Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-11-2010) 26-01-2011, n. 2779 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione:

– A.R.;

– A.N.;

– A.M.G.;

– Al.Ra.;

– R.C.;

– S.M.;

avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta in data 28 luglio 2009;

con la quale, per quello che qui interessa, è stata ribadita la affermazione di responsabilità formulata in primo grado (sentenza del 2008) in ordine ai seguenti reati rispettivamente ascritti:

– per A.R.: capi A) ( L. n. 356 del 1992, art. 12 quinques, ossia concorso nella intestazione fittizia a N. e M. G. della srl Alabiso Trasporti, fatto commesso dal (OMISSIS); E) bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale impropria, nella qualità di amministratore di fatto della srl Ecotrans Industria dichiarata fallita il (OMISSIS);

F) stessa condotta di cui al capo che precede, con riferimento alla srl Ala Trasporti srl, dichiarata fallita il (OMISSIS);

– per A.N., A.M.G.: capo A) (concorso nel reato sopra menzionato); capi E) ed F) (concorso nelle condotte di bancarotta fraudolenta sopra menzionate);

– per S.M., capi A), (concorso nella fattispecie sopra descritta, nella qualità di amministratore pro – tempore della srl Alabiso Trasporti);

– per R. e Al.Ra.: capo A)(concorso nel reato, nella qualità di cessionari di quote della srl Alabiso Trasporti srl, fatto del 18 agosto 2002).

In ordine ai reati contestati ai capi C) e D) a A.N., A.M.G. e S.M. (capo C) (intestazione fittizia della soc Ecotrans Industria srl, di fatto appartenente a A.R., giudicato separatamente, fatti commessi dal novembre 1999 al luglio 2000); capo P) (stessa condotta di intestazione fittizia relativa alla srl Ala Trasporti, di fatto appartenente ad A.R., giudicato separatamente, fatti commessi dal luglio 1994 al giugno 2000)) la Corte di merito dichiarava la prescrizione.

Riduceva la pena a tutti gli imputati, in particolare calcolandola per A.R. in continuazione con altre condanne riportate nel 2005 e 2006.

La Corte evidenziava che la vicenda processuale ruotava attorno alla figura di A.R., raggiunto nel marzo 2005 da un provvedimento applicativo di misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, preceduto da altro del 1990. Lo stesso era stato poi condannato (sentenza Tribunale di Gela del 10 maggio 2001, definitiva il 20 ottobre 2006) anche per il reato ex art. 416 bis c.p..

Si era giunti alla conclusione che le società Alabiso Trasporti srl, Ala Trasporti srl e Ecotrans Industria srl, pur intestate a congiunti ed amministrate formalmente da costoro, in realtà appartenessero al capostipite, A.R., il quale, dunque, aveva realizzato una forma di intestazione fittizia per eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

Le fonti di prova avevano consentito di verificare che vi era una consistente sproporzione tra i redditi di cui disponevano i soggetti coinvolti nelle vicende delle tre società e i patrimoni, invece cospicui, delle stesse società; inoltre era emerso che A. R. sin dal 13 marzo 2000 fruiva di procure speciali rilasciategli da A.M.G. per la amministrazione delle srl Ala Trasporti ed Ecotrans Industria.

Quanto ai reati di bancarotta erano emerse numerose irregolarità contabili inadatte a dare spiegazione alle immissioni nelle casse sociali di elevati importi di non chiara provenienza. Era poi stata omessa la contabilizzazione di un finanziamento effettuato dalla Ala Trasporti alla Ecotrans per la somma di oltre 173 milioni di L.;

infine si riconosceva che nella contabilità della Ecotrans Industria erano state annotate passività inesistenti.

La Corte ripercorreva gli elementi di prova giungendo alla stessa conclusione del giudice di primo grado e cioè che le tre società di trasporti sopra menzionate fossero state costituite come strumento di cui A.R. si era servito per proseguire, dietro un apposito paravento societario, la propria attività di trasporto, iniziata negli anni ’80 nella forma di impresa individuale, ma interrotta quando, nel 1988, come detto, era stato raggiunto dalla misura di prevenzione con divieto di soggiorno nel territorio della Sicilia.

Egli fatto ricorso, al riguardo, a componenti dello stretto nucleo familiare, per giunta soggetti anche di giovane età, privi di redditi autonomi, evenienza che ridondava a sostegno della ipotesi di responsabilità in ragione, invece, degli elevati investimenti effettuati nell’ambito delle dette società.

