T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 21-01-2011, n. 638 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Riferisce la ricorrente (dal 3.4.2006 svolgente attività lavorativa, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, in qualità di lavoratrice subordinata, con mansioni di Fisioterapista domiciliare, avente "in carico pazienti neurologici adulti" alle dipendenze della C.A.R. Soc. Cooperativa sociale di A.R. a r.l. che:

a) il Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche sociali (Direzione Provinciale del lavoro di Roma) sulla istanza di interdizione anticipata dal lavoro da lei presentata in data 29.12.2008, disponeva l’interdizione anticipata dal lavoro della dipendente;

b) la data presunta del parto era prevista per il giorno 16.4.2009, ma tuttavia per la nascita anticipata del figlio in data 17.3.2009 i giorni non goduti prima del parto venivano aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto, mentre il congedo obbligatorio di maternità terminava il 16.7.2009;

c) in data 26.6.2009, la lavoratrice presentava alla Direzione Provinciale del lavoro di Roma domanda di interdizione dal lavoro post partum, corredata dalla documentazione all’uopo richiesta e che la C.A.R. Soc. Cooperativa sociale di A.R. a r.l., considerato che la dipendente "svolge mansioni di Fisioterapia domiciliare e che in prevalenza ha in carico pazienti neurologici adulti", e che la medesima rientra nell’elenco degli operatori indicati all’art. 5 D.P.R. 1026/1976, attestava con dichiarazione resa in data 19.6.2009, l’impossibilità di adibire la lavoratrice a mansioni diverse da quelle svolte normativamente;

d) tra la documentazione prodotta, la istante allegava anche descrizione inerenti la tipologia dei rischi cui la lavoratrice poteva essere esposta riscontrata anche da sanitario Neurofisiopatologo specie in ordine alla attività lavorativa dalla medesima prestata come fisioterapista domiciliare soggetta a intensi sforzi fisici per l’operatore incidenti anche nella sfera psicofisica e mentale;

e) nonostante analoghe descrizioni fornite anche da altro sanitario specialista in medicina del lavoro, in data 10.7.2009, che individuava con precipuo riferimento ai terapisti domiciliari, l’indice MAPO pari a 5,63 dei medesimi nell’area rossa, con classe di rischio pari ad A3, (elevato), la Direzione Provinciale del Lavoro con provvedimento Prot. n. H2022 del 7.9.2009, ricevuto dalla lavoratrice in data 6.10.2009, premesso che la stessa aveva "presentato in data 26/6/09 la richiesta d’interdizione al lavoro postpartum, rigettava la istanza prot. n. E 2339 del 10/8/09" per i motivi indicati nella premessa del medesimo provvedimento.

Avverso il provvedimento di rigetto del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale del 7/9/2009 meglio specificato nei suoi estremi nell’epigrafe del ricorso nonché per ottenere l’accertamento del diritto alla interdizione dal lavoro "post partum" sino a 7 mesi dopo il parto con corresponsione relativa indennità e ricostituzione monte ferie, la istante ha proposto il presente ricorso con cui denuncia:

I) La esistenza di vizi formali stante l’errore del provvedimento che dispone il "RIGETTO dell’istanza prot. n. E 2339 del 10/08/09" e che corrisponde alla reiezione temporanea dell’istanza di interdizione post partum, emessa dalla P.D.L. di Roma in data 10.8.2009 e non già all’istanza di interdizione post partum presentata da A.P. in data 26.6.2009, protocollata al n. 691 del 26.6.2009. L’Amministrazione, precisa la ricorrente avrebbe in tal modo rigettato il provvedimento di diniego temporaneo dalla stessa precedentemente emesso. Inoltre lo stesso provvedimento di rigetto richiama una presunta missiva, asseritamente comunicata alla ricorrente in data 27.7.2009 – in realtà, mai ricevuta da quest’ultima – con cui, sarebbero stati comunicati i motivi del mancato accoglimento dell’istanza di interdizione dal lavoro post partum dalla medesima presentata.

