amministrazione apparirebbe gravemente colposo.

Si è costituita in giudizio, per resistere, l’Amministrazione intimata con memoria scritta a sostegno del proprio operato.

Con memoria conclusionale la ricorrente ha replicato alle difese della parte avversa.

L’Amministrazione ha prodotto ulteriori controdeduzioni in vista dell’udienza.

All’udienza pubblica odierna il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I presupposti di fatto e di diritto che hanno preceduto l’adozione del provvedimento impugnato sono già stati sintetizzati.

La specifica posizione giuridica della ricorrente, se inquadrata nell’ambito della normativa urbanistica, assume i connotati di un’aspettativa, qualificata dal grado di approfondimento ormai raggiunto da un’annosa istruttoria che appare conclusa nei suoi elementi essenziali (sottoscrizione dell’accordo, e ratifica dello stesso con ordinanza sindacale pubblicata sul B.U.R.L.)

La stessa ricorrente, peraltro secondo quanto affermato dal Ministero nelle controdeduzioni non avrebbe fornito all’amministrazione prova dell’avvenuta definizione del procedimento, mentre non è stato contestato che il suo terreno per nove decimi è stato classificato come paesaggio degli insediamenti in evoluzione, circostanza che non esclude dunque, una volta forniti gli elementi richiesti "sotto il profilo tecnico" la possibilità di realizzare gli interventi di urbanizzazione ritenuti essenziali per il programma, ove lo stesso sia stato ritenuto ammissibile.

La ricorrente ritiene comunque il provvedimento illegittimo perché l’amministrazione dello Stato, nel dichiarare il notevole interesse pubblico di una vasta area dell’ "Agro Romano" avrebbe in sostanza pianificato, agendo in violazione dei principi di leale collaborazione, incidendo sulle previsioni del piano regolatore approvato e di un Piano paesaggistico regionale già adottato e corredato di specifiche norme d’uso per ogni parte del territorio, avrebbe esorbitato dai limiti di esercizio di un potere, a suo avviso, per sua natura eccezionale e comunque integrativo e sostitutivo, da attivare per aree prive di disciplina paesaggistica, avrebbe vincolato aree non omogenee e prive dei valori tipici delle bellezze d’insieme, alla fine avrebbe ammesso la edificabilità del terreno della ricorrente, gia riconosciuta costantemente nel tempo dal Comune e dalla Regione nel PTP e nel PTPR, in realtà pianificando ed invadendo la potestà riservata dalla legge e dalla costituzione alla Regione.

In sintesi, sempre secondo la ricorrente, l’art.138, ultimo comma (come modificato dall’art. 8 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e dall’art. 2, comma 1, lettera h) del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63), laddove stabilisce che "E’ fatto salvo il potere del Ministero….di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136", si limiterebbe a disciplinare la mera possibilità del Ministero di intervenire in via integrativa od in sostituzione della Regione, per il caso di inerzia del competente organo regionale, e non costituirebbe alcun potere autonomo e concorrente dell’autorità statale.

Ciò sarebbe, seguendo la prospettazione della ricorrente, confermato dall’art. 142, che, nel disciplinare l’integrazione del contenuto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico, stabilendo al primo comma che "Il Ministero e le regioni provvedono ad integrare le dichiarazioni di notevole interesse pubblico rispettivamente adottate con la specifica disciplina di cui all’articolo 140, comma 2", sancisce al comma successivo che "Qualora le regioni non provvedano alle integrazioni di loro competenza entro il 31 dicembre 2009, il Ministero provvede in via sostitutiva. La procedura di sostituzione e" avviata dalla soprintendenza ed il provvedimento finale e" adottato dal Ministero, sentito il competente Comitato tecnicoscientifico" ed in tal modo, a suo dire, confermerebbe la natura di tale potere statale come di limitato intervento sostitutivo ed integrativo.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, invece, l’art. 138, all’ultimo comma, avrebbe introdotto il potere autonomo e concorrente dello Stato di imporre i vincoli in questione, comportanti specifica disciplina d’uso delle aree interessate, prevalente su quella del Piano paesistico regionale, anche in assenza di previa intesa con la Regione, titolare del potere di governo del territorio, in tal modo sancendo la prevalenza dell’interesse alla salvaguardia dei valori di identità rispetto a quella di autodeterminazione degli enti esponenziali delle comunità territoriali.