Deducono:

con ricorso avv. Cianferoni per tutti:

1) la erronea applicazione della legge speciale penale ( L. n. 356 del 1992, art. 12 quinques; L. Fall., art. 223) e il vizio di motivazione riguardo sia all’elemento psicologico del reato, sia alle argomentazioni sviluppate nei motivi di appello. In particolare, per A.N., doveva escludersi il dolo del reato di intestazione fittizia essendo stato accertato che il padre R. non era il prestanome del mafioso M.. Non potevano avere rilievo, in contrario, i fatti evidenziati dalla Corte e cioè l’entità degli investimenti nelle predette società o la giovane età del ricorrente, o l’ammontare degli investimenti effettuati dalla coimputata G.G., sua moglie, mandata assolta dai reati a lei contestati.

Con riferimento ai reati fallimentari, poi, avrebbe dovuto evidenziarsi che le condotte rilevanti erano state commesse fino al dicembre 2000 da A.R.; inoltre era stato pretermesso il dato della intervenuta assoluzione dal reato di riciclaggio, circostanza dalla quale avrebbe dovuto ricavarsi che i ricorrenti non avevano impiegato denaro di provenienza illecita nelle società poi fallite.

Nessun concreto elemento sarebbe stato evidenziato a carico degli altri ricorrenti.

2) la violazione degli artt. 133 e 546 c.p..

La assoluzione dei ricorrenti A.N. ed A.M. G. da una delle condotte integranti il reato di bancarotta fraudolenta impropria sub E) non aveva portato alla corrispondente riduzione del trattamento sanzionatorio fissato come aumento in continuazione;

con ricorso personale di A.M.G. e R. C.;

1) la nullità del processo di appello per violazione dell’art. 36 c.p.p..

A comporre il collegio era presente il Dott. Cardinale il quale aveva anche giudicato la posizione degli imputati in altri due procedimenti: quello per la applicazione delle misure di prevenzione dinanzi alla CdA di Caltanissetta, concluso il 23 luglio 2009 e quello di appello avverso la sentenza del Tribunale di Gela del 30 ottobre 2007, concluso con sentenza dell’11 giugno 2009.

Il magistrato avrebbe dovuto astenersi per gravi ragioni di convenienza.

2 – 3) il travisamento della prova e il vizio di motivazione.

Erano stati rigettati ingiustificatamente i primi tre motivi di appello. D’altra parte l’argomento utilizzato dai giudici dell’appello per condannare, essenzialmente ricavato dalla mancanza di redditi autonomi in capo ai ricorrenti, era in contrasto con prove acquisite in dibattimento ed in particolare con le testimonianze di Ra.Gi., P.R., D.P.E., L.E. (sulla assenza di prova del riciclaggio di beni appartenenti a M.), Ga.Te.;

4) la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato L. n. 356 del 1992, ex art. 12 quinquies, (capo A), relativamente all’elemento psicologico. Tutti gli elementi individuati dalla Corte, tesi a dimostrare la assoluta posizione di predominio di A.R. avrebbero dovuto portare a concludere non per la sussistenza del dolo in capo ai congiunti, ma semmai per la insussistenza di esso; inoltre era illogica la ipotesi della interposizione fittizia finalizzata alla elusione delle norme sulle misure di prevenzione, considerato che gli stessi ricorrenti sarebbero stati sottoposti ai controlli previsti dalla L. n. 575 del 965, per i congiunti del proposto.

5) la erronea applicazione della legge fallimentare e il vizio di motivazione (capi E, F).

La ricorrente A.M.G. aveva da tempo cessato la carica di amministratore all’atto della dichiarazione di fallimento delle due società. Essa pertanto non poteva essere chiamata a rispondere del reato proprio previsto dalla L. Fall., art. 223. 6) il vizio di motivazione sulla entità del trattamento sanzionatorio che avrebbe potuto essere più mite in relazione alla gravità del danno, alla intensità del dolo, al comportamento processuale dei ricorrenti, allo svolgimento di regolare attività lavorativa.

I ricorsi sono fondati nei termini che si indicheranno.

Invero inammissibile è il primo motivo articolato nell’interesse di tutti i ricorrenti dall’avv. Cianferoni.

Con esso si censura la ricostruzione in fatto operata, invece plausibilmente e in modo esauriente, dai giudici del merito, con la conseguenza che le argomentazioni della difesa, sostanziandosi nella contrapposizione di differenti elementi cirostanziali, non è apprezzabile da questa Corte di legittimità.

La sentenza impugnata non ha mancato di valutare i fatti nella loro rispondenza oggettiva e soggettiva al paradigma normativo di riferimento e, con specifica relazione alla imputazione di intestazione fittizia di beni, i giudici hanno posto in evidenza la conclusione plausibilmente raggiunta sulla configurabilità dell’elemento psicologico in capo a tutti i ricorrenti.

