Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-11-2010) 26-01-2011, n. 2659

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14/9/2009, depositata l’11/12/2009, la Corte di Assise di Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza 9/10/2007 emessa dal GUP del Tribunale di Perugia nei confronti di Z.R. quale responsabile dei reati di omicidio aggravato e rapina ai danni di C.L., riconosceva in favore dell’imputato la diminuente del vizio parziale di mente con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti contestate e, tenuto conto della ravvisata continuazione tra i reati e della riduzione dovuta per il rito scelto, riduceva ad anni 17 e mesi 4 di reclusione la originaria pena dell’ergastolo inflitta dal GUP allo Z..

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai Giudici del merito la vittima, identificata per la cittadina ucraina C.L. (munita di regolare permesso di soggiorno ed assunta come badante presso la famiglia di M.S.), era stata vista nel pomeriggio di domenica 16 luglio 2006, nel parco S. Anna in compagnia di un uomo poi identificato, in base alle descrizioni raccolte ed ai riconoscimenti dei testimoni, nel soggetto rappresentato nella foto segnaletica di Z.R.; la donna, secondo le informazioni raccolte, aveva subito il furto di alcuni oggetti di valore ed era stata vista in condizioni di alterazione alcoolica o comunque in stato di agitazione; in seguito il corpo della straniera era stato rinvenuto all’interno di un bagno pubblico del citato parco verso le ore 17 di quel giorno con segni evidenti di strangolamento e recante impressi sulla pelle, nella parte sinistra del volto, i segni di una suola da scarpa.

Lo Z., che si era appreso avere ceduto per estinguere un debito da lui contratto una catenina d’oro a maglie sottili, sentito il giorno 26/7/2006 a sommarie informazioni sui suoi movimenti nelle due precedenti domeniche, affermava, tra l’altro, di conoscere di vista la donna ucraina uccisa e di essere stato nel luogo ove la donna era stata uccisa. Nel successivo interrogatorio, reso davanti al P.M. ed alla presenza del difensore, lo straniero riferiva di avere il giorno 16 luglio bevuto birra con alcuni amici ai quali si era poi aggiunta la C., di essersi recato nel bagno pubblico dove era stato seguito dalla donna, di essere stato dalla stessa insultato ed aggredito con colpi di borsetta inferti alla spalla, dolorante per una pregressa caduta dalla moto, di essersi pertanto innervosito e di avere afferrato la borsetta girandone più volte la tracolla al collo della donna, di averla poi spinta e di essersi quindi definitivamente allontanato dopo aver raccolto da terra una catenina della donna. Nel corso delle indagini si operava il sequestro della detta catenina, che era stata inviata alla madre, in Ucraina, dalla persona che la aveva ricevuta dallo Z. in restituzione del prestito a costui effettuato, si procedeva con esito positivo alla comparazione tra le scarpe sequestrate all’imputato e le impronte rilevate sul volto della vittima, si accertava la causa della morte della donna in una sindrome asfittica da strangolamento.

Nel corso dell’udienza preliminare venivano accertate positivamente la capacità processuale dell’imputato e la sua capacità di intendere e di volere. Successivamente l’imputato cambiava versione, assumendo che la donna lo aveva seguito nel parco fino al bagno pubblico rimanendo però poi all’esterno a parlare con alcune sue compatriote, e prospettava di essere stato costretto a rendere le precedenti dichiarazioni contro la sua volontà. Nel corso del Giudizio di secondo grado si procedeva a nuova perizia psichiatrica sull’imputato.

La Corte di merito, riepilogati i fatti, le argomentazioni del primo Giudice e i motivi di impugnazione, ha ritenuto del tutto infondata la tesi dell’imputato secondo la quale egli sarebbe stato vittima di un complotto ordito ai suoi danni da alcuni cittadini extracomunitari. La Corte ha quindi sottolineato: che il giudizio di responsabilità formulato dal GUP rettamente prescindeva dalla confessione dello Z. e trovava autonomo fondamento nelle plurime circostanze poste in rilievo nella sentenza di primo grado (pregressa conoscenza tra l’imputato e la vittima, attrazione nutrita da quest’ultima per lo Z., intendimento della donna di recuperare presso costui quanto la stessa riteneva che egli le avesse sottratto); che dovevano condividersi le argomentazioni svolte sulla certa identificazione nello Z. dell’autore dei fatti, assumendo significatività al proposito l’accertato incontro avvenuto nella giornata del 16 luglio tra lo Z. e la C.L., il notato avvio dei due verso i bagni pubblici al cui interno era stato poi rinvenuto il cadavere della donna, la accertata corrispondenza tra l’impronta lasciata sul volto della donna ed il disegno riscontrato sulle scarpe utilizzate dell’imputato, il possesso da parte dell’imputato di una delle catenine portate al collo dalla donna.