La tesi della ricorrente non ha fondamento.

Al fine di meglio inquadrare la questione sottoposta all’esame del Collegio, è necessario operare una ricostruzione della materia alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale ed in particolare della novella successivamente introdotta al Codice dei BB.CC.PP., con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

Il Codice dei Beni Culturali, all’art. 131, nella versione vigente, modificato anche in questa parte, prevede in linea generale che:

"1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.

2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità" nazionale, in quanto espressione di valori culturali.

3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano cfr. corte cost. 29 luglio 2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici."

Pertanto se, in via ordinaria, ai sensi dell’art. 135 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs, la conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio è assicurata tramite la pianificazione paesaggistica e a tale fine le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143 d.lgs. 42/04 e s.m.i., sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, tuttavia tale assetto ordinario delle competenze trova un limite, ai sensi del terzo comma dell’art. 131 del Codice, nella ricordata "… potestà esclusiva" dello Stato di tutela del paesaggio che si pone come preciso limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni sul territorio.

Va evidenziato che l’art. 131, nella sua nuova versione introdotta dalla novella del 2008, insiste nell’affermare che tutti i soggetti che intervengano sul paesaggio e quindi anche le regioni devono assicurare " la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari", mentre è sancito che gli interventi sul territorio devono essere informati ad un " uso consapevole e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti ai criteri di qualità e sostenibilità".

Il potere esclusivo di intervento dello Stato è stato specificato proprio nell’articolo 138 comma 3° (nel testo introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera h) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) del codice dei Beni Culturali per cui:

"E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136.".

E’ evidente dalla sua stessa costruzione letterale, che non prevede limiti d’intervento, che non si tratta né di una potestà, né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere dovere di intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto dai primi due commi della stessa norma, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi nei quali, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato. Ed è significativo che il legislatore abbia introdotto tale modifica in aggiunta al già disciplinato potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli art. 156, terzo comma e 143, secondo comma. Si è voluta in tal modo ribadire la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale, il primo spettantele in via diretta sulla base dei principi costituzionali ed il secondo, funzionale alla valorizzazione del paesaggio,in via sostitutiva.

Si tratta manifestamente dell’introduzione di una norma "di chiusura" del sistema per porre una garanzia di una tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale (nel momento in cui si è modificato il procedimento paesistico) e di una riappropriazione, non incostituzionale, di potere rispetto all’originaria impronta del codice che lasciava ampio spazio alle regioni, sia nell’autonoma individuazione dei "beni paesaggistici", sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesaggistici estesi a tutto il territorio regionale.

Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella – previo parere della Conferenza Unificata StatoRegioni — è stato riconosciuto, e disciplinato, "… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla corte Costituzionale con la sentenza 1424 luglio 1998 n.334…"

Il potere è, quindi legittimamente esercitato, come nella specie, quando, il "munus patrum" da tramandare alle generazioni future può apparire pregiudicato da scelte effettuate dagli enti locali, anche se nel corretto esercizio del distinto potere di gestione del territorio e del suo sfruttamento a fini edificatori o di sviluppo delle città. La tutela del bene paesaggistico infatti prevale, per scelta del costituente, sulla realizzazione degli altri interessi economici.

Quando, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni..), si determini una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si verifichi la prevalenza di scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico che appaia oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari e sia quindi impossibile un’azione condivisa, la preminenza del valore "paesaggio" implica che debba esser "…fatto salvo il potere del Ministero…" (così la norma) di cui all’art. 138, 3° co. di imporre autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio, previo procedimento, sia pure differenziato nelle modalità di avvio e di partecipazione, sia della regione (che deve esprimere un parere),che dei comuni (che possono presentare osservazioni).

E’ bene chiarire che tali norme non si riferiscono al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla Regione, la quale in sede di pianificazione, dopo aver recepito i vari vincoli e le relative norme d’uso, ove formulate, resta libera di tipizzare a sua volta altre porzioni di territorio e comunque di regolare il restante territorio non vincolato, di delinearne la valorizzazione e gestione secondo criteri sempre rispettosi dei valori costituzionali. La disposizione conferma e riconosce allo Stato il superiore potere di individuare i beni paesaggistici, da sottoporre a specifica tutela anche, per scongiurare ogni equivoco, attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili e delle aree in sé considerati, ma "dei valori"espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude dunque la possibilità di disciplinare interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico – nella loro individualità od in complessi ben definiti- purchè ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.