La Corte territoriale ha descritto, a pag. 19 della sentenza, gli eventi salienti della vita della società Alabiso Trasporti, costituita nel giugno 2002, tra i fratelli A.M.G. e A.N.. Dopo appena un mese si registrava la cessione di quote ad altri due congiunti ( Al.Ra. terza figlia di R. assieme ai predetti e R.C., marito di M. G.). Il 30 giugno 2003 veniva nominata ultima amministratrice pro tempore S.M. e infine, nel luglio 2003, il sequestro giudiziario. Tutte le considerazioni sulla effettiva titolarità della società in capo al dominus e capo famiglia, A.R., si basano su apprezzabili elementi di fatto che non sono ulteriormente censurabili in questa sede, dovendosi viceversa dare atto del carattere di completezza e di razionalità della relativa esposizione.

Così i giudici di appello hanno ricordato non solo la giovanissima età dei figli e del genero dell’ A. che si erano prestati alla operazione della intestazione delle quote, la assenza di loro esperienza in investimenti non indifferenti, la presenza di un saldo di cassa consistente e privo di giustificazione contabile e patrimoniale; sono stati ricordati i due atti di procura del marzo 2000, conferita ad A.R. per la gestione delle altre due società del gruppo; in ordine alla posizione di R. è stato sottolineato come lo stesso abbia, quando era legale rappresentante della Alabiso Trasporti, disposto l’acquisto di un autocarro, pagato però da A.R. e A.N. in proprio, dopo avere anche condotto le trattative con i venditori (pag. 25 sent).

La Corte ha poi analizzato i motivi di appello spiegando esaurientemente di non ritenere rilevante, ai fini della esclusione del dolo del reato sub A) il fatto che la legge in materia di misure di prevenzione (n. 575 del 1965) preveda controlli sul tenore di vita dei congiunti del proposto. Una simile eventualità rende chiaro il carattere maldestro della iniziativa di A.R. ma non vale ad escludere certo la effettività della operazione di intestazione fittizia, commessa con il concorso dei congiunti, reso evidente dalla successiva continua ingerenza del dominus nella attività della società.

La Corte ha anche dato atto della irrilevanza delle censure della difesa a proposito dei rapporti tra A. e il clan M., posto che la esistenza di un legame associativo è stata in proposito affermata con sentenza passata in giudicato (pag. 28).

In ordine al dolo specifico, infine, la Corte ha segnalato la contiguità temporale tra la applicazione della prima misura di prevenzione e la costituzione della prima società oggetto di contestazione, la Ala Trasporti, ad opera dei congiunti privi di autonomia patrimoniale.

Anche in relazione a tutti gli altri motivi di doglianza, infine, non può che rilevarsi la presenza, in sentenza, di apposito ed adeguato apparato motivazionale il quale vale anche a rendere evidente profili di inammissibilità dei motivi di ricorso.

In effetti questi sono stati redatti come mera riproposizione dei motivi di appello senza tenere conto dei rilievi effettuati dalla Corte o comunque criticando in maniera assolutamente generica i rilievi stessi, e senza quindi, rispettare i criteri previsti dall’art. 581 c.p.p.: norma che pretende la illustrazione delle ragioni in fatto e in diritto che sostanziano la censura a ciascun motivo di gravame.

Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.

La intervenuta assoluzione (pag. 39 sent.) da una delle fattispecie integratrici del reato di bancarotta contestato sub E) e sub F) avrebbe dovuto portare ad una corrispondente diminuzione di pena.

Invece, l’aumento per la continuazione del reato sub E) è rimasto anche in appello, fissato in sei mesi di reclusione (pag. 41 e 42 sent. appello), nella stessa entità individuata dal giudice di prime cure (pag. 53 sent. primo grado).

Deve al riguardo ricordarsi che nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. U, Sentenza n. 40910 del 27/09/2005 Ud. (dep. 10/11/2005) Rv. 232066) sicchè alla eliminazione di una fattispecie contestata in concreto correttamente si richiede che corrisponda una diminuzione di pena.

Questa può essere determinata direttamente dalla Cassazione in virtù dei poteri ad essa spettanti ex art. 620 c.p.p., lett. l).

L’aumento viene dunque contenuto entro i quattro mesi di reclusione e complessivamente la pena rimane determinata, per A.N., in anni quattro e mesi uno di reclusione e per A.M.G. in anni tre e mesi sette di reclusione.

