Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-11-2010) 26-01-2011, n. 2657

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10/7/2008 la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza 14/6/2006 del Tribunale di Messina, ha assolto l’imputato P.V., medico ostetrico presso l’ospedale Piemonte di (OMISSIS), dai reati di sottrazione e sostituzione di cadavere, indicati ai capi b-c della rubrica, ed ha determinato in anni tre e mesi sei di reclusione la pena per la residua imputazione di falso ideologico nella redazione della cartella clinica relativa all’intervento di parto cesareo al quale, il giorno (OMISSIS), era stata sottoposta B.M. C..

I fatti oggetto di causa possono, in sintesi, essere riepilogati nel modo che segue.

B.M.C., che si era sottoposta ad un intervento di fecondazione assistita e che durante la gravidanza aveva effettuato diversi esami ecografici, alcuni dei quali effettuati dalla ginecologa Pa.Ri., veniva sottoposta ad intervento di parto cesareo presso il reparto di ostetricia dell’Ospedale Piemonte di (OMISSIS), intervento che veniva eseguito dal primario prof. P., quale primo operatore, coadiuvato dalla dott.ssa Pa.. La donna partoriva tre gemelli, uno dei quali già morto ed il cui cadavere veniva descritto in cartella clinica come "papiraceo", e subiva successivamente al parto alcune complicanze che la inducevano a presentare denunzia nei confronti dei medici curanti.

Nel corso delle indagini che ne erano scaturite si accertava che il cadaverino riesumato presentava alcune evidenti malformazioni ma non aveva le caratteristiche per essere definito "papiraceo" e che, inoltre, esso non era geneticamente compatibile con i coniugi B. – L.P..

Il Giudice di primo grado, sentiti tutti i presenti al parto e valutate le opinioni dei periti e consulenti, ha ritenuto non condivisibile la tesi difensiva per la quale l’incompatibilità genetica tra i coniugi L.P. ed il feto riesumato fosse da attribuire all’impianto di un embrione di altra coppia od all’alterazione della struttura del DNA causata dalla formalina (sostanza nella quale il feto era stato a lungo conservato). Il giudicante ha pertanto ritenuto, considerato anche il mancato riscontro di anomalie durante gli esami ecografia, che vi fosse stata una sostituzione del feto partorito dalla B. con altro feto ed ha conclusivamente ritenuto che la descrizione in cartella clinica del feto come "papiraceo" fosse stata intenzionalmente suggerita alla R. dal P., preoccupato di evitare sospetti di responsabilità circa il suo operato, per retrodatare la morte del terzo gemello ad epoca di molto precedente al parto e che, di conseguenza e per le stesse ragioni, avesse effettuato la sostituzione del cadavere nel periodo intercorso tra il (OMISSIS), data del parto, ed il 19 luglio, data del trasporto del feto al cimitero su richiesta dei coniugi L.P.. La Corte di merito, nella sentenza del 10/7/2008, pur ritenendo pacifico il dato per il quale il feto riesumato non era quello partorito dalla signora B. (all’uopo argomentando in ordine a tutti gli elementi acquisiti e sottoponendo a vaglio le varie tesi espresse dai tecnici), ha difformemente concluso rispetto al primo Giudice relativamente alle accuse di sottrazione e sostituzione di cadavere, rilevando come la riferibilità all’imputato di tali fatti sulla base dell’esclusività del preteso interesse ad effettuarli costituisse solo motivo di sospetto non concretizzatosi in prova ed anzi resistito da obiettive considerazioni logiche. La Corte ha, di contro, condiviso l’affermazione di responsabilità del P. in relazione all’accusa di falso ideologico, sottolineando come lo stesso imputato avesse ammesso una situazione di fatto contrastante con la definizione "papiraceo" indicata in cartella, come in base alle dichiarazioni rese da coloro che era stati presenti in sala operatoria si dovesse escludere che il terzo gemello presentasse le caratteristiche del feto papiraceo, come fosse emerso che la dizione "papiraceo" era stata riportata in cartella dalla dott.ssa Pa. su preciso input del prof. P. (al quale peraltro competeva la redazione o il controllo sulla redazione della cartella clinica), come oltre tutto una morte pre-datata del terzo gemello configgesse con gli interessi della coimputata Pa., come in conclusione tutti gli elementi convergessero a ricondurre il contenuto della cartella clinica alla consapevole volontà del prof. P., come la motivazione al proposito fosse da individuarsi nell’intendimento di retrodatare la morte del feto ad epoca remota in modo da escludere che il ritardo nel parto a lui ascrivibile potesse avere avuto una efficacia causale nella verificazione del decesso.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i difensori dell’imputato deducendo con articolati motivi violazione di legge nonchè vizi motivazionali sotto plurimi profili; e ciò in relazione al rigetto della richiesta di esclusione delle parti civili (motivo 1), in relazione alla formula assolutoria adottata per i reati di sottrazione e sostituzione di cadavere (motivo 2), in relazione alla conferma della condanna per falso ideologico ed alla violazione dell’art. 500 c.p.p. (motivo 3 pagg. da 49 ad 88), in relazione alla non riconducibilità del fatto alla fattispecie di cui all’art. 479 c.p., essendo la dizione incriminata espressione di un giudizio e non l’attestazione di un fatto (motivo 4), in relazione al difetto di correlazione tra accusa e sentenza con riguardo alla circostanza aggravante di cui al combinato disposto dell’art. 479 c.p. e art. 476 c.p., comma 2 (motivo 5), in relazione alla affermata configurabilità della circostanza aggravante del fatto commesso su atto pubblico facente fede fino a querela di falso (motivo 6), in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla commisurazione della pena (motivo 7), in relazione alla condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili (motivo 8).