Tale nuova suddivisione del potere è tuttora coerente con la cornice delineata dalla Costituzione.

Come già più volte affermato in casi simili, sotto il profilo costituzionale, la "…tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali…" è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente ( art. 117, terzo comma, Cost.) la "valorizzazione dei beni ambientali". L’art. 117 della Costituzione, in realtà non menziona direttamente tra le materie nominate "il paesaggio", ma la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9 Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la "tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi,quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato.

Il termine "paesaggio" indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene "primario" ed "assoluto (arg. ex Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183). In tale prospettazione è dunque evidente che il "paesaggio", attenendo ad un valore costituzionalmente protetto necessita di una tutela che non può che essere unitaria; e supporta anche competenze regionali, nell’ambito degli standard di tutela stabiliti dallo Stato (arg. ex Corte Cost., 22 luglio 2004 n. 259).

La tutela ambientale deve infatti essere considerata come una tutela "d’insieme", e non concerne solamente i singoli elementi che la compongono, in quanto attraverso l’imposizione dei vincoli paesistici, si salvaguarda il bene paesaggio, ed al contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato VI, 22 marzo 2005, n. 1186).

Il paesaggio oggi non deve essere limitato al significato, meramente estetico, di bellezza naturale, ma deve essere inteso come "complesso dei valori inerenti il territorio" (cfr. Corte Cost. 7 novembre 1994, n. 379).

Come ha giustamente rammentato la ricorrente, il paesaggio, valore primario ed assoluto, non è infatti un valore immateriale e non è frutto di una pura percezione soggettiva, priva di elementi oggettivi, ma rappresenta una concreta rappresentazione della struttura del territorio, che deve godere di una considerazione acquisita nel tempo, frutto di una maturazione culturale.

Secondo la dottrina più accorta quindi, la salvaguardia del paesaggio non può più consistere unicamente nella ricerca e "cristallizzazione" del più alto grado di "naturalità", ma piuttosto nel mantenimento del rapporto uomoambiente, tipico dell’identità culturale che il paesaggio rappresenta: i beni paesaggistici costituiscono infatti parte del "patrimonio culturale".

Il sistema di tutela del paesaggio, dunque, rende legittime le limitazioni all’uso della proprietà dei beni tipizzati ed individuati "senza limitarne, peraltro la commerciabilità od una redditività diversa da quella dello sfruttamento edilizio, alla luce dell’equilibrio costituzionale tra gli interessi in gioco, che vede alcune facoltà del diritto dominicale recessive di fronte all’esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali ( art. 9 cost.) in attuazione della funzione sociale della proprietà"(Cass. 19/07/2002, n. 10542).

Nella specie, quindi, secondo i canoni indicati dall’art. 138 del Codice Urbani, il vincolo può ritenersi legittimamente imposto se formulato "con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono".

Volendo riassumere, dunque, sul territorio gravano più interessi pubblici (che pur potendo essere naturalmente antinomici, proprio per effetto della previsione della pianificazione paesistica, sono destinati a trovare un condiviso contemperamento) quali quelli concernenti in particolare:

– la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le modifiche recenti al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato, e che attiene — come obbligo morale verso le generazioni future e come legame fra la salvaguardia della natura e l’identità nazionale — al profilo della conservazione di una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento. il territorio naturale;

– il governo, l’utilizzo e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta alle Regioni di individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 comma 1, "beni paesaggistici" ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180).

Il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ "Agro romano"qui impugnato (come sarà più evidente in seguito) è coerente con tali principi, garantisce la conservazione dei valori paesistici anche attraverso la indicazione delle relative modalità d’uso e di trasformabilità, e può essere dunque considerato un legittimo esercizio dello speciale potere di intervento in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e di valorizzazione che la legge riconosce alla regione.

Ciò posto, erroneamente la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto, per effetto del richiamo contenuto nell’art. 141 primo comma, anche per l’esercizio del potere del Ministero (art. 138 comma3), la proposta motivata del Soprintendente, deve contenere "… prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi"; e "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata"(art. 140, comma 2 rich).

