Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-11-2010) 26-01-2011, n. 2772 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara in data 26.10.2005, F.R. veniva condannato alla pena di anni tre di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta documentale commesso quale amministratore unico della s.r.l. Roccati, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Ferrara in data 18.12.1998, omettendo la tenuta della contabilità dal 10.2.1997 e delle registrazioni IVA dal 31.12.1997 e la redazione del bilancio al 31.12.1997 e così impedendo la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società per gli anni 1997 e 1998.

Nel ricorso si lamenta omessa motivazione sull’elemento psicologico del reato.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Con la sentenza impugnata, premesso che il curatore accertava un attivo di poco più di sette milioni di lire ed un passivo di oltre L. 424.000.000, e richiamate le considerazioni della decisione di primo grado sulla smentita dell’affermazione dell’imputato di essersi disinteressato della gestione, proveniente dall’accertato compimento da parte del F. di atti di amministrazione quali licenziamenti, proposte di modifiche all’oggetto sociale ed un trasferimento della sede sociale, e comunque sull’aver l’imputato accettato il rischio che dal mancato controllo derivasse l’omessa tenuta della contabilità, si osservava che tale motivazione era esauriente, tenuto conto della natura generica del dolo richiesto per il reato di bancarotta documentale.

Il ricorrente rileva che la Corte d’Appello non indicava alcun elemento di prova in ordine all’aver l’imputato agito con lo scopo o l’intenzione di non consentire la ricostruzione del patrimonio, finalità che integra il dolo pur generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice nella forma del dolo intenzionale.

L’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nell’ipotesi contestata nel caso di specie, ha notoriamente natura di dolo generico. Come tale esso non richiede necessariamente una finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita; è viceversa sufficiente che l’autore del reato agisca con la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze (v. per tutte Sez. 5 del 25.3.2010, n. 21872, imp. Laudiero, Rv. 247444). La dimensione di scopo che il ricorrente presuppone caratterizzare il reato non è pertanto componente essenziale dello stesso.

Tale essendo il contenuto minimo del dolo richiesto per la configurabilità del reato, rispetto alla sussistenza dello stesso la sentenza impugnata motivava esaurientemente sia in ordine al risultato dell’irricostruibilità dell’andamento contabile, desunto dalle conclusioni del curatore e dalla sproporzione fra l’attivo ed il passivo fallimentare, sia in relazione alla coscienza dell’imputato del verificarsi di dette conseguenze in base al concreto ed effettivo contatto del predetto con la realtà gestionale ed amministrativa della società.

Il ricorso, fondato su una lettura dell’elemento psicologico del reato non conforme ai consolidati principi in materia, deve pertanto essere dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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