La Corte ha quindi esaminato il tenore e le conclusioni della relazione peritale psichiatrica, condividendo il giudizio di ridotta capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento dei fatti; ha ritenuto, argomentando al riguardo, di non poter condividere la richiesta difensiva subordinata in quanto correttamente ravvisate dal GUP le contestate circostanze aggravanti previste dall’art. 61 c.p., nn. 1, 4 e 5; infine ha concluso per l’insussistenza della circostanza attenuante della provocazione, tale connotazione non potendo essere attribuita agli asseriti approcci sessuali che sarebbero stati posti in essere dalla C.L..

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso il P.G., con atto del 18/1/2010, deducente la violazione degli artt. 85 e 89 c.p., ed il difensore dell’imputato con atto del 28/1/2010 articolato su sei motivi.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che la sentenza debba essere annullata per la condivisibilità delle censure contenute nel ricorso del P.G. e nei motivi secondo e quarto del ricorso del difensore dell’imputato, infondate od assorbite essendo tutte le altre censure di tale seconda impugnazione.

Il ricorso del P.G. Il Procuratore Generale ha lamentato erronea applicazione di legge con riferimento alle norme relative al vizio parziale di mente, rilevando al proposito come l’interpretazione sul punto data dalla Corte di merito fosse in aperto contrasto con i principi affermati dalla Corte di legittimità a sezioni unite nel 2005.

La censura coglie certamente nel segno. Si rammenta, in primo luogo, quanto statuito dalle S.U. nella invocata sentenza n. 9163 del 2005, là dove è stato affermato che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purchè siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonchè agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (massima). La Corte di merito, come esattamente denunziato, è pervenuta ad affermare la sussistenza del vizio parziale di mente a carico dello Z., ed in piena condivisione delle valutazioni peritali, da un canto ignorando totalmente i limiti che alla sua valutazione poneva il principio posto dalle S.U. nella citata sentenza n. 9163/2005 (alla quale sono seguite le significative pronunzie di questa Corte n. 17853 e n. 43285 del 2009) e dall’altro canto pervenendo all’artificio per il quale la conclusione di vizio parziale veniva raggiunta ricorrendo all’artificioso sostegno apportato ad una effettiva anomalia del comportamento da elementi inidonei ed indimostrati.

Ed infatti: da un canto la ravvisata condizione di soggetto "disturbato" nell’umore appare acriticamente recepita dalle valutazioni peritali e non convogliata in una valutazione, spettante interamente al giudice, di effettiva incidenza del disturbo nella perpetrata condotta criminosa;

dall’altro canto, gli elementi che a tale disturbo sono giustapposti, per integrare quella efficacia causale che il solo disturbo evidentemente non era in grado di apportare e così pervenendo alla pretesa "miscela esplosiva" generatrice del vizio parziale di mente (pag. 39 della sentenza), sono stati dal ricorso del P.M. fatti segno a considerazioni di indiscutibile fondatezza. La pretesa condizione di intossicazione alcoolica – che il P.G. ha di contro ricondotto all’art. 92 c.p. – viene dalla Corte di merito ritenuta apoditticamente concausa del vizio parziale di mente non potendosi, a suo avviso, isolarne o frantumarne la rilevanza, essendo evidente che le ripetute ubriacature di quel giorno avevano interagito con il disturbo della personalità creando la predetta "miscela esplosiva".

La apoditticità di tale argomentare appare di tutta evidenza. La asserita condizione di reattività automatica – in termini di violenza autodifensiva – a situazioni di ipotetiche minacce, appare una proposizione totalmente indimostrata: nulla è detto sulle ragioni di tale automatismo "militare", solo essendosi operata una "professione di fede" nella versione dell’imputato di avere agito quale militare russo nelle operazioni repressive della rivolta in Cecenia, nè alcunchè è affermato per giustificare addirittura una reazione omicidiaria non a fronte di un qualche pericolo (idoneo a scatenare tale reazione "automatica") ma solo a seguito delle insistenze (erotiche e/o rivendicative) della povera, non più giovane, C.L..

Alla stregua delle esposte considerazioni deve quindi accogliersi il ricorso del P.G., disponendo il rinvio per il riesame della questione, con applicazione dei principi di diritto richiamati e senza incorrere nelle omissioni ed illogicità esposte.

Il ricorso del difensore dello Z..

Il difensore dell’imputato, allegando al ricorso atti del procedimento, ha articolato sei motivi di censura.

Con il primo motivo viene dedotta violazione del canone di valutazione della prova indiziaria nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: laddove si era affermato che nella specie la confessione costituisce "un mero e non necessario riscontro"; laddove si erano ritenute rilevanti circostanze diverse dalla confessione come la pregressa conoscenza tra l’imputato e la C.L.; laddove si erano travisate le dichiarazioni rilasciate da alcuni testimoni o si era desunto da affermazioni equivoche e contrastanti con altri dati certi elementi di prova (e ciò: in ordine alla asserita circostanza dell’attrazione della donna verso l’imputato, desunta dalle dichiarazioni di una teste che aveva incontrato una sola volta i soggetti coinvolti nella vicenda, in ordine alla avvenuta identificazione nello Z. dell’uomo al quale aveva fatto riferimento il teste Ca.