Per questo l’ampia estensione delle aree vincolate appare assolutamente irrilevante, in quanto una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte significativa della campagna romana, proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo identitario, il vincolo sull’agro romano non può che corrispondere alle dimensioni del territorio che presentano le corrispondenti caratteristiche, nell’area tra la Laurentina e l’Ardeatina.

.In tale prospettiva anche la presenza di aree degradate o già trasformate può di per sé non aver alcun significato e non dimostra assolutamente un’insufficiente istruttoria ed una carenza di presupposti per classificare l’area tra i "beni paesaggistici" da sottoporre a tutela, qualificando anzi peculiarmente sotto il profilo dell’interesse pubblico l’intervento della Soprintendenza, alla quale spetta il compito di garantire in tali casi uno sviluppo sostenibile ed una edificazione corrispondente il più possibile alle aspettative dei privati.

Anche il profilo relativo alla violazione del principio di leale collaborazione ed il richiamo all’accordo del 1999, non può essere condiviso in quanto è evidente dalla stessa prospettazione della censura e dalla ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato i rapporti successivi tra Regione e Ministero, come tale tentativo si sia rivelato assolutamente infruttuoso in quanto il limite di garanzia del bene, ritenuto idoneo e sufficiente dalla regione in sede di pianificazione, autonoma imposizione di vincoli e valorizzazione, e soprattutto in sede di modificazione dei PTP vigenti con la condivisione delle scelte edificatorie del comune, non è stato ritenuto sufficiente a garantire il ragionevole mantenimento dei valori intrinseci del bene dal titolare dell’autonomo e prevalente potere di tutela.

Esattamente l’avvocatura ha invocato il principio, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 88 del 2009, per cui quando la legge prevede una partecipazione procedimentale della regione, nelle forme,come nel caso, del "previo parere", l’acquisizione del predetto avviso ponga al riparo il provvedimento dalle denunce di violazione della leale collaborazione, non essendo tale parere vincolante ed essendo tale forma di collaborazione distinta e meno "forte"della previa intesa.

Ma anche a voler ritenere il contrario, ad avviso del Collegio, alla luce delle allegazioni documentali versate in giudizio dal Ministero, non può attagliarsi al caso di specie il precedente giurisprudenziale invocato dai ricorrenti (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 04 agosto 2008, n. 3895) per cui, in base ai principi di leale collaborazione e cooperazione conseguenti alla riforma del Titolo V Cost. (art. 114 e ss.), per l’imposizione di un vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 136 e ss. d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i.) lo Stato deve svolgere adeguate consultazioni delle Autonomie locali coinvolte. Queste consultazioni volutamente e legittimamente sono garantite dal legislatore solo nel corso del procedimento disciplinato dal primo comma dell’art. 138, mentre sono attenuate nel distinto caso di iniziativa ministeriale proprio perché la norma tende a far prevalere le esigenze di tutela del paesaggio su scelte di pianificazione urbanistica non condivisibili perché contrarie alla conservazione di valori primari.

A parte l’assorbenza del precedente rilievo, si deve osservare, alla luce delle allegazioni documentali versate in giudizio dall’avvocatura, come la Soprintendenza non si sia assolutamente sottratta al suo dovere di interloquire con le Amministrazioni Locali coinvolte né relativamente ai procedimenti di pianificazione urbanistica, né a maggior ragione, in fase di adozione del piano paesaggistico.

Per ciò che concerne il primo aspetto, gli atti depositati in questa sede, in cui non si discute sulla legittimità del piano regolatore, sono sufficienti a dimostrare che il ministero già nel 2003 aveva espresso, sia pure in modo generico, nell’esercizio di un distinto potere e nell’ambito di un diverso procedimento, il proprio avviso non coincidente con le scelte urbanistiche operate dal Comune nella zona.

Va peraltro ribadito che il potere esercitato con il provvedimento impugnato va tenuto ben distinto per presupposti e finalità da quello attribuito all’amministrazione dei beni culturali con la presentazione di osservazioni agli strumenti pianificatori comunali.

E’ inoltre inconferente anche il richiamo al D.M. del 15 luglio 2009 con cui, su richiesta di parere della Regione Lazio, era stato costituito un tavolo di lavoro comune, in quanto dopo la prima convocazione non vi sono state più riunioni, il che dimostra l’impossibilità, per le posizioni assunte dai rappresentati della Regione e del Comune, la manifesta impossibilità di giungere a soluzioni condivise, giustificando quindi l’esercizio da parte del Ministero degli speciali poteri di tutela del paesaggio.