Con sentenza del 16/4/2009 n. 31858 la Corte di Cassazione, sez. 5, ha rigettato l’articolato ricorso proposto dai difensori dell’imputato e conseguentemente la citata sentenza di condanna è passata in giudicato.

Avverso la sentenza resa in sede di legittimità i difensori hanno proposto ricorso straordinario in data 28/1/2010, deducendo l’errore di fatto in cui era incorso il Giudice di legittimità per avere totalmente pretermesso le censure formulate con il terzo motivo di ricorso (pagg. 49/88) in ordine all’accertamento della concorsuale condotta istigatrice attribuita al P., sia sotto il profilo della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dalla coimputata Pa. (non avendo costei confermato l’accusa in dibattimento e non avendo l’attuale ricorrente dato il suo consenso all’utilizzazione di tali dichiarazioni), sia sotto il profilo della inattendibilità dell’accusa di istigazione attese, tra l’altro, la genericità della propalazione, il personale interesse della Pa. e l’inquinamento probatorio a costei riconducibile.

In data 13/5/2010 la Corte di Cassazione, sez. 1, con sentenza n. 20901, rilevato che la omessa considerazione di tale motivo di ricorso aveva inficiato la validità della indicata sentenza, ha revocato la sentenza n. 31858 pronunciata da questa Corte il 16/4/2009 ed ha disposto la trattazione del ricorso straordinario in pubblica udienza.
Motivi della decisione

La revoca della sentenza n. 31858/2009 di questa Corte, per omesso esame delle censure contenute nel terzo motivo del ricorso 20/11/2008 del P., obbliga il Collegio in sede rescissoria alla disamina delle censure stesse quali articolate alle pagine da 49 ad 88 di tale impugnazione e quali sintetizzate al punto 2 della sentenza rescindente n. 20901/2010. Segnatamente si è inteso evidenziare, seguendo la sintesi offerta al par. 3 pagg. 5 e 6 punti a-b-c-d-e-f del ricorso straordinario, che le censure affatto neglette da questa Corte afferivano:

A) alla questione della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di indagini dalla dott.ssa Pa., non avendo ella confermato l’accusa in dibattimento nè avendo il P. consentito alla loro utilizzazione;

B) alla questione – diversa e distinta – della inconsistenza della accusa di istigazione, considerando la genericità della accusa stessa, il suo contrasto con le precedenti dichiarazioni della Pa., le valutazioni espresse dal dr. P. in tempi non sospetti e l’assenza di un suo interesse all’inserimento del falso in cartella clinica.

Orbene, esaminando il motivo in questione secondo l’ordine delle questioni come sopra sintetizzate, emerge quanto appresso.

In relazione alla prima questione (quella sub A) appare di totale evidenza che la denunzia di errore revocatorio deduceva una omissione priva di alcuna rilevanza, posto che, solo che si fossero letti i passaggi contenuti alla pag. 44 della sentenza messinese del 10/7/2008, lettura in questa sede doverosa dopo la sentenza rescindente, sarebbero emerse le affermazioni dei giudici del merito:

che le dichiarazioni spontanee della Pa. erano una acquisizione processuale non utilizzabile contro l’imputato P. e che comunque l’accusa era stata dalla stessa formulata già in epoca assai precedente alle sue dichiarazioni spontanee ed emergeva nel processo da diverse fonti. Sarebbe emerso e, per quel che occupa, emerge quindi che la Corte di merito aveva escluso l’utilizzazione probatoria di quelle dichiarazioni, fondando su altre acquisizioni il proprio convincimento, con la conseguenza per la quale deve dichiararsi inammissibile il profilo sub A del motivo in disamina, che ha impugnato una utilizzazione espressamente esclusa, con la conseguente irrilevanza delle censure sintetizzate ai punti a- b-c delle pagine 7 ed 8 del ricorso straordinario.

Procedendosi quindi all’esame dei profili ulteriori del motivo (sub B), tutti attingenti vizi di motivazione, ampiamente esposti nel ricorso 20/11/2008 e richiamati nella sintesi di cui alla pagina 8 (lettere d-e-f-g) del ricorso straordinario, essi appaiono affatto destituiti di fondamento.