II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss., nonché degli Allegati A e C del D.Lgs. 151/2001 e dell’art. 5, lett. I) del D.P.R. 1026/1076. Premesso che con l’introduzione del D.Lgs. 151/2001, "lo scopo del legislatore è stato quello di proteggere la lavoratricemadre, nel periodo della gravidanza e nei primi mesi dopo il parto, da lavori che siano potenzialmente dannosi non solo per la sua incolumità fisica ma anche per la sua incolumità psichica, deve inserirsi in tale finalità il divieto di adibirla ad assistenza e cura nei reparti per malattie nevose e mentali, essendo considerato tale lavoro al tempo stesso pericoloso, faticoso e insalubre mentre prosegue la ricorrente, sulla base di pronunce giurisprudenziali, la insalubrità non va intesa solo in senso fisico – materiale di infettività, ma anche nel senso più ampio di insalubrità psichica, perché possibile fonte di turbamento mentale in chi svolge il lavoro.

Ritiene la ricorrente che il servizio ispettivo del Ministero del Lavoro può disporre l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici, durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio.

Tali disposizioni trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall’art. 7, commi 1 e 2 del D.Lgs. 151/2001, mentre nel caso di specie l’Amministrazione, con evidente violazione di legge, ha ritenuto che il rischio sotteso alla movimentazione dei carichi potesse arrecare alla lavoratrice "solo durante la gestazione" – e non anche sino a 7 mesi di età del figlio – omettendo, in toto, di valutare, specificamente, i rischi connessi alla Movimentazione e Assistenza Pazienti Ospedalizzati (indice MAPO), pari a 5,63 (area rossa).

Tali considerazioni vengono riservate anche ai rischi derivanti per la lavoratrice, (sia durante la gravidanza che durante l’allattamento) alle "patologie infettive potenzialmente trasmettibili" – in particolare, l’epatite B e C, e ad altri agenti biologici di rischio.

III) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare: Travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti poiché:

il provvedimento impugnato assume come inesistenti fatti che invece risultano esistenti specie in relazione ai fattori di rischio cui la lavoratrice era potenzialmente esposta con incidenza anche sulla motivazione del provvedimento di rigetto che appare carente per genericità dei richiami effettuati in sede di reiezione della domanda;

disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta poiché in seguito della richiesta di interdizione dal lavoro post partum presentata da altra dipendente della C.A.R. Soc. Cooperativa sociale di A.R. a r.l., con le mansioni di Fisioterapista domiciliare, è stata disposta l’interdizione dal lavoro post partum della stessa dipendente, negato invece alla attuale istante.

Il contraddittorio è stato istituito nei confronti del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali il quale si è costituito in giudizio tramite l’Avvocatura Generale dello Stato.

Tanto premesso anche in ordine alla instaurazione del contraddittorio, ritiene il Collegio in riferimento alla controversia per la cui risoluzione la ricorrente ha adito questo Tribunale Amministrativo Regionale, insussistente la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla stessa.

Tanto, era stato rilevato già in sede cautelare in cui domanda della stessa ricorrente è stata respinta con Ord. n. 299/2010 di questa Sezione non apparendo il ricorso "… assistito da sufficienti profili di fondatezza in punto di giurisdizione".

La ricorrente infatti non agisce in qualità di pubblico dipendente al fine di tutelare pretese insorte nel corso di svolgimento di rapporto di pubblico impiego.

La stessa invece svolge attività lavorativa alle dipendenze di una Cooperativa sociale di A.R. (Soc. Coop C. a r.l.) prestando mansioni di "Fisioterapista domiciliare" in favore di pazienti neurologici adulti.

La tutela che la stessa ora invoca in relazione al suo preteso diritto di allontanamento dal lavoro "post partum" è invece azionabile dinanzi al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro competente a conoscere e dirimere le relative controversie.

Va pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo restando la controversia devoluta alla cognizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Tanto con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda della ricorrente subordinatamente alla riassunzione del giudizio, nel termine di gg. 90 decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza, dinanzi il suindicato giudice competente.

Quanto poi alle spese relative al presente giudizio sussistono elementi giustificativi della loro compensazione tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Sez. III bis) dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso indicato in epigrafe con salvezza degli effetti processuali della domanda e con onere della ricorrente di riassunzione del giudizio dinanzi al giudice e nei termini in motivazione indicati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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