Quanto alla mancata collaborazione con la Regione Lazio l’Avvocatura ha depositato in giudizio:

– le sette note con cui, dal 30 maggio 2007 al 20 luglio 2007, la Soprintendenza aveva puntualmente controdedotto alle osservazioni del Comune di Roma contenenti le proposte di modifica dei vigenti Piani Territoriali Paesistici ai sensi dell’articolo 23, comma primo della legge regione Lazio 204 / 1998, nell’ambito della procedura di elaborazione del nuovo PTPR;

– la nota riepilogativa in data 10 agosto 2007 con cui la Soprintendenza aveva riassunto le 120 problematiche e fornito le motivazioni per il mancato raggiungimento dell’accordo in materia paesistica tra il MIBAC e la regione Lazio. Anche se nella specie non è in discussione la legittimità del procedimento di approvazione del PTPR, è un fatto non controverso, almeno in questa sede, che di tali controdeduzioni la Regione non avrebbe tenuto conto, quanto meno nella misura segnalata dal Ministero, né in via istruttoria e né in fase decisoria come risulta evidente proprio dalla stessa delibera del Consiglio Regionale n.41 del 31 luglio 2007, con la quale, sostanzialmente, si facevano quasi integralmente proprie le indicazioni espansive della pianificazione comunale, "adeguando" i precedenti Piani Territoriali Paesistici alle nuove linee di espansione urbanistica anche in aree in precedenza qualificate come meritevoli di specifica conservazione da parte della stessa regione e densificando in misura importante, in recepimento della compensazione, le inferiori potenzialità edificatorie, riconosciute compatibili, sul piano della tutela del paesaggio, in precedenti piani attuativi. Tali produzioni dimostrano ulteriormente come vi sia stato da parte del Ministero nelle distinte sedi comunali e regionali un tentativo di avviare la leale collaborazione, di cui ora si lamenta la mancanza.

La Soprintendenza, a norma del citato articolo 138 terzo comma, ha ritualmente acquisito il parere della Regione Lazio (espresso nella nota protocollo n.13098 il 1 luglio 2009) motivando il proprio dissenso dai rilievi in esso contenuti; il parere del Comitato Regionale di Coordinamento in data 14 gennaio del 2009, il Parere del Comitato Tecnico Scientifico del Ministero ed ha ritualmente inoltrato al Comune di Roma la proposta di vincolo in data 3 luglio 2009 ed alla Provincia di Roma in data 8 luglio 2009.

Contrariamente a quanto mostra di ritenere la parte ricorrente, deve concludersi che il provvedimento impugnato non è un’improvvisata, sviatoria, ed estemporanea iniziativa del Ministero, ma si inserisce nell’ambito di una dialettica e di una contrapposizione istituzionale estremamente articolata.

E’ perciò evidente non solo che l’affermazione secondo cui sarebbe mancata la collaborazione non appare dimostrata, ma anche che la scelta di adozione del provvedimento è stata cagionata da una frattura insanabile -di carattere politicoamministrativo – che ha visto, da un lato, la Soprintendenza che ha agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori identitari di una vasta area di agro romano, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico edilizia snaturante, soprattutto se colta nel suo complesso, e, dall’altro, il Comune e la Regione determinati ad allocare nuovi, e consistenti, interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo PRG e con le modifiche dei PTP vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo PTPR. Il motivo va dunque complessivamente respinto.

Il provvedimento del Ministero dunque è legittimamente motivato:

– con la necessità della conservazione degli elementi costitutivi delle morfologie dei beni paesaggistici in relazione alle tipologie architettoniche, tecniche e materiali costruttivi;

– con l’esigenza di ripristino dei valori paesaggistici.

Il vincolo si pone in una linea di perfetta continuità con le Osservazioni al progetto di Piano Territoriale Paesistico Regionale" (PTPR) della Soprintendenza, come dimostrano le numerose fotografie allegate alle medesime, che restituiscono, in maniera plastica, la bellezza e la storicità e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico, storico, culturale e paesaggistico la cui alterazione in funzione di sviluppo edilizio massiccio avrebbe costituito un vulnus non solo ai cittadini romani ma all’intera comunità nazionale.

Le relative censure vanno, dunque, complessivamente respinte.

