Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-11-2010) 26-01-2011, n. 2783 Falsità materiale in certificati e autorizzazioni amministrative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione I.S. avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 23 febbraio 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di abusivo esercizio della professione medica e di falso in certificazione amministrativa, commessi fino al (OMISSIS).

Sulla base di informazioni confidenziali, la Pg aveva compiuto attività di indagine presso lo studio medico del Dott. B. P., medico del servizio sanitario nazionale, accertando che in una stanza di esso lo I., persona priva della laurea in medicina, visitava un minore alla presenza della madre e prescriveva, come di seguito verificato, una radiografia alla colonna vertebrale per verificare la presenza di una eventuale scoliosi. La prescrizione era stata effettuata su una ricetta recante il timbro del dott. B. e con una sigla in calce. Venivano anche rinvenute nelle medesimo circostanze altre due ricette dello stesso tipo. Era anche accertato che il dott. B. si faceva sostituire dallo I., nell’attività di studio, tutti i martedì e i giovedì, avendo rilasciato anche una delega per il ritiro dei ricettari presso la ASL. Era stato il B., assunto ex art. 197 bis c.p.p., a riferire di avere utilizzato lo I. come sostituto credendolo in possesso di tutti i titoli e di averlo anche consigliato ad una collega, la dott.ssa P., ugualmente per le sostituzioni. Quest’ultima aveva confermato la circostanza riferendo di avere fatto ricorso alle sostituzioni dello I..

Deduce:

1 ) il vizio di motivazione e il travisamento delle prove.

La Corte aveva ripetuto l’errore del primo giudice nel ritenere provata sia la condotta contestata della visita al minore sia la redazione di tre ricette materialmente contraffatte.

In realtà la deposizione del m.llo Pa. sulla prima circostanza aveva trovato smentita da altre testimonianze indotte dalla accusa ( T. e L.), testimonianze ritenute inattendibili dai giudici dell’appello in base ad una valutazione fantasiosa e/o illogica. Non rispondeva al vero, in altri termini, che i detti testi potessero avere riferito circostanze diverse da quelle del m.llo Pa. essendo volontariamente mendaci. Ebbene tali test avevano smentito che nella occasione del controllo della PG il ricorrente stesse visitando.

Inoltre al consulenza tecnica sulle false sigle era insufficiente, essendo eccessivamente sintetica;

2) la erronea applicazione dell’art. 348 c.p.p..

La deposizione dell’operante non aveva consentito di appurare quale genere di attività stesse eventualmente compiendo lo I. e se si sia trattato di attività medica. Il rilascio della ricetta, d’altra parte, non era caduto sotto la percezione del verbalizzante.

3) erroneamente erano state negate le circostanze attenuanti generiche per la pluralità delle condotte poste in essere dal ricorrente, atteso che una sola era quella contestata.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure della parte si sostanziano tutte in una non apprezzabile critica alla ricostruzione della vicenda così come compiuta, in maniera particolarmente dettagliata ed esaustiva, oltre che razionale, nella sentenza impugnata.

Ci si appella al travisamento della prova da parte della difesa, ma, in realtà, si richiede al giudice della legittimità di operare una autonoma rivalutazione di talune emergenze, disattendendo la complessiva trama tracciata dai giudici del merito i quali hanno selezionato ed incrociato risultane probatorie assai più complesse di quelle prese in considerazione dalla difesa.

Vale la pena ricordare che la sentenza di basa non solo sugli accertamenti, peraltro apprezzati come inequivoci, compiuti dalla polizia giudiziaria presso lo studio medico, ma anche su una serie di altri elementi atti a confortare al di là di ogni ragionevole dubbio, nella valutazione della Corte territoriale, la tesi della integrazione oggetti va e soggettiva dei reati addebitati.

Così sono state sottolineate la deposizione del teste S., sostituto del dott. B., sulla attività medica svolta dallo I. quale sostituto presso il medesimo studio; la deposizione della dott.ssa P. e le dichiarazioni del B. sull’incarico dato (in buona fede) al ricorrente di svolgere attività medica in loro sostituzione.

Quanto alle ricette contraffatte è stata valorizzata la deposizione dell’operante di PG che ne ha sequestrata una presso lo studio ove era stata appena stilata per una paziente, così come è stata valorizzata la consulenza tecnica fatta espletare anche sulle altre ricette analoghe sottoposte a sequestro.

Le censure del ricorrente, a fronte di un panorama così chiaro dal punto di vista ricostruttivo, risultano dunque un inammissibile tentativo di provocare un terzo grado di merito, oltretutto realizzato segnalando vizi di motivazione su elementi comunque non in grado di sorreggere da soli una eventuale decisione di opposto segno.

Rilievi dello steso tipo vanno effettuati con riferimento alle restanti censure considerando che l’espletamento di attività medica (ossia formulazione di una diagnosi e prescrizione di esami radiografici) è stato desunto dalla deposizione del verbalizzante e da tutti i particolari dallo stesso offerti alla valutazione del giudice:

una attestazione in punto di fatto che il giudice del merito ha effettuato affermando che il verbalizzante aveva visto visitare per vari minuti un bambino alla presenza della madre, e prescrivere poi vari esami radiografici su ricette recanti il timbro del titolare dello studio ma sottoscritti dal ricorrente.

Ebbene la difesa, a fronte di un simile preciso accertamento, atto ad integrare tutti gli estremi dei reati in contestazione, evoca un travisamento della prova semplicemente limitandosi a riportare qualche brano della deposizione criticata e quindi evocando, semmai, un vizio della completezza della motivazione.

Il travisamento della prova, infatti, può essere dedotto con il ricorso, allegando l’intero testo della deposizione che avrebbe creato la contraddittorietà e che, oltretutto, deve assumersi avere avuto non un significato mal opinato dai giudici, ma una valenza diametralmente opposta a quella accreditata nella sentenza impugnata, e salve le preclusioni eventualmente formatesi in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello. Evenienze che non ricorrono nel caso di specie.

Inammissibile è la censura sul diniego di attenuanti generiche.

Trattandosi di elemento circostanziale destinato a rendere più adeguata la pena in ragione di elementi positivamente valutabili a favore dell’interessato, occorre che, nel rispetto dell’art. 581 c.p.p., la parte che lamenta la mancata concessione indichi, nel ricorso, quali elementi del genere detto abbia sottoposto al giudice dell’appello senza avere ricevuto una adeguata risposta. Non è viceversa ammissibile la generica doglianza basata, come nel caso in esame, sulla critica al non positivo giudizio sulla personalità formulato dal giudice ex art. 133 c.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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