Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-02-2011, n. 4501 Esecuzione forzata per consegna o rilascio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 11.2.1998 le epigrafate controricorrenti nonchè S.M.F., quest’ultima nella qualità di usufruttuaria, agivano in giudizio per conseguire il rilascio di un fondo sito in (OMISSIS), detenuto senza titolo da L.S.S.; in subordine chiedevano il rilascio del fondo per scadenza del contratto di affitto nonchè il risarcimento del danno arrecato al fondo medesimo. Il L. S., costituitosi in giudizio, eccepiva l’esistenza del contratto di affitto e chiedeva la restituzione di quanto pagato in eccedenza in ordine ai canoni d’affitto. Con sentenza non definitiva n. 277/2000 la sezione Agraria del Tribunale di Nicosia dichiarava cessato il contratto di affitto e condannava il convenuto all’immediato rilascio del fondo, subordinandolo all’emissione, da parte delle ricorrenti, di polizza fideiussoria per L. 20 milioni;

quindi, con sentenza definitiva n. 75/01 il Tribunale condannava le ricorrenti al pagamento della somma di L. 28.753.426 oltre interessi a titolo di eccedenze rispetto al canone equo.

A seguito di impugnazione, la Corte di appello con sentenza non definitiva n. 69/2002 condannava al pagamento della somma di L. 28.753.426 la sola S.M.F.; quindi con sentenza n. 81/2003 condannava il L.S. al risarcimento del danno in misura di Euro 4.500,00.

In data 13.2.08 le epigrafate controricorrenti, in proprio e quali eredi di S.M.F., intimavano al L.S. precetto per il rilascio del fondo. Avverso l’esecuzione intrapresa ex art. 608 c.p.c., comma 1 il L.S. proponeva opposizione deducendo l’inesistenza e/o l’inefficacia del titolo esecutivo fatto valere in quanto la sentenza non definitiva n. 277/2000 era stata superata dalla sentenza definitiva n. 75/01 con la conseguenza che il rilascio del fondo doveva essere subordinato al pagamento della somma di L. 28.753.426 oltre interessi. In esito al giudizio, in cui si costituivano le epigrafate controricorrenti, il Tribunale di Nicosia con sentenza depositata il 2. 8. 2008 rigettava l’opposizione e dichiarava inammissibili le altre richieste dell’opponente, volta la prima alla conferma dell’obbligo, da parte delle opposte, di pagare la somma di L. 28.753.426 e la seconda al riconoscimento del diritto, spettante ad esso opponente, di ritenzione del fondo sino al pagamento della predetta somma. Avverso la detta sentenza il L. S. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Le controricorrenti resistono con controricorso ed hanno altresì depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con l’unica doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 277 c.p.c., comma 2 e dell’art. 474 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione impugnata in quanto la sentenza non definitiva n. 277/2000 avrebbe dovuto essere integrata con le statuizioni della sentenza definitiva n. 75/2001, che aveva esattamente quantificato il credito spettante all’affittuario, e conclude infine la censura con il seguente quesito di diritto "dichiari la Corte che la sentenza che non definisce il giudizio, non emettendo alcun provvedimento di separazione delle cause, anche implicitamente, mediante il regolamento delle spese, non presenta carattere di autonomia rispetto alle decisioni riservate al prosieguo del giudizio, dovendo essere ulteriormente integrata, per cui non può costituire titolo esecutivo".

La censura è infondata e non merita di essere condivisa. All’uopo, vale la pena di chiarire che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la non definitività di una sentenza significa soltanto che la decisione della controversia non è integrale, fermo restando che la stessa non può essere mutata da parte del giudice che l’ha emessa (Cass. n. 10889/06, 18510/2004, n. 595/92, n. 451/81), in quanto le statuizioni della sentenza non definitiva possono essere riformate solo in sede di impugnazione.

Ed invero, atteso che il frazionamento della decisione comporta l’esaurimento del potere giurisdizionale (Cass. n. 2237/2005), il giudice che ha pronunciato la sentenza non definitiva resta da questa vincolato (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell’intervenuta pronuncia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata, verificandosi per il giudice che ha adottato la pronuncia una preclusione al riesame delle questioni decise, per effetto dell’esaurimento della potestas decidendi. Con la conseguenza che, ove lo faccia, il giudice del gravame può rilevare d’ufficio la violazione del giudicato interno.

(Cass. 10889/06, n. 18510/2004, n. 12346/2003, n. 5860/99, n. 6311/90, n. 7891/95, n. 4821/99). Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Quanto alla domanda per responsabilità aggravata proposta dalle controricorrenti, deve osservarsi che non ricorrono gli estremi per la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., atteso che le ragioni di doglianza svolte dal ricorrente si sono soltanto estrinsecate nella prospettazione di tesi giuridiche infondate, senza però che detta infondata prospettazione possa essere ritenuta espressione di dolo o colpa grave. Al riguardo, torna opportuno rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare solo dalla prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi": (Cass. n. 7101/94, Cass. n. 15629/2010). In particolare, con riguardo al giudizio di cassazione, questa Certe ha statuito il principio secondo il quale la condanna per risarcimento dei danni per lite temeraria può essere pronunciata, a condizione che il relativo ricorso, oltre che patentemente infondato, sia tale da dimostrare la consapevolezza della sua infondatezza da parte dei ricorrenti e, contemporaneamente, un’ignoranza, gravemente colpevole, della sua inammissibilità (Cass. n. 19976/05, Cass. n. 15789/07). Ne consegue che la infondatezza della domanda in esame.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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