Medesima sorte merita la doglianza relativa alla natura del potere esercitato con l’atto impugnato, che, secondo parte ricorrente, configurerebbe piuttosto un atto di pianificazione generale, travalicante i limiti propri delle competenze attribuite dal sistema all’autorità centrale. Come dimostrerebbe la Relazione di sintesi, il Ministero avrebbe valutato unitariamente realtà difficilmente coniugabili senza alcuna motivazione, ed in difetto di un’adeguata attività conoscitiva di cui all’articolo1, terzo comma del codice.

Inoltre erroneamente la Soprintendenza avrebbe ritenuto che la tipologia di tutela non avesse limiti "spaziali" per il suo esercizio in quanto la giurisprudenza – proprio a proposito di un precedente vincolo del 1990 — aveva chiarito che il potere, pur potendo abbracciare ampie porzioni di territorio non può travalicare il concetto di "località" (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI n. 1998 n.1391).

Il Ministero avrebbe irrazionalmente ed irragionevolmente imposto il vincolo su una vasta estensione territoriale agricola del comune di Roma, sulla base di un’inadeguata istruttoria e di una carente motivazione.

Anche tale censura non convince.

Del tutto erroneamente la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto la presenza di norme di attuazione del vincolo costituiva un preciso dovere di legge. Tali norme "sostituiscono" le previsioni del piano non perché il Ministero ha inteso pianificare in sostituzione della regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela si impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata. In altri termini pur dopo l’adozione del piano paesaggistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione, sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, ovviamente se ne sussistano i presupposti, ed i relativi provvedimenti, compresa la disciplina d’uso, " sostituiscono" le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla costituzione e dal Codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato.

Infatti l’ articolo 140, secondo co., applicabile anche al procedimento di cui all’art. 138 terzo comma per effetto dell’art. 141, espressamente impone che "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata".

Al riguardo è evidente che non erano configurabili "limiti spaziali" in quanto il Codice vuole assicurare la conservazione del territorio nella massima misura compatibile con l’esigenza del mantenimento degli elementi costituenti l’essenza stessa del "richiamo identitario".

Il Giudice delle Leggi al riguardo ha affermato che:

– il piano paesistico regionale e la pianificazione urbanistica comunale, sotto il profilo temporale e procedimentale, attengono dunque ad una fase successiva e recessiva rispetto a quella di imposizione del vincolo paesaggistico;

– la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve cioè precedere, ed orientare, le scelte urbanistico – edilizie locali.

In conseguenza, ha affermato la "separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica. Le disposizioni paesaggistiche quindi "…sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette" (cfr. Corte costituzionale, n. 180/2008 cit.).

Il carattere di autonomia e specialità del potere di cui all’articolo 138 terzo comma implica in conseguenza che questo possa essere esercitato senza che il Ministero sia vincolato dalla pianificazione locale in quanto la norma, se prevede il parere della regione, non impone assolutamente di procedere "previa intesa" con la stessa.

Il principio della prevalenza della tutela si ritrova anche nell’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e s.m.i. (non modificato in modo significativo dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 per quanto interessa il presente problema), nella parte in cui prevede che: "Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".D’altra parte a loro volta le previsioni allegate alla dichiarazione di notevole interesse pubblico (ovvero la specifica disciplina di cui all’art. 140 cit.) costituiscono " parte integrante del piano paesaggistico" non "suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo".

Né può condividersi l’affermazione per cui il compendio individuato non avrebbe costituito né un circoscritto, ed individuato, "complesso di beni" e nemmeno un "quadro panoramico", ma sarebbe stata una vasta porzione di territorio non dissimile da qualsiasi altro terreno agricolo del Lazio.

La lettera attuale dell’articolo 136 (come modificata di recente) infatti non pone limiti quando individua la possibilità di vincolo con riferimento a:

"c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;

d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".

L’espressione "complesso di cose immobili" richiede la relativa contiguità o, per lo meno, la vicinanza delle aree interessate le quali, seppur differenziate al loro interno, e seppure non omogenee, costituiscono nel loro insieme inscindibile,un unico complesso paesaggistico. Per questo la varietà degli ambiti interessati pianori, filari di pini marittimi, poggi, valli, forre, campi, rii e torrenti, così come sono incorniciate dal profilo dei Colli Albani, non fanno affatto venir meno quelle caratteristiche di unitarietà e di unicità sul piano paesaggistico ambientale.