In primo luogo si rileva che, come si evince dalle affermazioni contenute nelle pagine 44 e 45 della sentenza 10/7/2008, relative alle dichiarazioni de relato della dott.ssa Pi. (a mente delle quali la dott.ssa Pa. avrebbe con lei ammesso con chiarezza che la indebita precisazione nella cartella clinica era stata redatta su preciso "input" del prof. P.), a fronte delle deduzioni della difesa sulla pesantezza delle pressioni dalla teste patite su iniziativa della Pa., la Corte di merito ha con chiarezza affermato che la deposizione Pi. era stata resa sotto il vincolo del giuramento e che la stessa era comunque pienamente riscontrata. Ebbene il ricorso 20/11/2008, secondo il richiamo di cui al punto d) della pag. 8 del ricorso straordinario, alle pagine 59 e 60 si diffonde in generiche valutazioni critiche richiamanti censure poste in appello senza la necessaria autosufficienza e pertanto risolventisi in una inammissibile sollecitazione a dissentire dalla chiara e netta opinione di attendibilità formulata in sentenza.

In secondo luogo, la censura sulla pretesa omessa valutazione delle deposizioni "inconciliabili" con la versione fornita dalla Pa.

(ed accreditata ut supra dalla Pi.), si scontra con la precisa valutazione della esistenza di specifici riscontri della dichiarazione de relato Pi., riscontri che vengono dalla Corte di merito rinvenuti nelle deposizioni dei sanitari G., A. e C. e contro la persuasività delle quali il ricorso si affida (pagg. 68 e 69) all’inammissibile tentativo di minare la attendibilità e/o la precisione dei testi, senza mai portare ad emersione alcun profilo di illogicità o contraddizione nella critica valutazione dei giudici del merito.

In terzo luogo, la Corte di Messina ha articolato alle pagg. 48-49-50- 51 attente ed analitiche considerazioni sulla condotta postfactum del prof. P. e sulle ragioni che consentivano di trarre da tale condotta (singolarmente omissiva rispetto alla evidenza inaccettabile della cartella clinica, "da altri" indebitamente compilata) inequivoche indicazioni della sua paternità di quella evidenza, indicazioni a loro volta confortate dai significativi interventi o "raccomandazioni" sui proff. G. e M. e dalle dichiarazioni di quest’ultimo (riscontrate dalle deposizioni dei neonatologi Ra. e D.). Ebbene il ricorso, alle pagine da 71 a 76, tenta di revocare in dubbio la tenuta logica delle predette considerazioni e tenta di accreditare come "più persuasiva" la tesi per la quale, rientrato dalle ferie, il prof. P. non ritenne di modificare la indebita indicazione della cartella clinica perchè…….le cartelle cliniche sono atti pubblici non emendabili e perchè l’indicazione era parzialmente vera, il feto essendo nato morto. Ma il tentativo non ha alcun margine di successo in questa sede posto che, da un canto, tace sulla considerazione della Corte di merito per la quale comunque sarebbe potuta dal P. provenire una postuma scrittura di "dissociazione" e, dall’altro canto, offre alla Corte di legittimità una proposta personale di "depotenziare" la falsità commessa (in ragione del fatto che, macerato o papiraceo che fosse, il feto era comunque nato già, e da tempo, morto) che non ha alcuna possibilità di considerazione da parte della Corte di legittimità.

In quarto luogo l’impugnata sentenza muove, alle pagine da 53 a 62, una attenta ricostruzione delle ragioni personali per richiedere alla Pa. la indebita precisazione di "papiraceo" ed offre una logica spiegazione della richiesta nella concitata, forse frettolosa, decisione di allontanare con quella indicazione alcuna ipotesi di collegamento della morte del feto al ritardo nella esecuzione del parto che egli sapeva essere dipeso dal suo comportamento. Non vi è alcuna professione di certezza assoluta nella ipotesi di movente articolata in sentenza ma una attenta, argomentata, non illogica e quindi altamente plausibile spiegazione dell’agire. Il ricorso tenta la strada del paradosso, indicando come quella frettolosa richiesta alla collega di apporre quella incongrua e chiaramente inconsistente indicazione di papiraceo fosse incompatibile con la callidità che la Corte di merito ha inteso scorgere nel contegno del primario: ma tale argomento non ha alcun ingresso in questa sede perchè la sentenza ha ascritto il falso solo ad un contegno frettoloso e d’impeto del primario. Del resto il tentativo defensionale disvela tutta la sua fragilità là dove, per contrastare la predetta logica ipotesi di frettolosa ed azzardata falsificazione "d’impeto", espone argomenti afferenti la inutilità di siffatta falsificazione ad allontanare reali responsabilità o la assoluta serenità mostrata all’atto della constatazione del feto morto o la inesistenza di alcuna ragione di preoccupazione (sanitaria e civile) per una vicenda altamente possibile ed oggettivamente spiegabile; si tratta infatti di argomenti singolarmente plausibili ma che, pur unitariamente contrapposti alla riferita valutazione del giudice del merito, non hanno alcuna idoneità a disvelare l’illogicità della contestata valutazione.

E tanto basta, anche per tale profilo, a far considerare non accoglibile la censura stessa nel quadro dettato dall’art. 606 c.p.p., lett. e).

Alla stregua delle predette considerazioni, l’esame del terzo motivo del ricorso del 20/11/2008 condotta in sede rescissoria conduce alla sua indubitabile reiezione.

Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile, così come precisato in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente P.V. al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile B.C. che liquida in Euro 2.328,11, onorari compresi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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