S., in ordine alla concordanza delle varie deposizioni raccolte su elementi ritenuti significativi, in ordine alla sostenuta positività del raffronto tra l’impronta rilevata sul volto della vittima e le scarpe sequestrate all’imputato). Il complesso di doglianze – non sempre assistite dal necessario momento di sintesi e per lo più affidate alla pretesa eloquenza dei documenti inseriti nel testo del motivo – non offre alcun profilo di apprezzabile critica alla completezza e logicità delle considerazioni che la sentenza sviluppa sulla scorta delle deposizioni F. e Ca. (e delle dichiarazioni P., S., K., L.) ed alla luce dei dati oggettivi afferenti l’impronta della scarpa dell’imputato sul volto della vittima e sulla cessione solutoria a terzi della catenina d’oro alla stessa vittima appartenuta. Si tratta quindi, soltanto, di espressioni di dissenso o di proposte di diversamente valutare i fatti, le une e le altre in questa sede non ricevibili.

Con il secondo motivo il ricorrente difensore ha lamentato inosservanza di legge e vizi di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti ex art. 61 c.p., nn. 1, 4 e 5. Le censure afferenti la ravvisata applicazione delle aggravanti di cui all’art. 61 c.p., comma 1, nn. 1 e 5 sono infondate: da un canto la Corte di merito ha fondato con logica e completa valutazione la sua opinione di ricorrenza della "futilità" sulla enorme sproporzione tra la reazione omicidiaria e la petulante insistenza sessuale della quarantenne interessata al giovane ed aitante ucraino (o la insistita e legittima richiesta di restituzione di un telefono mobile); dall’altro canto mere irrilevanti espressioni di dissenso vengono rivolte alla valutazione di sussistenza della condizione della "minorata difesa" articolata congruamente in sentenza alla pagina 41.

Colgono invece nel segno, all’interno dello stesso motivo, i rilievi sulla affermazione della aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 4, apparendo in evidente collisione con i principi affermati da questa Corte (cfr. tra le tante Cass. sent. n. 25276/2008) – e per i quali la inflizione di sofferenze gratuite e superflue si evince dalla estraneità della loro causazione dalla stretta necessità della condotta violenta- l’avere rinvenuto crudeltà nell’avere lo Z. calpestato il volto della vittima senza domandarsi, come il motivo rettamente sollecita a fare, se tale azione non fosse invece necessitata per esercitare trazione sui lacci posti al collo della vittima al fine di pervenire al di lei sollecito strangolamento. Per tale profilo, pertanto, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra Corte per nuovo esame.

Con il terzo motivo il ricorrente ha mosso analoghe censure con riferimento alla ritenuta insussistenza della circostanza attenuante della provocazione. La chiarezza e logicità dell’argomentare della sentenza e la totale inconsistenza della tesi per la quale sarebbe o potrebbe essere provocatoria la mera insistenza sessuale di una donna sono dati che conducono alla inammissibilità del motivo.

Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza coglie nel segno stante la evidente assenza nella pag. 42 della sentenza, che tratta del profilo sanzionatorio della condanna, di alcuna disamina della questione, pur posta nei motivi di appello in dissenso dal diniego motivato dal GUP alla pagina 26 della sentenza di primo grado. Devesi pertanto, per tale profilo, annullare la sentenza.

Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato inosservanza di legge e vizi di motivazione in ordine alla individuata pena base. La doglianza resta ovviamente assorbita nell’effetto rescindente della parziale pronunzia di accoglimento.

Infine con il sesto motivo il difensore ha lamentato inosservanza dei criteri di valutazione della prova indiziaria, violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva (perizia sulla catenina in sequestro), travisamento delle risultanze probatorie in ordine all’imputazione di rapina. La censura non ha consistenza. La Corte di merito ha fatto capo, a sostegno della affermazione di responsabilità per rapina, ed in totale legittima condivisione delle affermazioni del GUP nella prima decisione (pag. 35), alle dichiarazioni assunte a S.I.T. (tra le quali quella del M. che ebbe a donare alla vittima, sua colf, la catenina sottratta dallo Z.) ed alla deposizione di R.V.: il motivo esprime dissenso e critiche alla plausibilità della ricostruzione e si produce nella censura della disattenzione per la richiesta di una consulenza tecnica ma non evidenzia neanche un punto della decisione di primo grado, interamente richiamata dalla Corte di Assise di Appello, suscettibile di essere attinto da illogicità o contraddizione. Di qui la sua evidente inammissibilità.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla diminuente del vizio parziale di mente, alla aggravante della crudeltà ed alle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio su questi punti alla Corte di Assise di Appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso dell’imputato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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