Quanto al profilo panoramico si ricorda che, l’articolo 2, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63 — nell’eliminare dalla norma l’espressione "…considerate come quadri…" — ha proprio voluto elidere dall’ambito oggettivo di applicazione della norma il limite concernente la visione esteticopanoramica del bene. Pertanto in base alla nuova normativa, l’imposizione del vincolo non può più essere subordinata all’esistenza di punti di vista dai quali si possa godere della bellezza panoramica (punti di vista peraltro individuati specificamente nel contesto del provvedimento) perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio.

Sul piano del vizio funzionale dell’atto, l’intervento ministeriale appare legittimamente ancorato assumendo, a presupposto di fatto, l’insufficiente tutela del paesaggio operata dalla pianificazione comunale (peraltro recepita acriticamente dalla regione in sede di PTPR).E ciò è dimostrato dalle osservazioni dei cittadini singoli ed associati, con la richiesta alla stessa Soprintendenza di estendere, e non diminuire, l’area vincolata.

Come si diceva è una scelta discrezionale afferente allo stretto merito amministrativo ispirata ad un interesse pubblico dell’intera collettività, rispetto alla quale non emergono evidenti ragioni di illogicità o di arbitrarietà, delle quali nella specie, non si ravvisano assolutamente alcun elemento sintomatico.

Le ragioni addotte dal Ministero — sia nelle pregresse corrispondenze e negli atti istruttoria, e sia nel provvedimento impugnato — si sono sempre poste su di una linea di costante coerenza, per cui la dichiarazione del notevole interesse pubblico dei beni in questione appare puntualmente motivata, sia nelle sue linee generali di intervento che con riferimento alle specifiche aree interessate.

Anche sotto il profilo della correttezza e della sussistenza dei presupposti di fatto gli obiettivi di tutela individuati appaiono corrispondenti alla situazione concreta.

Nella relazione allegata alla proposta di dichiarazioni di notevole interesse pubblico si afferma giustamente che si tratta di un ampio territorio che mantiene ancora l’alta qualità paesaggistica della campagna romana sia sotto il profilo paesaggistico che per la presenza di antichi casali, rustici e vetuste fortificazioni.

Anzi, è proprio la vastità della porzione di territorio individuata che conferisce ed incrementa i caratteri di peculiare riconoscibilità, inconfondibilità ed unicità dell’ambiente interessato e contribuisce a conservare i tratti tipici di vastità, di varietà, di suggestività che consentono l’immediata individuazione della campagna romana che comunque ha caratteristiche peculiari estetiche storiche naturalistiche paesaggistiche tali da giustificare il vincolo.

Si tratta, in effetti, di riconoscere che la campagna romana è un luogo riconosciuto dalla memoria collettiva proprio perché ha mantenuto attraverso i secoli i suoi lineamenti fisici ed insediativi come provato dalle tracce di secoli di produzione artistica e letteraria (ed alla documentazione amministrativa descrittiva del territorio (mappe catastali e censuarie, ecc.).

Nonostante le alterazioni cagionate dell’edilizia spontanea, si tratta di un terreno che ancora conserva i tratti tipici del paesaggio agrario romano", "…caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici…., con filari di e/o gruppi arborei di notevole consistenza e di grande rilevanza ai fini della costruzione dell’immagine paesaggistica tipica dei luoghi"(così la Relazione).

Perfettamente coerente con le risultanze istruttorie ed i precedenti comportamenti, il dichiarato obiettivo del vincolo, relativo all’esigenza "…di salvaguardare le caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali assicurando, al contempo il minor consumo possibile del territorio".

La finalità del provvedimento di tutela – l’arresto o la guidata trasformazione e riqualificazione mirante a scongiurare l’indiscriminato consumo del territorio- appare del tutto legittima sul piano degli interessi pubblici generali, in quanto l’ulteriore espansione edilizia in periferia, così come configurata se si tengono presenti tutti gli interventi resi realizzabili dalla regione con le modifiche dei PTP, consumerebbe enormi quantità di terreno agricolo di notevole pregio, e secolare grande valore, mentre il riconoscimento del valore intrinseco del bene che giustifica il vincolo garantisce la conservazione di un ambito finora non compromesso da scelte pianificatorie o di sviluppo urbanistico.