In parte infondati e in parte inammissibili sono gli altri motivi di ricorso. In ordine al primo del ricorso redatto personalmente da due dei ricorrenti, basta ricordare, a sostegno del giudizio di manifesta infondatezza, la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la eventuale violazione, da parte del giudice, del dovere di astensione non incide sulla di lui capacità e, pertanto, non è causa di nullità generale e assoluta ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. a), dando essa luogo soltanto al diritto, per la parte, di ricusare il giudice non astenutosi, con conseguente eventuale nullità, ai sensi dell’art. 42 c.p.p., dei soli atti compiuti dal giudice dopo l’accoglimento della ricusazione (Rv. 194273).

Non può in conseguenza la parte proporre come motivo di ricorso la mancata astensione da parte del giudice, in un caso nel quale non risulta che la stessa si sia avvalsa della facoltà di ricusare.

Inammissibile è la formulazione del secondo e terzo motivo dei ricorsi personali. Le parti lamentano la mancata valutazione di testimonianze evocando un vizio di motivazione su prove che essa stessa non illustra e delle quali non indica la eventuale decisività ai fini della tenuta della motivazione.

Invero, questa Corte ha più volte affermato che nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Rv. 233187). La genericità dei due motivi di ricorso presi in considerazione impedisce a questa Corte di giudicare la attitudine degli elementi pretermessi a sovvertire la ricostruzione accreditata dai giudici del merito, peraltro, come detto, sulla base di una analisi in sè compiuta delle fonti di prova.

Il quarto motivo è infondato.

Invero la seconda parte di esso corrisponde ad una cesura difensiva sopra già esaminata.

Nella parte restante i ricorrenti lamentano un vizio di logicità della motivazione che invece non è apprezzabile, rientrando la valutazione stessa nell’ambito del prudente e motivato giudizio riservato alla sede del merito.

Infatti desumere, come fanno i giudici, dalla giovane età di molti degli imputati implicati nella vicenda un elemento sintomatico del carattere strumentale della iniziativa del dominus A.R. che del loro apporto si era avvalso, non equivale certo a rendere una argomentazione manifestamente illogica. Secondo l’id quod plerumque accidit, infatti, è corretto affermare che la giovane età possa essere indice sintomatico di un rapporto col dominus di un affare, su scala gerarchica e in funzione strumentale: evenienza questa che non vale ad escludere, in presenza ovviamente di altri elementi sintomatici e indiziari che nella specie i giudici indicano, la consapevolezza e volontà del contributo apprestato alla azione delittuosa da parte del soggetto in giovane età.

Inammissibile è il quinto motivo di ricorso.

La difesa reitera quanto già, del tutto genericamente, affermato nel prologo dei motivi di appello e cioè la cessazione dalla carica di amministratore delle società fallite, da parte della ricorrente, anni prima della dichiarazione di fallimento.

La questione in sè non ha formato oggetto di risposta nella sentenza impugnata proprio perchè presentata senza un costrutto logico con riferimento alle contestazioni elevate e ritenute dal giudice di primo grado.

I reati di cui ai capi E) ed F) della imputazione sono stati addebitati alla ricorrente A. sul presupposto del concorso con l’amministratore di fatto A.R., sicchè il dato formale della perdita della carica sociale di per sè non rileva nel senso di far escludere la responsabilità in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta, reati che si configurano proprio in ragione dell’addebito della condotta alla figura del gestore ed amministratore di fatto nonchè ai correi ex art. 110 c.p.. Vale la pena qui ricordare che l’amministratore "di fatto", come ribadito anche dalla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Rv. 239040; Rv. 228308).

Infondato è l’ultimo motivo di ricorso.

La sentenza contiene una valutazione degli elementi ex art. 133 c.p., ritenuti decisivi ai fini del trattamento sanzionatorio. Elementi che per A.R. sono stati rinvenuti nel ruolo non marginale avuto nel progetto criminoso del padre e, per la sorella, nella protrazione della condotta criminale per un lungo intervallo temporale. In più, col giudizio di equivalenza delle circostanze, la pena base è stata fissata in misura prossima al minimo edittale per N. e pari a tale limite per M.G. Non si apprezza pertanto alcun censurabile vizio di motivazione al riguardo tenuto conto anche della giurisprudenza di questa Corte che non richiede una speciale motivazione quando la pena per il reato addebitato sia contenuta nei detti limiti.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.N. ed A.M.G. limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni quattro e mesi uno di reclusione per il primo ed anni tre e mesi sette di reclusione per la seconda. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti.

Rigetta i ricorsi di A.R., S.M., R. C., Al.Ra. e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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