Quanto al lamentato difetto di istruttoria e di motivazione, la corposità e la puntualità della "Relazione istruttoria alla proposta" e soprattutto dalla "Relazione di sintesi dell’istruttoria" allegate al provvedimento ripercorrono analiticamente i caratteri geomorfologici, i profili storici e culturali, i singoli sistemi paesaggistici che fanno capo agli scenari interessati comprendendovi anche le zone edificate che comunque sono tutte marginali. Da conto, sia complessivamente che analiticamente delle osservazioni dei privati e puntualizza le ragioni che si contrappongono al parere della regione. Le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell’interesse pubblico perseguito che sono state poste a base del provvedimento, appaiono del tutto sufficienti sul piano della logica e della razionalità soprattutto per la puntualità e coerenza delle analisi concernenti i singoli ambiti interessati al provvedimento.

In definitiva sotto il profilo funzionale il provvedimento appare coerente con le risultanze delle istruttorie e con le vicende che l’hanno preceduto e non indicativo di alcun sintomo di eccesso di potere né per sviamento né per errore sui presupposti.

In sostanza la scelta assolutamente necessitata in rapporto all’esigenza di tutela dell’agro romano appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l’esigenza di tutelare gli ultimi spazi rimasti di un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso, quanto meno nell’ottica di una tutela seria e ragionevole non scevra dalla considerazione degli interessi dei privati ai quali anziché precludere ogni intervento, nei casi di situazioni consolidate di aspettativa qualificata, si è solo richiesto di procedere ad un ridimensionamento condiviso degli interventi in via di assentimento.

D’altro canto sarà in sede di rinnovata valutazione dell’edificazione ritenuta compatibile con il vincolo, che i diretti interessati potranno far valere eventuali incongruenze o l’illegittimità di scelte eccessivamente penalizzanti od incoerenti con l’ambito in cui ricadono.

Da ciò deriva l’infondatezza anche della censura di violazione del principio di proporzionalità.

Pur dandosi atto che questo profilo resta il più delicato della vicenda, in quanto le scelte operate si configurano come esercizio di una ampia discrezionalità, il collegio attenendosi ai limiti esigui della sindacabilità di tali scelte, ritiene la censura infondata, ciò sia in base alle considerazioni svolte in merito alla natura del potere esercitato, sia in considerazione del fatto che l’asserita indeterminatezza dei poteri che il ministero si sarebbe riservato nell’esaminare le potenzialità edificatorie fonte di aspettative qualificate, allo stato non appare evidente, essendovi comunque un riferimento normativo al procedimento da seguire, e dovendosi osservare che, in ogni caso, il potere di rivalutare progetti già approvati, che resta eccezionale per estensione e modalità di esercizio, trova un limite oggettivo nelle valutazioni già espresse seppure in altra sede dall’amministrazione. E’ indubbio infatti che, ove il Ministero avesse espressamente ritenuto ammissibili e condivisibili, per determinate aree le scelte pianificatorie del Comune e della Regione, il suo intervento dovrebbe essere contenuto, nell’esaminare i progetti, frutto tra l’altro di approfondite istruttorie, già redatti ed approvati nelle sedi appropriate, nei limiti dell’imposizione di prescrizioni d’uso sufficienti a garantire la conservazione dai caratteri peculiari del territorio, per non sfociare, in caso contrario, nell’abuso di un potere di pianificazione e di gestione del territorio che non gli appartiene.

D’altro canto le norme tecniche di attuazione appaiono sufficientemente precise nel delineare i limiti ed i vincoli ai futuri interventi per la stessa Soprintendenza

In proposito, giova ribadire come in precedenza anticipato, che il Ministero, nel controdedurre rispetto alle osservazioni formulate dalla Società ricorrente, in assenza della documentazione richiesta, ha rigettato l’osservazione solo sul piano tecnico ed ha precisato che la maggior parte del terreno della ricorrente ha una classificazione non incoerente rispetto ad un guidato sfruttamento edilizio, espressione che non esclude una rinnovata valutazione nel caso in cui la ricorrente stessa fornisca gli elementi di giudizio richiesti.

Disattesa anche l’ultima censura, il ricorso va respinto in quanto complessivamente infondato.

Le spese tuttavia in relazione all’assoluta novità delle questioni trattate possono essere compensate fra tutte le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II quater, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso di cui in epigrafe.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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